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Mettiti al centro: prendi il tuo tempo

Mettiti al centro: prendi il tuo tempo

Il tempo per noi stesse è importante, anche per gli altri.

Oggi vorrei parlarti di uno dei temi che sento ricorrere maggiormente tra le mie clienti, tra le mie amiche e colleghe, tra le amiche professioniste della Rete al Femminile, tra la maggior parte delle donne che lavorano, che hanno famiglia e spesso dei figli e sono donne che vogliono crescere dal punto di vista sia personale che professionale: è la stanchezza e la mancanza di tempo per sé – che sono, a mio avviso, strettamente collegate.

Prendersi del tempo è sempre stato difficile, per le donne

E ora con smart working che proprio smart non è, didattica a distanza, attività sportive soppresse e neanche un ristorante o un teatro dove passare una serata rigenerante, il problema si è acuito in modo esponenziale.

Ma se la difficoltà è oggettiva, c’è sempre qualcosa che possiamo fare a livello soggettivo per ridare priorità a qualcosa che consideriamo un “lusso”: un po’ di tempo per noi.

E l’inizio è sempre un cambiamento nel nostro modo di vedere le cose.

Se prenderci del tempo per noi non fosse un lusso, ma una priorità?

Se invece il lusso che non possiamo permetterci fosse quello di trascurare il nostro bisogno di staccare, rigenerarci, divertirci? 

Una delle cose che mi ha sempre tenuta in piedi anche nei momenti più sfidanti della mia vita è stata una sorta di sano “egoismo” che mi ha sempre permesso di non perdere di vista ciò che per me è vitale (nel senso che aggiunge vita alle mie giornate): trovare il tempo per fare ciò che amo.

Noi donne cresciamo con l’idea che il nostro ruolo è di esserci per gli altri, prima.

Da bambine vediamo le mamme fare i salti mortali, sacrificarsi, gestire con successo mille ruoli contemporaneamente e introiettiamo quei modelli. 

Perciò non è stato facile nemmeno per me vincere quell’idea strisciante che ti fa credere che gli altri ti giudicheranno se dici di no, o che il mondo crollerà se non sei sempre a disposizione di chi ha bisogno di te. 

Ma forse proprio per la mia storia (che ti rimando qui)  ho iniziato a credere che pensare a me stessa “prima” (non soltanto, ma prima) fosse indispensabile non solo alla mia felicità, ma alla mia sopravvivenza.

Capita a tutte di vivere con quel senso di colpa

Proprio oggi, in una sessione individuale con una meravigliosa nuova cliente, il tema è emerso di nuovo. Raccontava di una pressione esagerata da parte dell’azienda per cui lavora, della totale mancanza di tempo per sè e del dispiacere (se non addirittura senso di colpa) per aver ritardato un giorno nell’andare a prendere la figlia, che così aveva cenato dallo zio anziché con lei. 

Il suo racconto mi ha richiamato alla memoria un episodio di quando ero bambina, che l’ha aiutata a cambiare la percezione riguardo a quell’evento. 

Ti racconto quello che era successo a me

Ero in prima media e praticavo atletica leggera, e nei 60 metri piani ero quasi imbattibile.

Quel giorno eravamo andati con tutta la scuola al campo sportivo per le gare comunali. Ma  pochi minuti prima della gara, che sapevo di poter vincere, succede qualcosa: in segreteria si rendono conto che io ero un anno più giovane rispetto alle mie compagne di classe e delle classi parallele, pertanto mi sento convocare lì con la mia insegnante e mi dicono che purtroppo, a causa del regolamento, non avrei potuto partecipare se non con “le più piccole”. 

Fui presa dalla delusione, dalla vergogna di dover correre con quelle delle elementari, dal disagio di gareggiare con delle sconosciute: così scoppiai a piangere e mi rifiutai di gareggiare. Ammetto di essere stata un po’ drammatica 😉 ma ai miei 10 anni evidentemente non sapevo fare di meglio.

Così la scuola avvertì mia mamma affinché mi venisse a prendere, ma lei stava lavorando e non poteva muoversi.

Oggi, come mamma a mia volta, immagino che si sia sentita in conflitto tra ciò che doveva fare e il desiderio di venir a consolarmi, in colpa forse, per non potersi assentare. Allora di certo non ci pensavo.

Fatto sta che mi venne a prendere mia zia, sua sorella più giovane, con il suo fidanzato ed un cucciolo di pastore tedesco di nome Lord, e mi portarono a fare una passeggiata sul Carso.

Fu una giornata speciale, e io ancora oggi la ricordo come una cosa stra-ordinaria (in quanto non era abituale), una piccola avventura che fu in grado di farmi dimenticare la delusione e riportarmi al mio naturale stato di gioia.

Ho fatto tesoro di quell’esperienza

Questo racconto ha permesso a Claudia di capire che quello che lei viveva come un “togliere qualcosa” a se stessa e alla bambina, poteva in realtà essere un grande dono alla figlia, un’esperienza che da grande magari avrebbe ricordato con piacere ed affetto, proprio perché insolita, diversa, inaspettata.

Quando ci sacrifichiamo per i figli, trasmettiamo loro il messaggio: sei importante, ti amo.

Ma quando sappiamo prenderci cura di noi trasmettiamo loro un messaggio altrettanto fondamentale: Io sono importante per me, io mi amo.

E questo autorizza loro a considerarsi importanti per se stessi, ad amare se stessi prima di tutto.

E non succede solo con i figli, ma con tutte le persone che amiamo.

Così facendo è come se autorizzassimo anche gli altri a fare lo stesso, li incoraggiassimo a riconoscere i propri bisogni e prendersene cura. È un po’ come in quel vecchio detto: 

Se vuoi sfamare una persona non dargli del pesce: insegnale a pescare.

E ne parlava anche un certo uomo saggio vissuto circa duemila anni fa: ama il prossimo tuo come te stesso. 

Se questo amore per noi stesse scarseggia, come potremo davvero amare qualcun altro di più?

Conosco donne “impeccabili” che si sacrificano per fare sempre ciò che ci si aspetta da loro, ma che poi si lamentano, criticano, giudicano e sono quasi sempre scontente e rancorose.

Si sono semplicemente dimenticate di amare e dare ascolto alla persona con cui devono trascorrere ogni istante della propria vita: se stesse.

Si può fare. Anzi, è uno dei rarissimi casi in cui utilizzo questo verbo: si “deve” fare 😉 

Lo devi a te stessa, prima di tutto.

Quando  impari ad amarti ti tratti come tratti le persone che ami: fai quello che puoi per renderle felici. E allo stesso modo per cui per te è una gioia esserci per gli altri, è importante esserci per te.

Perciò, trova il tempo per dedicarti a ciò che ami.

Quanto a me, ora, nonostante le molte cose che avrei da fare, e nonostante fuori ci sia un’umidità londinese, chiudo il computer, mi alzo dalla mia postazione e vado a fare una passeggiata lungomare.

Al mio ritorno sarò una persona un po’ migliore, e non sarò l’unica a beneficiarne.

Lasciami un commento: fammi sapere di te!

Gina

A settembre si torna a scuola di pratiche della felicità!

A settembre si torna a scuola di pratiche della felicità!

Come ogni scuola che si rispetti, anche le pratiche della felicità riapre le sue porte – virtuali – a settembre. A partire dal 22 settembre parte una nuova classe online fatta di persone che vogliono allenarsi ad essere felici. 

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Perché ti parlo di pratiche della felicità?


Dopo diversi decenni dedicati alla crescita personale, dapprima come “studente”, e poi come coach, mi sono resa conto che tutto ciò che cerchiamo di ottenere attraverso le nostre scelte, è in realtà un punto di partenza, e questo è proprio la felicità.

Ovvero, facciamo ciò che facciamo perché pensiamo che ci renderà felici: ma come sarebbe se lo fossimo già in partenza?

Non ti parlo di sorrisi a 36 denti

Nè di saltellare sul posto o ostentare un finto entusiasmo quando in realtà provi tristezza, preoccupazione o rabbia. 

La felicità è uno stato di “alta efficienza” che puoi allenare e che puoi provare a prescindere dalle circostanze in cui ti trovi. Questo non solo ti consente di affrontare in modo più efficace e fluido tutte le situazioni che la vita ti mette davanti, ma ti ti rende soprattutto più capace di creare le circostanze, relazioni, risultati che desideri.

Ma come è possibile?

Forse non lo sai, ma il nostro cervello è progettato per porre maggior attenzione a ciò che è anomalo, a ciò che va male, a ciò che è potenzialmente pericoloso e lo fa per ovvie (ed antiche) ragioni legate alla nostra sopravvivenza. Perciò se non scegliamo di indirizzarlo diversamente, tenderà a farci notare, pensare e immaginare soprattutto le cose che temiamo o a cui ci opponiamo – creando in noi le emozioni corrispondenti a quei pensieri. 

La situazione cambia con un po’ di allenamento

Per questo è fondamentale allenarsi a sviluppare quel solido stato di benessere che ti permette di produrre pensieri, emozioni e comportamenti più funzionali , che riduce lo stress e le sue conseguenze, che ti restituisce la creatività, l’empatia, il Problem soling e la capacità di immaginare e creare che è propria degli esseri umani quando “funzionano” al loro meglio. 

Insomma, basta guardare un bambino per renderci conto che quel benessere è nostro per diritto di nascita, e che chi è felice è instancabile, è capace di attenzione focalizzata, è determinato, è naturalmente capace di intessere relazioni sane, è in grado di apprezzare di più  e…sì, è anche più bello!

Ma come posso essere felice, a partire da oggi?

Puoi saltare a bordo del mio prossimo corso online Le pratiche della felicità,  un percorso in diretta e di gruppo. A partire dal 22 settembre 2020 partirà la nuova edizione e un nuovo gruppo di persone (solitamente donne, ma chissà 😉  motivate si cimenteranno ad allenarsi per rendere forte e stabile il loro substrato di felicità. Se vogliamo fare un parallelo con il corpo e l’esercizio fisico, è come allenare il “core” – che non è il cuore in romanesco 😉 ma è la parte centrale del nostro corpo, la muscolatura profonda, che ci rende stabili e che è fondamentale allenare per affrontare al meglio qualsiasi performance fisica. 

Il corso è della durata di 4 mesi e prevede:

  • colloquio individuale direttamente con me, per identificare quali sono gli aspetti su cui vuoi lavorare (compila il questionario).
  • un percorso di 4 mesi in gruppo (partenza 22 settembre 2020)
  • 2 incontri live al mese via zoom – ogni live verrà registrata e resterà disponibile fino alla fine del percorso
  • un gruppo Facebook riservato agli iscritti per domande, sfide e condivisioni
  • una meditazione guidata da poter riascoltare quando vuoi
  • tutti i file degli strumenti e delle tecniche che imparerai

Che aspetti? Sali a bordo e allenati insieme a me per rinforzare il “core” della tua felicità.

Prenota qui la tua iscrizione al corso Le pratiche della felicità

Ti abbraccio, 

Gina

Attenta a ciò che desideri, potrebbe realizzarsi

Attenta a ciò che desideri, potrebbe realizzarsi

Quello che desideri si avvera. Molti lo sottovalutano ancora, ma il potere della mente è quasi sempre infallibile. Qui ti racconto di un recente episodio in cui ho avuto l’ennesima riconferma…

Mentre scrivo mi trovo a casa mia a Trieste, con un ginocchio offeso ed un “colpo della strega” che mi costringe a stare ferma e tranquilla.

Oh, Gina, ma cosa ci azzecca, questo, con i desideri?

Sono rientrata da poco, in anticipo rispetto ai miei piani, da una vacanza al mare, bellissima ma per niente riposante e tra due giorni è prevista la partenza per la montagna. All’idea di avere così poco tempo tra una vacanza e l’altra e avendo ancora diverse cose di lavoro in piedi e progetti da chiudere, mi sono trovata più volte a pensare “vorrei tanto avere un paio di giorni-cuscinetto”. Sentivo infatti l’assoluta necessità di stare qualche giorno a casa, niente sole, riposare, stare nella mia energia, finire le cose di lavoro, fare le lavatrici e preparare le valige con calma.

Questo era il mio desiderio

E cos’è successo stamattina? Ho preso lo scooter per andare in centro e, uscendo dal garage, sono scivolata in modo inspiegabile ammaccandomi il ginocchio. E poi, nel tentativo di sollevare da terra lo scooter, che pesa molto più di quanto pensassi, mi si è bloccata la schiena con il famoso “colpo della strega”.

Et voilà: eccomi a casa, a riposo, che scrivo l’articolo con calma, dopo aver fatto 4 lavatrici, declinato tutti gli impegni per questi 3 giorni e riposato quanto mi serviva.

Il mio desiderio ha trovato il suo modo per realizzarsi. Certo avrei potuto essere più esplicita nella mia richiesta riguardo alle modalità 😉

Perché ti parlo di desideri

Ti parlo spesso di desideri, perché credo siano il linguaggio che la nostra parte più profonda e più vera usa per indicarci la strada da prendere per diventare ogni giorno un po’ più “grandi” di come eravamo ieri.

Nel mio caso, mi aspetto meraviglie da questi miei giorni “bloccata”, perché sono certa che hanno un intento ben più grande del farmi soltanto riposare.

I desideri ti aiutano ad uscire dai territori conosciuti, ti aiutano a conoscere te stessa e a scoprire cose di te che ancora non sai.

Eppure, dopo anni di ammaestramenti e indottrinamenti, non è facile riuscire a sentire quella voce, non è facile trovare un desiderio che sia veramente tuo, che non sia indotto da risultati di altri, da cose che hai visto fare, da limiti che credi di avere, da qualcosa che hai visto in un film, da quello che qualche esperto del tuo settore ti dice che dovresti fare.

Non è facile nella vita personale.

Dovrei desiderare un figlio?
Sta arrivando il momento di sposarmi?
Dovrei desiderare di proseguire con gli studi?

Non è facile nemmeno nel lavoro e nel business

Prima andavano i video per promuoversi.
Poi i podcast.
Ora Tik-Tok.
Si fa così, non si fa così.
Forse dovresti restare nell’azienda di famiglia.
Dovresti fare l’avvocato e non la ballerina.

E così ti trovi a seguire strade tracciate per te da altri.

E anche quando credi di essere tu a decidere nella migliore delle ipotesi stai solo “scegliendo”, e non desiderando.

Scegliere significa prendere qualcosa dal menù.

Desiderare significa immaginare cose che nessuno ha messo su quel menù. Cose che ti fanno sorridere da dentro, quando ci pensi.

“Per i desideri servono parole, tante parole”, ci ricorda Igor Sibaldi (vi consiglio vivamente di seguire la sua Scuola dei desideri su YouTube). Più ampio è il nostro vocabolario attivo, ovvero le parole cha abitualmente usiamo, e più ampio e ricco sarò il nostro mondo e i nostri orizzonti.

Ma l’autore dei tuoi desideri non sei tu. Non provengono da te. Provengono al tuo IO più grande, quello che ancora non sei, il tuo IO futuro. È per questo che sono così interessanti. Perché ti mostrano come fare a raggiungere quel tuo io futuro e più grande.

I desideri tu fanno uscire dai tuoi binari predefiniti, ti fanno uscire da quegli episodi che hai interpretato come tuoi reali limiti o sconfitte passate. Ti liberano dall’idea che hai di te stessa, di cosa credi impossibile o fuori portata.

In una cultura di “prima il dovere, poi (forse) il piacere”, i tuoi desideri ti permettono di crescere proprio grazie a quel piacere , grazie a un atto di immaginazione dettato da quello che sarai tu in futuro, e non da quello di te che già conosci bene.

Il desiderio ti fa alzare lo sguardo, ti fa guardare il cielo e le stelle, le “sidera” appunto.

Non a caso nelle notti di Agosto ci concediamo di puntare il nostro naso all’insù nell’attesa di vedere una stella cadente a cui affidare, in gran segreto, un nostro desiderio.

Ma non abbiamo un solo desiderio a disposizione. e non abbiamo solo la notte di San Lorenzo o il mese di agosto per connetterci con quella parte di noi più grande che si da il permesso di sognare qualcosa che ora non c’è.

Non ti serve una stella cadente per esprimere un desiderio: i desideri non hanno date, non hanno confini, non hanno scadenze.

Il tuo desiderio ti porta al di là di quello che sai di te.

Cosa aspetti a desiderare?

Hai bisogno di aiuto? Chiamami! Trovi i miei contatti qui, ti offro una consulenza gratuita per aiutarti a individuare i tuoi desideri e a scoprire quale percorso di Coaching intraprendere!

Un abbraccio,

Gina!

Stai vivendo pienamente la tua vita?

Stai vivendo pienamente la tua vita?

Stai vivendo pienamente? Stai godendo di tutte le opportunità che la vita ti offre, proprio ora, qui?

Ti propongo un piccolo gioco.

Prendi un pezzo di carta e una penna. Disegna un cerchio.

Ora colora la parte di cerchio che, a sensazione, rappresenta  la “pienezza” delle tue giornate. Non in termini di impegni, ma in termini della tua soddisfazione per quanto intensamente e pienamente vivi, di quante opportunità cogli o crei, di quanta varietà ci sia.

Se lo colorassi tutto significherebbe che la tua soddisfazione è pari al 100%.

E se è così, puoi anche smettere di leggere il mio articolo 😉 

Ma se non è così, colora uno spicchio pari a quella che potrebbe essere la tua soddisfazione, per come vivi le tue giornate. 

È più del 50%? Oppure meno? Quanto circa? (non prenderla troppo sul serio, non è un esercizio di geometria, è solo un’indicazione visiva della situazione attuale, che però può darti preziose consapevolezze)

Stai vivendo pienamente? Stai godendo di tutte le opportunità che la vita ti offre, proprio ora, qui?

Questa è una delle mie domande guida, una di quelle domande che mi faccio regolarmente e che mi permette di ricalcolare la rotta quando mi scopro a prendere una direzione che non mi piace o non mi soddisfa del tutto. E molto spesso la risposta è NO, non abbastanza. 

Ma come, dirai, proprio tu?  Eppure sì, mi succede. 

Proprio ieri parlavo con un paio di amiche della Rete al Femminile. Siamo andate a fare il bagno al tramonto per la prima volta da quando ci conosciamo. Raccontavo loro di come, nonostante io abbia raggiunto molte delle condizioni che desideravo, mi trovo spesso a non goderle appieno, a vivere “ristretta” rispetto a ciò che potrei fare e alla libertà di cui dispongo.

Ti riconosci anche tu? 

Aspetta a dire di no 😉 ora mi spiego meglio.

Vivo a pochi passi dal mare eppure, da quando abito in questa casa, non avevo ancora mai fatto il bagno al tramonto prima di ieri. E raramente scendo a fare un tuffo durante il giorno, sebbene io lavori principalmente da casa.

Ho voluto a tutti i costi una bicicletta perché immaginavo che avrei scorrazzato su e giù per il lungomare tutti i giorni e in tutte le stagioni, e invece finora l’ho fatto molto meno spesso di quanto avrei potuto.

Nei giorni in cui scrivo, o progetto un corso, potrei spostarmi con lo scooter, trovarmi un bel posticino all’aria aperta, andare ogni giorno in un caffè o in un bar diverso e lavorare da lì, eppure ho smesso di farlo da un bel po’. Certo, perché sto bene dove sto.

Eppure sento che così facendo, perdo qualcosa.

Il punto è che a me tutte quelle cose  piacciono molto, e soddisfano il mio bisogno di varietà (come ti raccontavo in questo post su Instagram) eppure mi trovo spesso a vivere in un’area più ristretta di come vorrei. Devo riconoscere che in parte questo è ancora lo strascico del lockdown, che ci ha ammaestrati a spostarci solo il necessario, a uscire di meno, a premeditare tutto (pensa a dove devi andare, stampa la certificazione, compilala, prendi la mascherina, non fare de-tour perché non sono concessi, non improvvisare, ecc).

Quindi in parte questa “ristrettezza” è ancora un sottoprodotto del periodo che abbiamo passato (quantomeno lo è per me). 

Ma non è tutto qui.

Siamo esseri abitudinari, nel bene e nel male, e da tutto ciò che è consuetudine traiamo benefici in termini di sicurezza, efficienza e “risparmio energetico”. Però perdiamo in spontaneità, perdiamo il contatto con il sentire che vorrebbe guidarci ma che non ascoltiamo mai abbastanza.  

Com’è che finiamo a escludere tutta una serie di possibilità, a tagliare via un sacco di strade, e ci restringiamo a fare un po’ sempre le stesse cose?

Magari la nostra vita è ricca e varia, non intendo dire che facciamo “poche” cose, ma piuttosto che non usciamo spesso dai nostri sentieri, per quanto ampi e avventurosi possano essere.

Da quanto tempo non fai una cosa che amavi fare, solo perché l’area all’interno della quale normalmente ti muovi non la comprende?

In quel fare qualcosa di nuovo che ci attira, in quel rifare qualcosa che ci siamo dimenticate esistere, nel tracciare nuove e più ampie strade fuori di noi, mettiamo in campo una parte più ampia di noi, ridiamo vita a delle parti che abbiamo trattenuto, incatenato, soppresso o addomesticato. 

Restringere il campo delle nostre esperienze ha un prezzo: non solo ci perdiamo la bellezza di quella specifica azione, ma atrofizziamo risorse, attitudini e inclinazioni. “Use it or lose it”- ciò che non usi, lo perdi.

Allora, cosa potresti riprometterti per questo agosto, per espandere un po’ le tue abitudini e possibilità, e riappropriarti così di alcune parti di te che avevi messo in stand-by?

Ti lancio una sfida, facile facile, ma che comunque richiede la tua determinazione e il tuo impegno e, prima ancora, la tua adesione.

Per questo agosto, fai almeno #unacosanuova al giorno.

Può essere cimentarti in uno sport che non hai mai fatto, fare una strada nuova per andare in uno dei tuoi posti abituali, noleggiare un tandem o un monopattino, contattare una persona che vorresti conoscere, assaggiare un cibo che non hai mai provato, iniziare la tua giornata ballando.

Magari si tratta di qualcosa che è del tutto nuova nella tua vita, o qualcosa che avevi smesso di fare, o puoi semplicemente scombinare alcuni dei tuoi orari, lasciandoti guidare dal tuo sentire, dal tuo desiderare.

Scatta una foto e condividila su Instagram con l’hashtag #unacosanuova e taggami @gina.abate.coaching: sarò felice di ricondividere le tue piccole e grandi imprese nelle mie stories, così da ispirare altre persone a vivere più pienamente e intensamente le infinite possibilità che ogni giorno si snodano davanti a noi, anche se non abbiamo occhi per vederle.

Io ho iniziato così:

Nell’ultima settimana, mentre ero in vacanza sulla mia isoletta del cuore,  ho già fatto un po’ di cose nuove, come: 

  • Noleggiare un kajak biposto con un’amica e portarci anche Wendy!  
  • Attraversare un boschetto di notte sotto un forte temporale, e prendere la pioggia perché c’era troppo vento per tenere aperto l’ombrello.
  • Andare in spiaggia in orari insoliti: al mattino presto, oppure alle 18.00 per stare fino a tardi.

E una volta tornata a casa mi sono accorta che, solo ponendoci un po’ di attenzione e avendo “messo in moto il volano”, ho iniziato a espandere le mie possibilità, come se il cervello avesse fame di cose nuove e diverse.

Nei prossimi giorni sicuramente vorrò provare il SUP,  vorrò imparare il ballo dell’estate, Jerusalema. e vorrò scompaginare i miei orari in modi nuovi (beh, in questo sono piuttosto brava 😉 ma mi alzerò l’asticella! )

E tu, cosa vuoi iniziare a fare di nuovo o di diverso?

Ricordati che non è un “fare per fare”: ogni cosa nuova apre le porte a nuove possibilità, attiva una nuova Te. E quella nuova te, chissà di cosa è capace.

Aspetto le tue condivisioni, perché #unacosanuova al giorno può aiutarci a essere più felici e più vivi.

Idea di felicità: diritto, scelta o stile di vita?

Idea di felicità: diritto, scelta o stile di vita?

L’idea di felicità che abbiamo si trasforma e si modifica nel corso della nostra vita. Ti racconto la mia esperienza in questo nuovo articolo!

Un’infanzia gioiosa

Da bambini non ci poniamo domande sulla felicità: viviamo intensamente quello che c’è, buono o meno buono, come se fosse l’unica cosa possibile.

Siamo mossi da qualcosa e lo facciamo: esploriamo, andiamo in bicicletta, giochiamo con gli animali, ci muoviamo intensamente, ascoltiamo storie, inventiamo storie…

O almeno questo era vero per i bambini della mia generazione, che andavano a scuola fino alle 12.30 e poi avevano un sacco di tempo libero. Scorrazzavamo liberi, inventavamo giochi, passeggiavamo a casa degli amici da soli, ci annoiavamo, andavamo in bicicletta senza caschetto e senza alcuna paura. Andavamo a letto dopo Carosello, tanto alla sera in tv non c’era niente di adatto a noi.

Eravamo fortunati perché non eravamo l’agenda piena come i bambini di oggi (almeno fino a prima del Covid-19). Si sa, dal vuoto nascono tante cose.

Da bambini la felicità è l’essenza di ciò che siamo, e ogni bambino avrebbe diritto a crescere in un ambiente dove questa felicità venga tutelata e garantita.

Il diritto alla felicità

Molte persone crescono ma continuano a pensare che questo diritto corrisponda al dovere di qualcun altro che, se non soddisfa i nostri bisogni e richieste, diventa “brutto e cattivo”.

Invece questo diritto passa direttamente nelle nostre mani, e abbiamo la responsabilità di occuparcene in prima persona: ho diritto ad essere felice e ho il dovere di occuparmene io stessa/o.

Come è cambiata la mia idea

Se cerco di ricostruire come sia avvenuto il passaggio da una felicità praticamente permanente come quella dei primi anni di vita, a una condizione più intermittente, a una condizione dettata da una o l’altra circostanza, prima di diventare di nuovo una condizione più stabile, mi sembra di rinvenirne le tracce negli anni delle elementari.

Negli anni dell’infanzia mi sentivo amata e apprezzata per quella che ero e semplicemente vivevo esprimendo le mie caratteristiche. Ciò è cambiato con l’inizio della scuola: qui ho i primi ricordi di paragoni e confronti con gli altri bambini e con diverse situazioni.

I paragoni non aiutano

Era il tempo delle prime le interazioni sociali non mediate dalla famiglia e ricordo di aver avuto pensieri come “la nostra casa è meno bella di quella di Paola”, “sono più magra di y” (e generalmente, a detta di tutti, ero sempre troppo magra!). “A salto in alto sono più brava di tutte le femmine della mia classe”; “Alessandra è più brava di me in aritmetica”. “Mio papà fa il lavoro più importante di tutti”; “Mia mamma è più elegante delle altre mamme”; “mia sorella è più brava di me a ginnastica”. Ognuna di queste valutazioni aveva il potere di farmi sentire più o meno bene, più o meno adeguata alle situazioni – e a questo si sommavano le valutazioni che fioccavano dall’esterno.

Soddisfare la condizione diventa vitale

Da lì è nata probabilmente l’idea che se avessi soddisfatto una certa condizione, sarei stata più felice. Alcune di quelle condizioni, non erano affatto modificabili, su altre ci si poteva lavorare, e altre ancora potevano realizzarsi con una certa facilità (come quella di ricevere una seconda Barbie per Natale).

Più o meno in quel periodo molte delle scelte iniziano ad essere condizionate da quello che pensiamo di ottenere “alla fine”, come risultato. Dimenticando, però, che gran parte della felicità deriva dal processo, dall’impegno che mettiamo, dall’utilizzo progressivo delle nostre capacità e del nostro potenziale che si libera.

La sfida con me stessa

Ricordo per esempio il giorno che con la scuola eravamo al campo sportivo per una gara di atletica, e io gareggiavo per i 60 metri piani, dove ero veramente capace.

Avevo scoperto chi fossero le mie avversarie, e pur sapendo che la gara sarebbe stata impegnativa, sapevo anche che avevo buone probabilità di vincere, dato che negli allenamenti le avevo già battute tutte.

Ad un certo punto però mi comunicarono che avrei dovuto gareggiare con le più piccole (ovvero, si erano accorti che IO ero un anno più piccola, avendo saltato la prima elementare, e quindi avrei dovuto gareggiare con quelle della mia età). Sapevo che quel gruppo era ancora più facile da battere, avevo praticamente la vittoria in mano… ma scoppiai in lacrime e non volli più partecipare alla gara. Certo, una scelta un po’ drastica e molto emotiva, ma ciò che volevo, evidentemente, non era vincere, bensì guadagnarmi la vittoria mettendo tutta me stessa. 

Il vero problema con la felicità è quando iniziamo a credere che sia quello stato che possiamo ottenere unicamente quando raggiungiamo gli obbiettivi e appaghiamo – o gli altri appagano –  i nostri desideri (o capricci). Finiamo così imprigionati in una spirale di insoddisfazione in cui la nostra natura felice si allontana sempre più da noi…

Ma c’è un’alternativa.

Felicità come scelta personale

Quando vivi la felicità come scelta personale e responsabile, ecco che ti impegni con te stessa/o a riconoscere una direzione buona per te e ad avere delle pratiche che ti permettano di far riaffiorare quella tua natura, incrementandola e rafforzandola ogni giorno, a prescindere dalle circostanze.

Nessuno di noi una volta che si è fatto la doccia dice “ora sono pulito” e smette di lavarsi. Non c’è chi, dopo aver rassettato la casa pensa “Bene, ora è a posto e non devo più occuparmene”. Neanche uno penserebbe che dopo aver innaffiato abbondantemente una pianta, non serva farlo mai più.

Eppure per quanto riguarda il nostro benessere e la nostra felicità, poche persone comprendono che è una piccola ma costante manutenzione da fare, e sono disposti a farla.

Ecco perché io vedo la Felicità come scelta dapprima, e poi come stile di vita.

Uno stile di vita che preveda uno spazio per l’ascolto di sè, per l’auto -conoscenza, per il vuoto – in cui non fare ma solo essere presenti. Che preveda l’abitudine di respirare,  muovere il proprio corpo, contattare le proprie passioni e nutrire le relazioni.

C’è un proverbio che dice: 

Per essere felice hai bisogno di qualcuno da amare, qualcosa da fare e un luogo dove andare.

Questo, se ci pensi, è sempre possibile.

Perché se anche ci fossero dei momenti in cui ti sembra di non avere nessuno da amare, quella persona puoi scegliere di essere tu.

Qualcosa da fare non è essere affaccendati in mille attività che hanno lo scopo di tenerti impegnata e farti sentire di avere una certa importanza, ma significa piuttosto sentire di stare dedicando il tuo tempo – o almeno una parte di esso – a qualcosa che abbia un senso, a crescere, imparare qualcosa, creare e condividere.

Un luogo dove andare significa una direzione, avere dei desideri verso i quali tendere, perché attraverso la dedizione a quei desideri e progetti (ammesso che siano veramente “tuoi”) si libera e si esprime il tuo potenziale. Nei momenti in cui non sai dove andare, puoi andare dentro di te, dove quello stato che cerchi, c’è già.

Concludendo, sulla felicità

Come diceva Aristotele, una vita felice la si può giudicare solo nel suo insieme, ed è una vita che è stata protesa verso l’espressione del proprio pieno potenziale.

Se sei in un momento in cui ti piacerebbe fare il punto della situazione, se vuoi utilizzare questi mesi per ripartire con chiarezza e slancio a settembre, contattami per valutare insieme il percorso breve di Coaching più adatto a te.