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Troppo comodi per essere felici?

Troppo comodi per essere felici?

Riavvicinarci alla natura e ad una certa dose di disagio può renderci più creativi, sani e felici. Scopri perché.

troppo comodi per essere felici - casa immersa nella natura

Prima dell’articolo “Troppo comodi per essere felici?”, leggi qui ⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

Siamo comodi… o troppo comodi? 

Siamo sempre a nostro agio: le nostre case hanno condizionatori per evitare il caldo, pavimenti riscaldati che ci evitano il fastidio di sentire il freddo sotto i piedi, abbiamo letti comodi e cuscini “memory foam”, nelle nostre automobili abbiamo sedili e volante riscaldati, telecamere che ci evitano di voltarci all’indietro. 

Abbiamo il wifi, la tv, la casa domotica, una scelta infinita di film e serie con cui intrattenerci, supermercati carichi di ogni sorta di genere di conforto, abbiamo vite sedentarie, lavoriamo -solo con la mente- seduti davanti a uno schermo e facciamo ginnastica (se la facciamo) all’interno di palestre confortevoli con video, musica e bibite energetiche.

 

Non siamo mai a disagio fisicamente, e questo sembrerebbe un bene.

Ma siamo sicuri che sia così?

 

 

Il comfort è importante 

 

Nella storia dell’evoluzione umana, abbiamo sempre ricercato un certo comfort perché allora poteva costituire la differenza tra la vita e la morte, tra la sopravvivenza della nostra progenie e l’estinzione del nostro DNA.

 

Ma dopo aver trovato un rifugio, del cibo, un riparo, l’uomo si è sempre rimesso in cammino: la sua vita era attiva (anche faticosa, diciamolo) e i rischi erano all’ordine del giorno.

Questa fatica e l’ingegno necessario a non soccombere ci hanno resi forti e creativi.

Come è naturale, abbiamo progressivamente cercato di creare delle condizioni dove la nostra vita non fosse più messa ogni giorno a repentaglio e dove tutta quella fatica non fosse più necessaria. Ma…

 

L’essere umano calca le sue orme su questo pianeta da circa 2,5 milioni di anni e, in quasi tutto questo tempo, la vita è stata caratterizzata da pericoli, disagio e fatica.

È solo da meno di 100 anni che le nostre vite sono diventate la fiera delle comodità!

 

Il nostro cervello però si evolve in modo molto più lento rispetto al progresso tecnologico. Come funzionamento infatti siamo ancora molto simili ai primi homo sapiens, con la differenza che ci siamo trovati catapultati in un contesto dove tutto ciò che ci ha resi forti e creativi non esiste più.

 

Questo, a quanto pare, ci ha fatto perdere qualcosa di importante.

Cosa abbiamo perso

 

Ecco cosa dice al riguardo Michael Easter, autore del libro “Troppo comodi” alla cui lettura mi sono dedicata quest’estate:

 

 “Ci mancano gli sforzi fisici, come il fatto di dover lavorare sodo per procurarci i mezzi di sussistenza. Abbiamo a disposizione troppi modi per intorpidirci, come il comfort food, le sigarette, l’alcool, le pillole, gli smartphone e la tv. 

Ci siamo distaccati da ciò che ci fa sentire felici e vivi, come i legami, l’immersione nel mondo naturale, gli sforzi fisici e la perseveranza.”

troppo comodi michael easter - copertina libro

Lo slittamento del comfort

 

Tutta questa comodità ha portato al fenomeno dello slittamento del comfort, che ci rende sempre meno soddisfatti e tolleranti nei confronti della stessa cosa. Io stessa mi rendo conto che quando il cellulare “non prende” a casa (e succede piuttosto spesso ahimè) per un attimo mi irrito come fosse un problema grave. Eppure solo 20 anni fa eravamo spesso in giro come dei rabdomanti a “cercare campo” per poter fare una telefonata, senza parlare del fatto che 40 anni fa questa comodità non esisteva nemmeno.

Insomma, ogni progresso riduce la nostra sopportazione del disagio, perché cambia la nostra percezione di ciò che è accettabile e cosa non lo è.

 

Ma se il confort di oggi è destinato a diventare il disagio di domani, siamo destinati a diventare sempre più dei mollaccioni incapaci di sopportare il più piccolo inconveniente e affrontare le minime reali difficoltà?

Dobbiamo forse rinunciare al riscaldamento e al telecomando e tornare a una vita spartana?

 

 

Non è necessario fare scelte estreme, ma inserire piccoli cambiamenti 

 

Per non perdere queste nostre importanti facoltà sembra che un parziale ritorno alla natura sia l’unica e indispensabile via da percorrere. Ma è possibile trovare un modo di farlo che sia compatibile con le nostre vite attuali?

 

Già in questo articolo ti ho parlato dell’importanza di resistere al continuo canto delle sirene del nostro smartphone, con le sue notifiche e gli stimoli continui che vengono dai social. Questo perché ritrovare la capacità di annoiarci può restituirci una creatività che è difficile far emergere quando sottoponiamo la nostra mente a continui stimoli.

 

Ma i benefici di un parziale ritorno alla natura sembrano essere molto più grandi: miglioramento della salute, longevità, miglioramento delle prestazioni fisiche e mentali, miglioramento dello stato emozionale e delle relazioni interpersonali. Non fa venire anche a te la voglia di esplorare questa possibilità?

Ma come farlo?

 

Nel libro, Easter ci suggerisce alcune possibilità per riconquistare la nostra parte selvaggia, felice e in salute. Te ne presento 3.

 

  1. il “bagno di foresta”
  2. 20 minuti, 5 ore, 3 giorni
  3. il misogi

E te le descrivo, nei paragrafi a seguire.

Il “bagno di foresta”

Si tratta di una semplice immersione in natura, con contemplazione della stessa (te ne ho parlato anche in uno dei miei post di settembre). 

 

20 minuti, 5 ore, 3 giorni

La ricercatrice Rachel Hopman, nativa digitale che ha deciso di studiare la “quantità di natura” e la frequenza che può risultare benefica per la nostra salute, per le nostre performance lavorative e la nostra creatività, ha condiviso queste scoperte:

20 minuti

  • 20 minuti di passeggiata al parco cittadino, o in un giardino o in un qualsiasi spazio verde o contesto semi-naturale, determinano nel nostro cervello profondi cambiamenti, rendendo la nostra mente più calma e ricettiva, creativa e produttiva. Possiamo anche solo passare accanto a degli alberi andando al bar, ma se li osserviamo ecco che l’effetto è assicurato. 
  • Se ripetiamo i 20 minuti per tre volte alla settimana, ecco che arrivano ulteriori benefici, tra cui l’abbassamento del cortisolo, l’ormone dello stress.
  • Attenzione! se in quei 20 minuti si utilizza il cellulare, i benefici vengono annullati!

5 ore al mese

Questa è la quantità di tempo (non consecutivo) che è stata identificata nello studio della Hopman come necessaria e sufficiente per amplificare i benefici. Questo sarebbe il tempo da passare in una dimensione “semi selvaggia” per sentirsi ulteriormente rilassati e rigenerati.

 

3 giorni

Se poi vogliamo farci un regalo davvero inestimabile, possiamo progettare 3 giorni in un luogo selvaggio, caratterizzato dall’assenza della rete mobile, la presenza di animali selvatici, la mancanza di servizi igienici e lontano dagli altri esseri umani. “L’effetto dei tre giorni”, si chiama proprio così, ci offre i benefici psicofisici di un ritiro di meditazione e permangono anche dopo essere tornati alla propria normalità

 

Il misogi

Questo è per chi è fortemente motivato. Consiste nell’individuare un’impresa fisica – bizzarra, creativa e inconsueta– che abbia meno del 50% di probabilità di essere da te realizzata, e iniziare a prepararsi per poterla compiere. Unica regola: non morire.

Come la penso, in conclusione


Sembra proprio che i contesti che abbiamo creato in cui vivere, le città, il cemento, le strade, il traffico, gli uffici, gli appartamenti, gli ambienti squadrati, l’illuminazione artificiale e la tecnologia mettano il nostro cervello altamente sotto pressione e gli facciano produrre una quantità di onde Beta veloci (quelle del cervello stressato) mai raggiunta prima d’ora nella storia. Il fatto di non stancarci mai davvero dal punto di vista fisico aggrava questo squilibrio.

 

Sembra però che la natura con le sue forme, i suoi frattali, i suoi colori e odori, le sue geometrie, i suoi movimenti costituisca un’informazione benefica sia a livello mentale che somatico che ci riporta “a casa”, a un benessere che ripristina tutte le nostre facoltà.

 

È perciò un investimento ad alto rendimento su sé stessi che forse vale la pena di fare.

 

Riuscirà questo a far sì che le diamo un po’ più di spazio nelle nostre vite frenetiche e distratte? 

 

Fammi sapere nei commenti cosa ne pensi.

Ascolta te stessa: se senti il bisogno di metterti scomoda, lasciare che la natura ti rigeneri, per ritrovare la tua essenza, non esitare a contattarmi. Creeremo il tuo percorso trasformativo, per ridare luce alle tue  caratteristiche e alla tua unicità.

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

E se la noia fosse un bene?

E se la noia fosse un bene?

I vantaggi della noia sono più di quanto tu pensi. Tuffiamoci insieme nel mare del dolce far niente. 

I vantaggi della noia sono più di quanto tu pen

Prima dell’articolo “La noia è un male”, leggi qui ⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

76

2617

145

5427

225

10

 

No, non sto dando i numeri. Lo sai a cosa corrispondono queste cifre?

 

76:  le volte in cui, mediamente, prendiamo il telefono in mano ogni giorno

2617: i “tocchi” sullo schermo dello stesso, di un utilizzatore medio, al giorno

145: i minuti che trascorriamo, mediamente al giorno, per compiere quei tocchi

5427: i “tocchi” giornalieri di un utilizzatore frenetico

225: i minuti passati per compiere quei tocchi

10: le ore passate mediamente al giorno davanti a uno schermo negli USA

 

Bene, a questo punto mi pare che i numeri li stiamo dando tutti quanti.

 

La noia come risorsa
 

Non mi voglio focalizzare sui danni che questo uso smodato della tecnologia ci provoca, come danni alla vista, alla produttività, alla nostra capacità di concentrarci, alle nostre relazioni – solo per menzionarne alcuni, ma quello che appare evidente è che in questa circostanza ci stiamo perdendo una risorsa potenzialmente preziosissima: la noia.

 

Cosa succede al nostro cervello quando ci annoiamo e cosa potrebbe succedere se sopprimessimo per sempre questa emozione?

 

Scopriamolo insieme.

 

Fino a qualche tempo fa andavo quasi fiera del fatto che “io non mi annoio mai”, perché questa parola aveva per me solo un’accezione negativa. (Non sono forse solo le persone noiose ad annoiarsi? non era forse l’ozio il padre di tutti i vizi?). 

A un certo punto, però, mi sono imbattuta in alcuni studi che spiegavano quanto questa visione fosse un equivoco e tessevano le doti della noia. Questa emozione, nonostante noi la giudichiamo talmente negativa e spiacevole da allontanarcene in ogni modo possibile, è stata un ingrediente fondamentale della nostra evoluzione in questi 2,5 milioni di anni sulla terra.

 

 

Innanzitutto, chiariamoci su cosa sia la noia e di quali siano i suoi potenziali doni, e chissà se alla fine dell’articolo anche tu avrai un po’ cambiato idea su di lei.

 

 

Ti presento… la noia

 

Sicuramente ti sarà capitato di provarla.

La noia non è ciò che provi quando non hai niente da fare, ma quando niente delle cose che hai da fare, o che potresti fare, ti attrae. È caratterizzata da assenza di concentrazione, irrequietezza ma anche un senso di letargia: in pratica è quando ci sentiamo “sotto-occupati”.

 

È una sensazione che giudichiamo spiacevole, perciò oggi con tutte le app, i social e le notizie a disposizione nel nostro smartphone, in ogni pausa, al semaforo, camminando per strada, in attesa della cena al ristorante, ma anche sul divano e a tavola con la famiglia o quando nostro figlio ci parla – è fin troppo facile intrattenersi pur di evitarla.

 

Cosa ci perdiamo?

Quando ci annoiamo, per esempio piegando la biancheria o aspettando il nostro turno dal dentista, il nostro cervello attiva quella che si chiama modalità di default (default mode network).

Il nostro corpo innesta il pilota automatico ma, controintuitivamente, il nostro cervello diventa particolarmente attivo. Quando la mente non è impegnata in un’attività… impegnativa 😉 inizia a vagare. Ecco che si attivano connessioni diverse, si attiva una modalità di pensiero che è sotto il livello cosciente, e possono arrivarci idee, soluzioni creative a un problema che ci infastidiva da tempo, o può scattare il desiderio di un qualcosa che vogliamo creare o raggiungere nella nostra vita.

 

In quella modalità, facciamo quella che gli studiosi hanno definito “pianificazione autobiografica” (autobiographical planning), ovvero riflettiamo su momenti passati e immaginiamo nuovi possibili traguardi e come potremmo arrivarci.

 

Insomma, è una condizione particolarmente fertile, se ce la concediamo.

 

La noia è allo stesso tempo un segnale e una spinta motivazionale. Il segnale ci dice che non stiamo facendo quello che vorremmo fare e la spinta motivazionale ci suggerisce di darci degli obiettivi e progettare cose nuove.

 

E non solo la noia ci spinge a fare qualcosa per noi stessi, ma ci rende più altruisti e ci fa venire voglia di fare qualcosa per gli altri, come per esempio fare del volontariato o offrirsi per donare sangue.

 

Pianificare al minuto? No, grazie.

Se, però, riempiamo ogni momento di attività, se sfruttiamo ogni attimo per aggiornare i social, verificare se abbiamo notifiche, rispondere alle email, scaricare un documento, ci perdiamo questa possibilità. E non è tutto. Attraverso questo zompettare da un’attività all’altra, sottoponiamo il nostro cervello a uno sforzo di attenzione continuo e a un consumo smodato di energia.

 

Inoltre spesso “ci perdiamo l’attimo”, non ci accorgiamo delle persone che abbiamo accanto, delle bellezze della natura, di quello che succede a pochi metri da noi, come testimonia benissimo questa foto scattata dal fotografo Eric Smith nelle acque della California, in cui una balena passa a fianco della barca a vela ma lo skipper non si accorge di nulla, perché totalmente immerso nel suo mondo virtuale.

Il potere salvifico della noia

La noia, nelle sue evoluzioni


Nel 2008 la nostra attenzione al lavoro shiftava ogni 3 minuti. Nel 2018 ogni 45 secondi. Ora ho fin paura di sapere a quale ping-pong attentivo sottoponiamo il nostro povero cervello.

 

Ma tornare indietro, lo sappiamo, non è un’opzione. Cosa possiamo fare, quindi?

 

Nella mia ricerca, ho trovato due fonti di ispirazione per tentare di recuperare la nostra brillante creatività e la nostra salute mentale (e non solo): il primo è attraverso un uso ponderato dei potenti strumenti tecnologici di cui disponiamo – (ed è il tema di questo articolo).

 

Il secondo è attraverso una rinaturalizzazione della vita, un ritorno almeno parziale a una vita più naturale e meno comoda che ci permetta di recuperare alcune importanti caratteristiche appartenute per milioni di anni alla vita dei nostri antenati, e necessarie più che mai per migliorare la qualità della nostra “unica vita, selvaggia e preziosa”, per dirlo con le parole di Mary Olivier.

 

E di questo ti parlerò prossimamente. ⏭️

 

 

Annoiati e geniali: L’arte perduta di creare spazio  

 

La giornalista Manoush Zomorodi nel 2015 ha messo a punto il progetto Bored and brilliant (annoiati e brillanti, per l’appunto) per aiutare le persone a diventare più consapevoli del loro rapporto con il proprio cellulare e con l’iperconnettività.

 

Il progetto invitava i partecipanti a compiere diverse sfide, quali stare un’intera giornata con il telefono fuori dalla propria portata, andare nelle impostazioni e togliere tutte le notifiche, cancellare la o le app che l’utente giudicava più “ladre di tempo”.

 

È sempre più difficile vincere questa battaglia, perché da una parte ci siamo noi che non siamo più abituati al disagio del “vuoto” e che sfruttiamo ogni attimo per fare qualcosa pur di non rimanere soli con i nostri pensieri.

Dall’altra ci sono fior fiore di ingegneri ed esperti che studiano giorno e notte come attirare la nostra attenzione più spesso e più a lungo possibile, perché la nostra attenzione vale un sacco di quattrini.

 

Nonostante le difficoltà, i partecipanti hanno giocato con slancio e determinazione e, dopo aver superato qualche vera e propria “crisi di astinenza”, hanno superato le sfide riportando una maggiore energia, chiarezza e… felicità: avevano recuperato un bel po’ di tempo ma soprattutto si sentivano di nuovo alla guida della propria vita e non costantemente in reazione alle richieste provenienti dal proprio smartphone.

 

La cosa curiosa è che i più giovani, quelli nati e cresciuti con la tecnologia, hanno riferito di aver provato emozioni (non proprio piacevoli) mai provate prima! Insomma, non si erano mai annoiati prima di allora, perché al minimo segnale di “vuoto”, avevano sempre risposto prendendo il cellulare in mano.

 

 

 La noia… quanti ricordi!

Se ci pensi, chi non ha mai vissuto senza internet, e di conseguenza senza Netflix, Youtube, Facebook, Twitter, Whatsapp, Snapchat e tutte le notizie che la rete ci propin… ahem, propone, non sa quello che si provava da bambini nei pomeriggi d’estate quando non si vedeva l’ora di tornare in giardino a giocare ma bisognava rispettare “l’ora del riposo” altrimenti poi il “capo casa” chi lo sentiva…

O quello che si provava al mare, nell’interminabile attesa di poter tornare a fare il bagno dopo aver pranzato, le fatidiche due ore più lunghe della vita anche dopo aver mangiato solo un panino.

O quello che provavi nei pomeriggi d’inverno, quando non potevi uscire e non c’era niente alla tv (ma non niente di bello, proprio niente di niente, oltre che le righe colorate verticali su gli unici tre canali esistenti) 

 

Noia, era noia.

Ma in quella noia dovevi ingegnarti, muoverti, inventare, pensare, farti domande, escogitare scappatoie, immaginare, esplorare, creare.



La noia può curare la tua creatività

La noia è generatrice di progresso

 

L’essere umano si è evoluto attraverso prolungati periodi di noia e questo ci ha costretti a pensare nuovi modi di vedere il mondo: da lì il prosperare dell’arte, della filosofia, della letteratura, delle invenzioni, della scienza!

 

La creatività oggi è più necessaria che mai e sarà l’abilità numero uno che verrà richiesta al lavoro alle nuove generazioni per affrontare il futuro. Di questo passo però il rischio è che venga uccisa, o per lo meno tramortita pericolosamente, attraverso l’abuso dell’intrattenimento tecnologico e l’assenza della noia.

 

 

Vogliamo provare a cambiare le cose?

 

È solo una proposta, un esperimento da fare con curiosità, se ti va.

 

➡️ La prossima volta che, senza nemmeno pensarci, ti ritrovi con il telefono in mano, prova a chiederti: “Cosa sto cercando veramente?”

E se devi rispondere a una mail urgente, fallo e non pensarci più.

 

Ma se invece ti accorgi che stai cercando di intrattenerti, di distrarti per evitare di sentire qualsiasi leggero disagio – come solitudine, stress che vuoi alleviare, FOMO (fear of missing out: la paura di perderti qualcosa) o… noia – rimetti in tasca il telefono.

 

Respira, guarda il cielo, osserva i tuoi polpastrelli.

 

    • Se anche solo una piccola parte di quei 2617 tocchi destinati allo schermo ogni giorno li destinassi per fare una carezza a qualcuno che ami, o a toccare la corteccia ruvida di un albero, o a toccare i petali di un fiore, o se facessi una carezza a te stessa/o, come cambierebbe la tua vita?

       

    • E se la prossima volta che ti ritrovi a camminare per strada ti imponessi di guardarti intorno e sorridere, anziché mandare audio e rispondere a Whatsapp?

    • E se almeno un’ora prima di andare a letto tu spegnessi tutto e ti ingegnassi a fare qualcosa di diverso, cosa potrebbe emergere da una parte inascoltata di te? 

    • E se, quando senti quella noia e quell’irrequietezza, cercassi di capire dove ti vogliono portare, piuttosto che annegarle in un mare di distrazione?  

Io ho deciso di accettare la sfida, e tu?

Fammelo sapere nei commenti.



Ascolta te stessa: se senti il bisogno di fermarti, lasciare che la noia ti attraversi, per ritrovare la tua creatività, non esitare a contattarmi. Creeremo il tuo percorso trasformativo, per ridare luce alle tue  caratteristiche e alla tua unicità.

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

Donna selvaggia, abbraccia la tua natura

Donna selvaggia, abbraccia la tua natura

La donna selvaggia, la donna “naturale” giace, più o meno sopita, dentro di noi, in attesa di essere risvegliata.

donna selvaggia, abbraccia la tua natura

Prima dell’articolo “Donna selvaggia, abbraccia la tua natura”, leggi qui ⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

L’archetipo della donna selvaggia
 

Come sarebbe se ogni giorno fossimo in contatto con una parte di noi piena di energia e creatività, di capacità di adattamento e resistenza agli urti, una parte vitale, ispirata e ispiratrice, saggia e sintonizzata con la natura?

 

Queste sono solo alcune delle caratteristiche femminili ancestrali, a cui possiamo attingere se sappiamo fare ritorno all’archetipo della donna selvaggia, la donna “naturale” che giace, più o meno sopita, dentro di noi, in attesa di essere risvegliata.

  

Che fare per risvegliare il femminile selvaggio e soprattutto, perché mai dovremmo?

A vivere disconnesse dalla forza ancestrale della donna selvaggia, ne risente il nostro corpo, la nostra salute, la capacità di auto guarigione – oltre che la capacità di orientarci nelle scelte della nostra vita.

Ne risentono le nostre emozioni e  anche la psiche: dipendenze, depressioni e perdita di senso sono purtroppo all’ordine del giorno nella nostra società.

Riconnettersi al nostro femminile selvaggio ci permette di sintonizzarsi con una forza naturale che spesso non sappiamo nemmeno di avere. 

Innanzitutto, impariamo a riconoscerla

Ma quali sono le caratteristiche della “donna selvaggia” e come siamo invece quando siamo disconnesse da quella straordinaria fonte di energia, vitalità e potere personale?

 

C’è qualcosa di magico in una donna quando è nel suo potere. In lei c’è passione, ha fiducia in se stessa, è giocosa, creativa, sensibile, intuitiva, compassionevole. In lei traspare una primitiva bellezza, indipendentemente dall’età o dalle sue caratteristiche fisiche.

 

Quando una donna riconosce e incorpora il suo potere è fiera e piena di grazia, sa quando essere instancabile e determinata e quando invece lasciar andare, rallentare e prendersi cura di sé. È in contatto con la sua saggezza e si fida della sua intuizione.

 

Se la lasciamo andare, si spegne la nostra energia

Al contrario, quando una donna ha perso il contatto con il suo potere naturale, quello della “donna selvaggia”, è insicura, dubita di se stessa, ha difficoltà a mettere confini e farli rispettare, e cade facilmente in comportamenti manipolativi, passivo-aggressivi o si sforza di compiacere gli altri per ottenere ciò di cui ha bisogno e che non riesce a richiedere in modo assertivo. 

 

Può cercare approvazione “fuori” quando l’unica approvazione di cui ha bisogno è la propria.

Può essere sprovveduta, timida o diventare aggressiva, come se avesse difficoltà a dosare quel fuoco che è parte della sua natura.

È giudicante, verso se stessa e verso gli altri, con cui si paragona costantemente, uscendone a volte vittoriosa e a volte sconfitta- ma sono due facce della stessa medaglia.

 

È come se la luce dentro di lei si fosse smorzata, o spenta e lei cercasse disperatamente nuovi modi per riattivarla. Ma le cose materiali, o le altre persone, non possono farlo per lei.

 

È come se ci fosse un vuoto, un’emorragia energetica che tenta di riempire con cibo, relazioni, dipendenze- anche socialmente accettate e apprezzate come superlavoro, esserci sempre per tutti – tranne che per sè- raggiungere obiettivi che le portano lustro e onore. Ma quel vuoto resta lì.

 

Giudica se stessa, le sue idee, il suo operato, il suo corpo, il suo look, le sue emozioni, le sue paure. E, per questo, sente di non potersi mostrare integralmente, e nasconde parti di sé. Che fatica!

 

La riconnessione con la donna selvaggia

 

Per ritrovarsi, lei dovrà riconnettersi alla terra, alla natura, di cui è sempre stata custode e protettrice, e che è sempre lì, pronta a nutrirla e far scorrere nuovamente linfa vitale nelle sue vene.

E dovrà cercare dentro di sé ciò che le manca: il contatto con se stessa e con il suo spirito.

 

Ridiventare selvaggia non significa andare in giro con i capelli grigi e in disordine come una strega e le unghie sporche di terra (a meno che non ti piaccia così! 😉 ): significa entrare più in contatto con la propria natura, con il corpo,  il cuore, l’anima e ricordare, infine, il tuo sé autentico.

 

Per poterlo fare, serve

  • iniziare ad accettare ogni parte di sé (l’ho scritto anche in questo post), 
  • avere delle pratiche per ritrovare il proprio centro, il proprio radicamento, 
  • e riconoscere, fra tutte, il suono della propria voce.

Ora ti suggerirò due pratiche che ti aiuteranno proprio in questo.

 

La prima via: mettere in luce ciò che non ami di te e imparare ad amarlo

 

Iniziare ad amare noi stesse in tutta la nostra interezza e “traslocare dalla testa al corpo” sono le due vie che sinergicamente ti riporteranno a rivivere l’energia e la potenza della tua donna selvaggia.

Parlati in modo autentico e sincero

Per ritrovare la tua voce, la tua intuizione, la tua guida interiore, è necessario che tu sappia riconoscere la tua verità. Questo significa non nascondere a te stessa le tue emozioni e i tuoi sentimenti. Una volta riconosciuti e integrati, inizierai a essere integra e autentica anche con gli altri e nelle varie situazioni della tua vita.

 

Ecco alcune domande che ti aiuteranno in questo processo:

di cosa mi vergogno?

cosa sto negando?

per cosa mi sento in colpa?

cosa non funziona per me?

cosa non vorrei mai che gli altri sapessero/vedessero di me?

 

Rispondi per iscritto a queste domande, fanne un’abitudine per un po’ di tempo e semplicemente riconosci quello che emerge. Non giudicare, non voler “aggiustare”, modificare o cambiare.

 

Tenere nascoste quelle verità ti costa un sacco di energie, perciò riconoscile a te stessa, permetti loro di salire in superficie e di fluire, perdendo così la loro intensità e il loro potere.

 

 

La seconda via: riconnetterti alla tua donna selvaggia

 

La seconda via è trovare, o ritrovare, delle attività che ci permettano di sentirci vive, sentire il corpo così tanto da non riuscire a sentire più il brusio dei pensieri.

 

Le domande  da farti qui sono molto semplici:

cosa mi fa sentire viva?

cosa mi fa sentire autenticamente bene?

quando mi sento veramente io?

 

A volte le risposte potranno indicarti attività relativamente semplici da fare, come danzare, abbracciare gli alberi, fare passeggiate in natura o fare un giro in bici o in canoa.

 

Altre volte potranno metterti davanti al fatto che hai lasciato indietro una parte di te, che forse desiderava o amava viaggiare da sola, o fare rafting sui fiumi, o fare lunghe passeggiate a cavallo o scendere nelle viscere della terra e visitare le grotte.

 

Allora ti chiederai come riavvicinarti, con garbo e tutte le protezioni che senti necessarie, a quelle attività o imprese.

 

Io ho avuto diversi richiami in questo senso, tanto che nel momento in cui scrivo sto per partire per il Marocco in un viaggio on-the-road con alcune amiche (e al mio ritorno non mancherò di raccontarti!)

 

Queste sono solo due delle tante pratiche che ti possono aiutare a riconnetterti alla tua donna selvaggia, integra, libera e nel suo potere.

 

Se vuoi lavorare su questi temi puoi contattarmi.

Resta in contatto con te stessa

Come sempre conoscere se stessi è la base sulla quale costruire una vita più felice e in linea con sé, che si tratti di relazioni, scelte professionali, la creazione di una nuova impresa o trovare un hobby in cui incanalare la nostra passione e i nostri talenti.

 

Ascolta te stessa: se senti il bisogno di tornare a liberare la tua energia, tornando alla tua natura di donna selvaggia non esitare a contattarmi. Creeremo il tuo percorso trasformativo, per ridare luce alle tue  caratteristiche e alla tua unicità.

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Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

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Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

Sei una Persona Altamente Sensibile?

Sei una Persona Altamente Sensibile?

Scopriamo insieme ciò che contraddistingue una Persona Altamente Sensibile. Ti riconosci?

Persona Altamente Sensibile: sei una di noi?

Prima dell’articolo “Sei una Persona Altamente Sensibile?”, leggi qui⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

Ti hanno mai detto:
 

Sei sempre la solita esagerata

Mamma mia che suscettibile!

Non dovresti prendere sempre tutto così sul serio…

Ma perché piangi adesso?

Non so se ti sia capitato lo stesso. Da sempre mi sono sentita dire cose del genere, soprattutto da piccola, e da sempre mi sono resa conto che le mie percezioni e reazioni non erano come quelle della maggior parte delle persone.

 

Quindi ho sempre saputo di essere una “persona altamente sensibile”.

 

Quello che invece non sapevo, è che questa non è una semplice caratteristica né tantomeno un difetto, ma un tratto della personalità ereditario (come gli occhi neri o azzurri e tutto il resto). Oltre a questo, ho appreso che, a partire dagli anni 90, le persone “portatrici” di questo tratto della personalità sono state oggetto di studi e ricerche. 

 

E sono emerse delle cose molto interessanti.

Forse anche tu sei una PAS, Persona Altamente Sensibile, (dall’inglese HSP, High Sensitive Person, detta anche persona ad alto funzionamento) e non sai di esserlo. E magari anche tu hai pensato mille volte di essere sbagliata, non adatta, difettosa.

E se non sei tu ad essere una PAS, sicuramente hai un amico, familiare, collega che lo è: conoscere le caratteristiche e il funzionamento di una Persona Altamente Sensibile ti potrà aiutare a capirti e capirla meglio.

 

Persona Altamente Sensibile, una scoperta relativamente recente

 

La definizione esatta di questo tratto è Sensibilità di elaborazione sensoriale (Sensory Processing Sensitivity). La prima a compiere degli studi su questo è stata la dott.ssa Elaine Aron, ricercatrice in psicologia, docente universitaria, psicoterapeuta e scrittrice, che aveva soprattutto bisogno di comprendere sé stessa e il suo funzionamento. Gli studi, effettuati con il marito neurologo, risalgono ai primi anni 90 e la divulgazione delle ricerche ad un pubblico più ampio è avvenuta a partire dal 2012.

 

Anche alla dott.ssa Aron era capitato molte volte che colleghi ed amici la definissero “troppo sensibile”, complicata, diversa, così le era nata la curiosità e necessità di capire cosa ci fosse dietro a quella complessità di percezione, quel mondo emotivo così multisfaccettato ed intenso, quell’empatia e intuito così sviluppati, e quella difficoltà a gestire i troppi stimoli, le cattive notizie o le critiche.

 

 

In cosa consiste la Sensibilità di elaborazione sensoriale e perché sarebbe importante conoscerla?

 

Circa 1 persona su 5 è una Persona Altamente Sensibile. E quasi sicuramente non sa di esserlo.

Di conseguenza, non sa come trattare se stessa per non rimanere vittima degli svantaggi di questo tratto della personalità, né sa come metterne a frutto i vantaggi.

 

Credi di essere una PAS?

Con leggerezza e curiosità, leggi le seguenti domande e vedi se ti riconosci più di qualche volta:

 

  1. Intuisci lo stato d’animo degli altri e spesso ne vieni influenzata/o?
  2. Cogli i minimi dettagli e ti accorgi dei più piccoli cambiamenti?
  3. Soffri molto dinanzi alle ingiustizie o ai problemi ambientali?
  4. Una battuta su di te ti ferisce?
  5. Ti è impossibile prendere in giro qualcuno, anche se per scherzo?
  6. Sei molto sensibile al dolore fisico ed emotivo, anche quello degli altri?
  7. Ti è insopportabile la vista di scene di violenza o crude alla tv, anche se “finte”?
  8. Rimugini molto spesso su tutto?
  9. Hai un contatto profondo e quasi salvifico con la natura?
  10. Ami stare vicino all’acqua o trovartici dentro?
  11. Quando hai fame diventi intrattabile?

 

Se ti riconosci in qualcuno di questi aspetti, potresti essere una Persona Altamente Sensibile 😊 

Questa condizione porta con sè degli svantaggi facilmente intuibili. In questo nostro mondo avere un eccesso di empatia, di sensibilità ai rumori o al “brutto”, una tendenza a pensare molto e soppesare tutto, essere in contatto costante con le emozioni proprie e quelle altrui, può rendere la vita decisamente difficile.

Non sei la sola

 

Ma se Madre Natura si è presa la briga di diffondere queste caratteristiche a circa 1/5 della sua popolazione, evidentemente ha ritenuto che queste portassero con sè qualche vantaggio per la collettività.

 

E infatti è così.

 

Questa caratteristica è presente anche in molte specie animali in natura e gli individui che la portano, sono in grado di memorizzare meglio degli altri le esperienze negative – quindi potenzialmente pericolose per il gruppo – e le opportunità. Lo fanno a loro spese, ma i vantaggi vanno a beneficio della collettività. Quindi questi individui sono particolarmente utili.

 

 

E negli umani? Vantaggi  e svantaggi dell’alta sensibilità

 

L’acronimo DOES può aiutarti a riconoscere e iniziare a comprendere l’alta sensibilità, in te stessa in primis, ma anche negli altri.

 

  •     D come depth, profondità di elaborazione. Sei una specie di detective: osservi, noti e registri tutto, intuisci ma anche rifletti molto. Questo ti permette di accorgerti di cose che gli altri non notano per niente e di intuire i potenziali pericoli o le opportunità. 

 

  •     O come over-stimulation, sovrastimolazione. Questo superlavoro di osservazione e analisi può risultare molto stancante per il sistema nervoso. Perciò, se non impari dall’esperienza, tenderai ad affaticarti in molte situazioni che per gli altri risultano “normali” e piacevoli, potresti sentirti a disagio e tendere ad isolarti.

 

  •     E come emphasis e empathy, enfasi emotiva ed empatia . Sei costantemente in contatto con le tue emozioni e quelle delle persone intorno a te, sentendole con grande intensità e saresti portata/o anche a reagire come fossero tue. Questo ti da un vantaggio nel comprendere gli altri ma spesso ti rende molto vulnerabile, come fossi “senza pelle”.

 

  •     S come subtleties, dettagli. Indica la tendenza a notare i più piccoli particolari dell’ambiente esterno (odori, luci, suoni, cambiamenti) ma anche quelli interni – propri e altrui (vissuti, esperienze passate, sentimenti). Questa micro-percezione regala un vantaggio individuale e per la collettività, perché produce risposte intelligenti e adattative, ma allo stesso tempo è alla base della sovra stimolazione che rende affaticati, schivi o “eccessivamente reattivi“.

 

Non sei difettosa

 

Il vantaggio di sapere (finalmente!) di essere una PAS credo sia soprattutto questo.

 

Se per anni anche tu ti sei giudicata male perché ti senti “senza pelle” davanti a soprusi e ingiustizie 

 

se hai pensato mille volte di avere qualcosa che non va perché senti su di te tutta la sofferenza del mondo, da una formica schiacciata per sbaglio, alle guerre, ai terremoti

se ti sei sentita sbagliata e troppo sensibile perchè una discussione con qualcuno ti “resta addosso” per giorni

 

se hai pensato di avere qualcosa che non va perchè agli aperitivi o alle cene numerose ti sei senti come un pesce fuor d’acqua e non sai mai di cosa parlare….

 

se ti sei sempre sentita “strana/o” perché quando entri in un locale troppo affollato e rumoroso vorresti dartela a gambe levate

 

ora sai che non c’è nulla che non va in te.

 

 

Hai una sensibilità di percezioni particolare, come l’occhio azzurro o la pelle chiara nei confronti del sole.

 

Nessuno con gli occhi azzurri penserebbe mai di avere qualcosa che non va solo perché è più sensibile alla luce: lo sa e si porta dietro gli occhiali da sole.

 

Ecco. 

Ora anche tu sai di avere una sensibilità particolare a qualcosa.

Rende la vita un po’ più difficile? Sicuramente sì.

 

Ma ricordati che porta con sè anche dei grandi doni, a una condizione. 

Per capitalizzare la ricchezza di informazioni che, in ogni momento, sei in grado di percepire e raccogliere 

devi imparare a trattarti bene, avere cura della tua sensibilità per non andare in tilt

 

E ora ti spiego come.

 

 

Come gestire la tua alta sensibilità 

 

  •   Tratta bene il corpo: se sei stanca/o riposati, mangia sano e poco raffinato, evita gli zuccheri: il tuo sistema nervoso è già molto sensibile e ha bisogno di stabilità, non di essere iperstimolato.

 

  •  Evita gli eccitanti – per te sono delle vere e proprie bombe!

 

  •  Fai attività fisica regolare: la tendenza al rimugino e gli alti livelli di cortisolo nel sangue troveranno un maggior equilibrio. Se poi pratichi anche yoga e meditazione, ti sarai fatta un vero regalo.

 

  •  Dormi tanto: per recuperare l’iperattività del tuo sistema nervoso è davvero indispensabile e per scivolare nel sonno, se la tua mente è ancora molto attiva, crea una tua routine di rallentamento e relax e attieniti ad essa.

 

  •  Crea dei rituali adatti a te: a causa del tuo sentire multisfaccettato, sai che è facile per te “perderti”. I rituali (una sequenza di azioni benefiche che sceglierai con cura) ti aiutano a metterti nelle condizioni di funzionare bene.

 

  •   Crea un dialogo interiore amorevole: accorgiti che i tuoi pensieri si esprimono sotto forma di parole e crea dei mantra che siano in grado di interrompere il rimugino o l’iperattivazione.

 

  •    Be mindful: sii presente e cerca di fare una cosa alla volta, immergendoti il più possibile, con tutti i sensi e respirando, nell’attività che svolgi.

 

  •   Cerca di prenderti il giusto tempo per fare le cose: essere in ritardo è molto stressante per una Persona Altamente Sensibile (io questa lezione la devo ancora imparare 😅)

 

Il fatto di “avere un’etichetta” non è una scusa, ma comporta piuttosto una maggiore responsabilità

 

Queste linee guida, come vedi, sono dei consigli di buon senso per chiunque, PAS e non PAS. Ma per le persone ad alto funzionamento rappresentano dei passaggi indispensabili per mantenere l’equilibrio e per ritrovarlo quando, inevitabilmente, la complessità della vita ce lo farà perdere.

Sapere di avere certe caratteristiche non deve metterti nella posizione di pretendere dagli altri un trattamento di favore. Piuttosto, dovrebbe portarti a sviluppare:

  1. una maggior consapevolezza di cosa fa per te e cosa non lo fa,
  2. la scelta di essere auto-responsabile nel proteggerti dagli eccessi di stimoli cui la vita quotidiana inevitabilmente ci sottopone.

Resta in contatto con te stessa

Come sempre conoscere se stessi è la base sulla quale costruire una vita più felice e in linea con sé, che si tratti di relazioni, scelte professionali, la creazione di una nuova impresa o trovare un hobby in cui incanalare la nostra passione e i nostri talenti.

 

È per questo che continuo a studiare e a formarmi, per poter accompagnare con sempre maggior efficacia le persone che si rivolgono a me per un percorso di coaching, nel pieno rispetto delle loro caratteristiche e della propria unicità.

Per saperne di più sull’argomento PAS

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

Confusione. Come uscirne rientrando nel flusso della vita. 

Confusione. Come uscirne rientrando nel flusso della vita. 

La confusione annebbia le tue capacità? Ecco come tornare a vederci chiaro, ri-allineandoti al tuo normale flusso di vita. 

Confusione. Come uscirne rientrando nel flusso della vita.

Prima dell’articolo “Confusione. Come uscirne rientrando nel flusso della vita.“, leggi qui⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

 

SOS chiarezza cercasi 

 

Potrei raccontare del “Metodo” del dottor Stutz.

Oppure raccontare qualcuna delle trasformazioni delle mie clienti nelle sessioni dell’ultima settimana…

E se invece condividessi qualcosa del seminario sull’Amore e le sue forme che ho appena frequentato?

O magari sarebbe più interessante se….

 

Quante volte mi trovo in questo vortice di confusione quando arriva il momento di scrivere. La mente rimbalza da una possibilità all’altra, nessuna delle quali sembra mai essere “quella giusta”.

D’altronde sul mio comodino i titoli dei libri in lettura – e rilettura- spaziano da “La Regola del non lamentarsi”, alla “Leadership essenziale”, a “Comprendere il cane”, “C’era una volta il bambino”, a “How to be loving”, fino al nuovissimo “Troppo comodi”, solo per citarne alcuni.

 

Solo nel campo della crescita personale ho talmente tante curiosità che spesso non so scegliere a cosa dedicarmi né cosa condividere (escludendo i cani 😉)

 

Sicura che il problema sia proprio questo?

Forse il punto non è la multipotenzialità o la sovrabbondanza di interessi.

Forse sono vittima anch’io del morbo che attacca la maggior parte delle persone quando si tratta di condividere il proprio lavoro creativo. E se senti che questo ti risuona, probabilmente te la passi come me. 

Forse anche tu da qualche parte hai paura (che non interessi, che sia banale, che non sia la cosa giusta, che non venga bene, che non piaccia), cerchi la perfezione e, non trovandola da nessuna parte, ci giri intorno per ore, giorni, settimane, perdendo tempo, energia e brandelli di autostima.

 

Perché siamo così preoccupate quando si tratta di condividere il nostro lavoro creativo?

Probabilmente perché, pensando che venga “da noi”, tendiamo a identificarci con esso. Perciò se non viene bene, c’è qualcosa che non va in te, o in me. O almeno questa è la convinzione che si sviluppa in quel momento.

 

Lo spiega bene, in un Ted Talk dal titolo “Your elusive creative genius”, l’autrice del bestseller internazionale “Mangia, prega, ama”, Liz Gilbert.

 

La situazione dell’autrice è ulteriormente aggravata dal fatto che, dopo un successo del calibro del suo best seller, qualsiasi successiva creazione verrà sempre paragonata a quel libro, che difficilmente verrà eguagliato e trasformato in un fortunatissimo film con interpreti del calibro di Julia Roberts e Javier Bardem. 

Non dev’essere facile continuare il proprio lavoro quando sai che il tuo maggiore successo è, quasi sicuramente, alle tue spalle: è uno di quei pensieri che potrebbe spingere chiunque a scegliere la via dell’alcolismo 

Come alleggerirsi? Riconoscendo che non è tutta farina del tuo sacco

La Gilbert ricorda che, come pensavano gli antichi Greci e antichi Romani, il “tuo genio” non è di tua proprietà, ma è piuttosto una scintilla divina a cui, facendosi canale, permetti di operare attraverso di te.

Dovresti, in realtà, metterti da parte e permettere a quel genio di manifestarsi, se lo vorrà. Non puoi decidere se e quando accadrà, puoi solo essere pronta ad accoglierlo.

Fatti trovare pronta, allontana la confusione

E per farti trovare pronta, devi fare la tua parte: destinare il tempo, le energie, l’amore, il focus, l’intenzione. Fare il lavoro. Ricordando che il risultato non dipende mai interamente da te.

Questo ti mette anche al riparo da un eccesso di orgoglio quando fai un ottimo lavoro, e dalla possibile frustrazione, o peggio vergogna, quando il risultato non è poi così esaltante: la responsabilità è in gran parte del genio, giusto? 

  

Non riguarda solo il lavoro creativo 

Credo che questo principio si possa estendere ben oltre i lavori che richiedono di liberare la creatività. Credo che tu lo possa applicare tutte le volte che ti trovi in mezzo a una crisi, quando hai bisogno di chiarezza ma sei immersa nella confusione, quando non possiedi le risposte che cerchi, quando sei ferma a un bivio, quando sai ciò che non vuoi più ma non trovi le risorse per attuare quel cambiamento, o non riesci a vedere il come.

Non riguarda solo te

Ecco, anche in questo caso io credo che non tutto “sta a noi”. A volte è come se uscissimo dal flusso della vita e la guardassimo scorrere a fianco, senza sapere esattamente come sia accaduto né come rientrare. 

È allora che credi di dover fare tutto tu.

E diventa una gran fatica.

 

A te sta solo una parte 

No. A te sta solo una parte. A te sta prenderti cura di te stessa, prenderti cura delle cose per te importanti, e quel famoso “show up”: presentarti ogni giorno alla vita e alla tua opera, fare ciò che sai e che puoi.

A te sta cercare di non uscire da quel flusso e, quando ne esci, capire come rientrare e chiedere aiuto a quell’intelligenza esterna a te, molto più grande di te, affinché possa tornare a muoversi attraverso di te.

 

È come una danza, una collaborazione tra te e questa forza esterna

 

E a proposito di danza, la Gilbert ha fatto un esempio che porterò sempre con me e che voglio condividere con te.

Secoli fa, nei deserti dell’Africa settentrionale, i popoli usavano raccogliersi la sera per assistere a delle danze sacre, accompagnate dai musicisti che suonavano fino all’alba. I danzatori erano tutti professionisti ed erano straordinariamente bravi. A un certo punto, ogni tanto accadeva che qualcuno di questi danzatori vivesse una sorta di trasformazione e la loro danza diventava qualcosa di trascendente, come se una forza avesse il sopravvento e li sollevasse, li guidasse, li muovesse.  Quando questo accadeva, il pubblico era come se riconoscesse quel che stava succedendo e iniziava ad acclamare “Allah! Allah” a significare che aveva visto il divino in quella danza.

 
Olè, Olè!

Quando i Mori hanno invaso la Spagna hanno portato questa usanza con loro, ma lì, a causa della lingua diversa, la pronuncia di quel Allah si è modificata, diventando “Olè, Olè!” con cui ancora oggi vengono incitati i danzatori e le danzatrici di flamenco quando fanno qualcosa di magnifico.

 

Olè potrebbe diventare quindi il tuo ancoraggio, una sorta di mantra, che ti ricorda l’esistenza di quella forza, quel flusso con il quale cerchi di riunificarti per poter esprimere, creativamente, il tuo potenziale.

 

Perciò, Olè a te, e Olè anche a me, per la determinazione, la passione, l’amore e il coraggio di fare, a volte bene, a volte meno bene, ma sempre come possiamo, la nostra parte.

Perché nel farlo, è possibile riuscire a ricongiungersi con quel magico, potente, divino flusso creativo della vita.



Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

Non devi sentirti bene a tutti i costi

Non devi sentirti bene a tutti i costi

Saper creare emozioni elevate e “positive” è importante per il nostro benessere, ma è fondamentale anche saper accettare e accogliere le emozioni pesanti o “negative” senza scappare né combatterle. Sentirti bene a tutti i costi non è possibile. Questa è la lezione che il mese di gennaio ha portato con sé.

Non devi sentirti bene a tutti i costi

Prima dell’articolo “Non devi sentirti bene a tutti i costi”, leggi qui⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

Un gennaio sfidante 

Gennaio può essere un mese difficile e quest’anno lo è stato per molti (me compresa).

Dopo la frenesia delle feste e l’entusiasmo per i buoni propositi, si torna alla normalità. L’inverno è ancora tutto davanti a noi, le ore di luce sono ridotte al minimo, il vero freddo si fa sentire, l’energia è bassa ed è spesso messa alla prova da influenze e mali di stagione. Quest’anno poi c’era anche qualche congiunzione astrale pesante (non me ne intendo, ma tutti gli esperti ne hanno parlato) e per molte persone tutto questo ha dato origine a un senso di fatica, demotivazione, tristezza e, per qualcuno, profondo scoramento.

 

La quasi totalità delle mie clienti e delle amiche con cui parlavo, mi riportavano questa fatica e io stessa, a causa di una momentanea debolezza fisica e stanchezza, ho avvertito internamente il peso di tutte quelle situazioni esterne.

Devi sentirti bene per forza?

Cosa possiamo fare quando le emozioni “negative” colorano di grigio le nostre giornate e ci fanno fare tanta fatica? Ma soprattutto, cosa è meglio non fare?

 

È normale preferire sentirci bene, rispetto allo sperimentare emozioni pesanti o “che contraggono”. Infatti, quello di evitare il dolore e andare verso il piacere è un istinto naturale.

 

Quello che invece non è naturale nè benefico, è opporre resistenza alle nostre emozioni pesanti, negandole, combattendole, o tentando in tutti i modi di evitarle.

È così che fabbrichiamo la sofferenza, senza saperlo, proprio con le nostre mani.

 

“Ciò a cui resisti, persiste”.

Sento l’importanza di parlare di questo perché forse saprai che sono una sostenitrice delle emozioni elevate e dei loro molteplici effetti positivi sul nostro benessere fisico, sulle nostre relazioni, sulla nostra capacità di darci degli obbiettivi ed attenerci ai comportamenti che sostengono la visione che vogliamo realizzare.

 

Ma questo non è in antitesi con il saper accettare le emozioni pesanti, che sono preziose messaggere e consigliere, se sappiamo ascoltarle.

 

La prima cosa da fare è smettere di giudicarle

Non è forse vero che abbiamo imparato a etichettare determinate emozioni come buone o giuste, e altre come come “cattive” o sbagliate?

Prima di rispondere di no 😉 pensa per un attimo se, crescendo, sei stata incoraggiata a vivere totalmente e liberamente i tuoi momenti di rabbia, paura, ansia, disperazione o nervosismo.

E pensa per un attimo cosa pensi di te, oggi, quando ti senti estremamente triste, arrabbiata, svogliata, senza speranza, invidiosa o hai paura di qualcosa.

 

Posso ipotizzare che NON sei stata incoraggiata a vivere liberamente l’intera gamma delle tue emozioni e che non ti piaci un granché quando oggi ti capita di viverle?

Sentiti libera di non sentirti bene 

Abbiamo la tendenza a classificare certe emozioni come “negative”, sbagliate e non desiderabili. 

Così quando le proviamo, tendiamo a giudicare noi stesse come negative, sbagliate e non desiderabili.

Noto questo soprattutto tra le donne che hanno già “lavorato su di sè”, che si impegnano nella propria evoluzione personale e spirituale, come se ci fosse un pensiero di sottofondo che dice:

 “No, di nuovo! Mi sento ancora così?! Non è possibile, proprio io?

Non dovrei sentirmi così, dovrei averlo superato…

C’è qualcosa che non va in me…”

Come se “lavorare su di sè” implicasse essere esenti dalle emozioni con una vibrazione più bassa. Non è così! Quello che cambia è il significato che diamo loro, la consapevolezza che abbiamo, e cosa decidiamo di fare con quei momenti.

 

Inoltre hai mai notato che giudicare le tue emozioni come “negative” ti fa provare un’emozione secondaria, che è a sua volta negativa?

 

Ad esempio: 

Perdi il controllo con i bambini e alzi la voce. O rispondi male al collega sgarbato. Poi ti arrabbi con te stessa per esserti arrabbiata.

O provi vergogna per esserti arrabbiata.

O ti senti triste e impotente per esserti vergognata.

Insomma, hai capito.

 

Quando percepiamo ed etichettiamo qualcosa come negativo o sbagliato, attiviamo la nostra primitiva risposta di attacco-o-fuga, come davanti a qualsiasi altra minaccia (reale o immaginata).

Questo meccanismo ci lascia con due opzioni:

 

1) combattere contro quell’emozione

2) fuggire da quell’emozione

 

ma, come capirai, nessuna delle due strade porta a un benessere a lungo termine.

 

Tutto cambia, invece, se prendi quell’emozione negativa e, anziché di tentare di fuggire via da lei e di forzarti a sentirti bene, distrarti, reprimerla o sostituirla con una più “desiderabile”, scegli di  accettarla e le permetti di esserci.

 

La via per provare più emozioni elevate è dare spazio anche alle altre.

 

Passo 1: guarda quell’emozione con occhi nuovi

Cambia sguardo su quell’emozione, non giudicarla buona o cattiva, giusta o sbagliata, ma chiediti piuttosto:

  •     cosa c’è di buono, in questa emozione?
  •     che messaggio mi porta? 
  •     di quale mio valore parla?
  •     quale mio bisogno mi segnala?
  •     quale aspetto della mia vita mi chiede di cambiare o di affrontare in modo differente?

 

Passo 2 : vivila completamente

Quello che va davvero a sciogliere quell’emozione dolorosa, è smettere di tentare di resisterle o combatterla e, al contrario, prenderti lo spazio ed il tempo per concentrare tutta la tua attenzione su quella sensazione (non sui pensieri che ti dicono “sto male per questo, o quest’altro” – solo sulla sensazione)

  •      senti e sii completamente presente alla sensazione.
  •    sii l’osservatore: osserva le tue emozioni e i tuoi pensieri senza identificarti con essi: tu non sei i tuoi pensieri, e non sei le tue emozioni
  •     non etichettare i tuoi pensieri e sensazioni come “positivi o negativi”, giusti o sbagliati- osservali soltanto, come fossero pesci in un acquario

 

Passo 3: inizia a creare qualcosa di diverso

Soltanto dopo che hai fatto questo, puoi spostare la tua attenzione in una direzione di creazione.

Puoi farlo così: 

  •   chiediti quale bisogno c’è dietro a quell’emozione “pesante” e in quale altro modo potresti soddisfarlo
  •     scrivi una lista di cose che sei desiderosa di fare
  •     scrivi 5 cose che apprezzi e 5 cose di cui sei grata, e continua a farlo per un po’ di giorni
  •   inizia a cercare opzioni per cambiare qualcosa della situazione che ti ha generato l’emozione Esempio: se ti senti indispettita perché il tuo collega per l’ennesima volta non si è preso le sue responsabilità al lavoro, e questo è ricaduto su di te, inizia a chiederti cosa potresti fare invece di subire. – Potresti parlargli chiaramente e fare una richiesta.
    – Potresti smettere di coprire le sue mancanze facendo tu.
    – Potresti segnalare il fatto a chi di dovere.
  •     nel raro caso in cui sia davvero impossibile intervenire, cerca opzioni per cambiare il tuo focus o il significato che dai alla situazione

 

In conclusione: Non devi sentirti bene a tutti i costi

La strada della vera trasformazione, del vero benessere, quando parliamo di emozioni, è quella di accoglierle, accettarle, sentirle. E solo poi indirizzare i nostri pensieri e la nostra energia in luoghi più produttivi.

 

La prossima volta che ti verrà da opporre resistenza a un’emozione spiacevole, ricordati di questo post che hai letto. Allarga le braccia e invita l’emozione ad esserci e ad attraversarti. 

Questo ha aiutato molte delle mie clienti a sciogliere le emozioni pesanti del mese appena passato… e ha aiutato molto anche me!

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.