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E se la noia fosse un bene?

E se la noia fosse un bene?

I vantaggi della noia sono più di quanto tu pensi. Tuffiamoci insieme nel mare del dolce far niente. 

I vantaggi della noia sono più di quanto tu pen

Prima dell’articolo “La noia è un male”, leggi qui ⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

76

2617

145

5427

225

10

 

No, non sto dando i numeri. Lo sai a cosa corrispondono queste cifre?

 

76:  le volte in cui, mediamente, prendiamo il telefono in mano ogni giorno

2617: i “tocchi” sullo schermo dello stesso, di un utilizzatore medio, al giorno

145: i minuti che trascorriamo, mediamente al giorno, per compiere quei tocchi

5427: i “tocchi” giornalieri di un utilizzatore frenetico

225: i minuti passati per compiere quei tocchi

10: le ore passate mediamente al giorno davanti a uno schermo negli USA

 

Bene, a questo punto mi pare che i numeri li stiamo dando tutti quanti.

 

La noia come risorsa
 

Non mi voglio focalizzare sui danni che questo uso smodato della tecnologia ci provoca, come danni alla vista, alla produttività, alla nostra capacità di concentrarci, alle nostre relazioni – solo per menzionarne alcuni, ma quello che appare evidente è che in questa circostanza ci stiamo perdendo una risorsa potenzialmente preziosissima: la noia.

 

Cosa succede al nostro cervello quando ci annoiamo e cosa potrebbe succedere se sopprimessimo per sempre questa emozione?

 

Scopriamolo insieme.

 

Fino a qualche tempo fa andavo quasi fiera del fatto che “io non mi annoio mai”, perché questa parola aveva per me solo un’accezione negativa. (Non sono forse solo le persone noiose ad annoiarsi? non era forse l’ozio il padre di tutti i vizi?). 

A un certo punto, però, mi sono imbattuta in alcuni studi che spiegavano quanto questa visione fosse un equivoco e tessevano le doti della noia. Questa emozione, nonostante noi la giudichiamo talmente negativa e spiacevole da allontanarcene in ogni modo possibile, è stata un ingrediente fondamentale della nostra evoluzione in questi 2,5 milioni di anni sulla terra.

 

 

Innanzitutto, chiariamoci su cosa sia la noia e di quali siano i suoi potenziali doni, e chissà se alla fine dell’articolo anche tu avrai un po’ cambiato idea su di lei.

 

 

Ti presento… la noia

 

Sicuramente ti sarà capitato di provarla.

La noia non è ciò che provi quando non hai niente da fare, ma quando niente delle cose che hai da fare, o che potresti fare, ti attrae. È caratterizzata da assenza di concentrazione, irrequietezza ma anche un senso di letargia: in pratica è quando ci sentiamo “sotto-occupati”.

 

È una sensazione che giudichiamo spiacevole, perciò oggi con tutte le app, i social e le notizie a disposizione nel nostro smartphone, in ogni pausa, al semaforo, camminando per strada, in attesa della cena al ristorante, ma anche sul divano e a tavola con la famiglia o quando nostro figlio ci parla – è fin troppo facile intrattenersi pur di evitarla.

 

Cosa ci perdiamo?

Quando ci annoiamo, per esempio piegando la biancheria o aspettando il nostro turno dal dentista, il nostro cervello attiva quella che si chiama modalità di default (default mode network).

Il nostro corpo innesta il pilota automatico ma, controintuitivamente, il nostro cervello diventa particolarmente attivo. Quando la mente non è impegnata in un’attività… impegnativa 😉 inizia a vagare. Ecco che si attivano connessioni diverse, si attiva una modalità di pensiero che è sotto il livello cosciente, e possono arrivarci idee, soluzioni creative a un problema che ci infastidiva da tempo, o può scattare il desiderio di un qualcosa che vogliamo creare o raggiungere nella nostra vita.

 

In quella modalità, facciamo quella che gli studiosi hanno definito “pianificazione autobiografica” (autobiographical planning), ovvero riflettiamo su momenti passati e immaginiamo nuovi possibili traguardi e come potremmo arrivarci.

 

Insomma, è una condizione particolarmente fertile, se ce la concediamo.

 

La noia è allo stesso tempo un segnale e una spinta motivazionale. Il segnale ci dice che non stiamo facendo quello che vorremmo fare e la spinta motivazionale ci suggerisce di darci degli obiettivi e progettare cose nuove.

 

E non solo la noia ci spinge a fare qualcosa per noi stessi, ma ci rende più altruisti e ci fa venire voglia di fare qualcosa per gli altri, come per esempio fare del volontariato o offrirsi per donare sangue.

 

Pianificare al minuto? No, grazie.

Se, però, riempiamo ogni momento di attività, se sfruttiamo ogni attimo per aggiornare i social, verificare se abbiamo notifiche, rispondere alle email, scaricare un documento, ci perdiamo questa possibilità. E non è tutto. Attraverso questo zompettare da un’attività all’altra, sottoponiamo il nostro cervello a uno sforzo di attenzione continuo e a un consumo smodato di energia.

 

Inoltre spesso “ci perdiamo l’attimo”, non ci accorgiamo delle persone che abbiamo accanto, delle bellezze della natura, di quello che succede a pochi metri da noi, come testimonia benissimo questa foto scattata dal fotografo Eric Smith nelle acque della California, in cui una balena passa a fianco della barca a vela ma lo skipper non si accorge di nulla, perché totalmente immerso nel suo mondo virtuale.

Il potere salvifico della noia

La noia, nelle sue evoluzioni


Nel 2008 la nostra attenzione al lavoro shiftava ogni 3 minuti. Nel 2018 ogni 45 secondi. Ora ho fin paura di sapere a quale ping-pong attentivo sottoponiamo il nostro povero cervello.

 

Ma tornare indietro, lo sappiamo, non è un’opzione. Cosa possiamo fare, quindi?

 

Nella mia ricerca, ho trovato due fonti di ispirazione per tentare di recuperare la nostra brillante creatività e la nostra salute mentale (e non solo): il primo è attraverso un uso ponderato dei potenti strumenti tecnologici di cui disponiamo – (ed è il tema di questo articolo).

 

Il secondo è attraverso una rinaturalizzazione della vita, un ritorno almeno parziale a una vita più naturale e meno comoda che ci permetta di recuperare alcune importanti caratteristiche appartenute per milioni di anni alla vita dei nostri antenati, e necessarie più che mai per migliorare la qualità della nostra “unica vita, selvaggia e preziosa”, per dirlo con le parole di Mary Olivier.

 

E di questo ti parlerò prossimamente. ⏭️

 

 

Annoiati e geniali: L’arte perduta di creare spazio  

 

La giornalista Manoush Zomorodi nel 2015 ha messo a punto il progetto Bored and brilliant (annoiati e brillanti, per l’appunto) per aiutare le persone a diventare più consapevoli del loro rapporto con il proprio cellulare e con l’iperconnettività.

 

Il progetto invitava i partecipanti a compiere diverse sfide, quali stare un’intera giornata con il telefono fuori dalla propria portata, andare nelle impostazioni e togliere tutte le notifiche, cancellare la o le app che l’utente giudicava più “ladre di tempo”.

 

È sempre più difficile vincere questa battaglia, perché da una parte ci siamo noi che non siamo più abituati al disagio del “vuoto” e che sfruttiamo ogni attimo per fare qualcosa pur di non rimanere soli con i nostri pensieri.

Dall’altra ci sono fior fiore di ingegneri ed esperti che studiano giorno e notte come attirare la nostra attenzione più spesso e più a lungo possibile, perché la nostra attenzione vale un sacco di quattrini.

 

Nonostante le difficoltà, i partecipanti hanno giocato con slancio e determinazione e, dopo aver superato qualche vera e propria “crisi di astinenza”, hanno superato le sfide riportando una maggiore energia, chiarezza e… felicità: avevano recuperato un bel po’ di tempo ma soprattutto si sentivano di nuovo alla guida della propria vita e non costantemente in reazione alle richieste provenienti dal proprio smartphone.

 

La cosa curiosa è che i più giovani, quelli nati e cresciuti con la tecnologia, hanno riferito di aver provato emozioni (non proprio piacevoli) mai provate prima! Insomma, non si erano mai annoiati prima di allora, perché al minimo segnale di “vuoto”, avevano sempre risposto prendendo il cellulare in mano.

 

 

 La noia… quanti ricordi!

Se ci pensi, chi non ha mai vissuto senza internet, e di conseguenza senza Netflix, Youtube, Facebook, Twitter, Whatsapp, Snapchat e tutte le notizie che la rete ci propin… ahem, propone, non sa quello che si provava da bambini nei pomeriggi d’estate quando non si vedeva l’ora di tornare in giardino a giocare ma bisognava rispettare “l’ora del riposo” altrimenti poi il “capo casa” chi lo sentiva…

O quello che si provava al mare, nell’interminabile attesa di poter tornare a fare il bagno dopo aver pranzato, le fatidiche due ore più lunghe della vita anche dopo aver mangiato solo un panino.

O quello che provavi nei pomeriggi d’inverno, quando non potevi uscire e non c’era niente alla tv (ma non niente di bello, proprio niente di niente, oltre che le righe colorate verticali su gli unici tre canali esistenti) 

 

Noia, era noia.

Ma in quella noia dovevi ingegnarti, muoverti, inventare, pensare, farti domande, escogitare scappatoie, immaginare, esplorare, creare.



La noia può curare la tua creatività

La noia è generatrice di progresso

 

L’essere umano si è evoluto attraverso prolungati periodi di noia e questo ci ha costretti a pensare nuovi modi di vedere il mondo: da lì il prosperare dell’arte, della filosofia, della letteratura, delle invenzioni, della scienza!

 

La creatività oggi è più necessaria che mai e sarà l’abilità numero uno che verrà richiesta al lavoro alle nuove generazioni per affrontare il futuro. Di questo passo però il rischio è che venga uccisa, o per lo meno tramortita pericolosamente, attraverso l’abuso dell’intrattenimento tecnologico e l’assenza della noia.

 

 

Vogliamo provare a cambiare le cose?

 

È solo una proposta, un esperimento da fare con curiosità, se ti va.

 

➡️ La prossima volta che, senza nemmeno pensarci, ti ritrovi con il telefono in mano, prova a chiederti: “Cosa sto cercando veramente?”

E se devi rispondere a una mail urgente, fallo e non pensarci più.

 

Ma se invece ti accorgi che stai cercando di intrattenerti, di distrarti per evitare di sentire qualsiasi leggero disagio – come solitudine, stress che vuoi alleviare, FOMO (fear of missing out: la paura di perderti qualcosa) o… noia – rimetti in tasca il telefono.

 

Respira, guarda il cielo, osserva i tuoi polpastrelli.

 

    • Se anche solo una piccola parte di quei 2617 tocchi destinati allo schermo ogni giorno li destinassi per fare una carezza a qualcuno che ami, o a toccare la corteccia ruvida di un albero, o a toccare i petali di un fiore, o se facessi una carezza a te stessa/o, come cambierebbe la tua vita?

       

    • E se la prossima volta che ti ritrovi a camminare per strada ti imponessi di guardarti intorno e sorridere, anziché mandare audio e rispondere a Whatsapp?

    • E se almeno un’ora prima di andare a letto tu spegnessi tutto e ti ingegnassi a fare qualcosa di diverso, cosa potrebbe emergere da una parte inascoltata di te? 

    • E se, quando senti quella noia e quell’irrequietezza, cercassi di capire dove ti vogliono portare, piuttosto che annegarle in un mare di distrazione?  

Io ho deciso di accettare la sfida, e tu?

Fammelo sapere nei commenti.



Ascolta te stessa: se senti il bisogno di fermarti, lasciare che la noia ti attraversi, per ritrovare la tua creatività, non esitare a contattarmi. Creeremo il tuo percorso trasformativo, per ridare luce alle tue  caratteristiche e alla tua unicità.

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

Dove vai, se l’autostima non ce l’hai…

Dove vai, se l’autostima non ce l’hai…

Autostima e altri miti. Scopriamo come difendersi dai luoghi comuni della crescita personale.

Dove vai, se l'autostima non ce l'hai...

Se vuoi puoi!

Devi crederci!

Devi uscire dalla tua zona di comfort!

Ma soprattutto…”Devi avere più autostima!”

e se non fai tutto questo, la peste ti colga!

Se mi conosci o hai già letto qualche altro mio post, sai che mi piace sottolineare quanto mi senta lontana da molti dei luoghi comuni della crescita personale e di un certo tipo di formazione  e di quanto possa essere dannoso prendere queste incitazioni per oro colato.

 

Ma vediamo alcuni luoghi comuni…

 

1) Se vuoi puoi

Gemella eterozigota di Volere è potere

Volere non è potere. Volere è volere. 

Certamente è la miccia per poter iniziare a fare qualcosa. Ma non è certo garanzia di successo.

Ti è mai capitato di volere più denaro, una salute migliore, un lavoro più gratificante o una relazione più appagante? O magari semplicemente meno cellulite, più capelli, meno chili (per non parlare degli anni).

Eppure, sono certa lo avrai constatato anche tu, che il volere queste cose non ti ha anche reso/a automaticamente capace di ottenerle.

 

L’intenzione positiva

L’intenzione positiva di questa affermazione è darti una sorta di sveglia, una cosa del tipo : “ehi, se fino ad oggi pensavi che alcune cose fossero fuori dalla tua portata, forse potresti scoprire che non tutte lo sono.” Difatti, se qualcosa è nei tuoi desideri e nelle tue corde e sei disposto/a ad impegnarti, sicuramente potrai fare dei grandissimi passi avanti! Non è detto che centrerai il bersaglio (e non è quella la cosa più importante), ma sicuramente scoprirai nuove cose su di te e qualcosa di buono ti porterà.

 

Cosa succede quando prendi questo concetto alla lettera

Quando credi a questa affermazione, il tuo focus è sul volere. Perciò se ti trovi a mancare uno dei tuoi obiettivi o propositi, ti viene detto – o dici a te stessa/o- che “non lo volevi abbastanza”. Ma quanto cacchio la dovresti volere una cosa?

Forse il problema non è quanto la vuoi, ma sta da tutt’altra parte, e concentrarti per volerla 10 volte di più non ti servirà a nulla.

Le persone vogliono quello che vogliono, tu e io comprese

Il punto è scegliere, decidere e impegnarsi. Non conosco nessuno che, impegnandosi, non abbia fatto dei progressi significativi in qualcosa.

Quindi se vuoi partecipare a Sanremo come cantante, cosa che oggi peraltro non dice nulla sulla tua bravura, non è detto che potrai farlo. Ma sicuramente impegnandoti e allenando le tue capacità canore, le migliorerai. That’s it!

 

 

2) Devi crederci

…è come quando diciamo a qualcuno “ti devi fidare”.



O credi, o non credi. O ti fidi, o non ti fidi.

Certo puoi cambiare idea sulle cose, puoi acquisire nuove informazioni, puoi vedere la situazione sotto altri punti di vista, puoi iniziare a credere qualcosa di diverso. Ma l’esortazione “devi crederci” quando non riesci a crederci, non farà altro che aumentare la tua frustrazione.

 

L’intenzione positiva 

Cosa c’è di vero, qual è l’intenzione positiva di questa frase?

Che se non credi possibile qualcosa per te, probabilmente non farai le azioni che ti portano a quel risultato. Che c’è una relazione tra ciò che credi e pensi, come ti senti, e come ti comporti. Che se non sei soddisfatto di come ti comporti o dei risultati che hai, sarà utile diventare consapevole di quelle che sono le tue convinzioni e credenze.

Ma l’esortazione “devi crederci” somiglia molto a “sii spontanea!” Forzarsi a credere non è credere, come forzarsi di essere spontanei non corrisponde a esserlo.

 

Cosa succede quando prendi questo concetto alla lettera

Succede che, anche qui, la tua attenzione e i tuoi sforzi saranno sul credere, come se mettendoti nella posa di Hulk e digrignando i denti tu potessi aumentare esponenzialmente il potere di credere nelle tue capacità o nel fatto che un evento si possa verificare.

Suggerirei piuttosto di accorgerti che sì, quello che crediamo o non crediamo vero o possibile influenza le nostre percezioni, le nostre scelte e quindi la nostra vita. E quindi sarà un lavoro importante accorgerti di quali siano le convinzioni che sostengono il tuo benessere e la buona riuscita dei tuoi progetti, e quali invece li ostacolano. E da lì si può iniziare a lavorarci. No, non con la posa di Hulk. 😉 

 

3) La zona di comfort

Per quanto riguarda la famigerata zona di comfort, devi sapere che qualsiasi impresa, dalla più piccola alla più grande, non è stata compiuta “fuori dalla zona di comfort” di chi l’ha portata avanti, ma “in comfort”. Il nostro cervello non vuole stare scomodo, vuole lavorare risparmiando energia, perciò il meta messaggio che ti dice che per combinare qualcosa devi necessariamente soffrire, non dice il vero. Infatti,  il nostro cervello cercherà sempre di evitarci quella sofferenza, facendoci così rimanere fermi ai blocchi di partenza o portandoci a qualche auto-sabotaggio lungo la strada.

 

L’intenzione positiva

L’intenzione buona è quella di farti capire che se la tua zona di comfort è il divano di casa tua, sarà difficile (anche se non impossibile) fare grandi cose da lì. 

Di vero c’è che se facciamo sempre le stesse cose, che ci sono comode, familiari, abituali, ci perdiamo un mondo di altre possibilità

Di vero c’è pure che una vita guidata solo dalla sicurezza e dall’evitamento di qualsiasi rischio, probabilmente è ben poca vita.

 

Cosa succede se prendi questo concetto alla lettera

Succede che la vita diventa una guerra, le imprese diventano battaglie, gli altri- ma soprattutto i tuoi attuali limiti, divengono dei nemici da annientare. Ma secondo te, se fai la guerra a delle parti di te, potrai mai vincere? No, perché una guerra implica danni e vittime, e se l’avversario è una parte di te, avrai comunque perso. Succede che te ne vai in giro come i “soldati fantasma giapponesi” che, anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, continuavano a stare rifugiati nella jungla armati fino ai denti, rifiutandosi di arrendersi. Succede che non ti godi il viaggio, ma soffri finché non arrivi all’obiettivo. E se non arrivi? Indovina.

 

Quindi

Quello che dobbiamo capire è che, per darci maggiori possibilità e se vogliamo aumentare le nostre probabilità di successo nel lungo periodo, la nostra zona di confort va allargata, arricchita, espansa, con rispetto, coraggio e amorevolezza. Non dobbiamo vivere fuori dalla zona di confort, ma piuttosto ampliarla per avere una vita più ricca e piena, se è questo che desideriamo.

Dobbiamo rendere familiare, facile, normale quello che non lo era, e non fare la guerra a noi stessi pensando di poter stare perennemente scomodi.

 

Per un triatleta quegli sforzi sono la sua zona di comfort. Non la tua, o la mia. Ma la sua sì.

Per un imprenditore seriale, intraprendere è la sua zona di comfort.

Per un fannullone incallito, la sua zona di comfort è il divano, o il bar.

 

Perciò avrebbe più senso dire:

“Scegli con cura la tua zona di comfort perché le tue azioni origineranno da lì”

E se è importante sapere che quando ti approcci a qualcosa di nuovo sentire un po’ di attrito farà parte del processo, è anche cruciale ricordare che andare contro la tua natura non ti renderà più efficace, e nemmeno più felice.

 

 

4) Devi avere più autostima

La definizione di autostima è “la distanza tra il sé percepito e quello ideale” ovvero tra come pensi di essere e come desideri essere. Io però credo che sia più corretto definirla come la distanza tra quello che pensi di essere e quello che pensi di dover essere.



“Dover essere”, non senti anche tu come puzza di fregatura?

Eppure basta guardare qualsiasi spot pubblicitario per capire che come sei non vai bene, e che dovresti sempre essere in qualche altro modo (normalmente grazie al loro prodotto!). Inadeguatezza vendesi. Anzi, regalasi!

Stimare significa misurare, il che già ci mette davanti all’assurdo compito di misurare il valore di un essere umano.

Quindi la mia auto-stima è la misura che faccio di me stessa/o in base a quello che penso che dovrei essere, rispetto a quello che sono. Si salvi chi può. 😉

L’intenzione positiva

Immagino che l’intento “sano” che si nasconde in questa esortazione voglia metterci in guardia dal dis-amore per noi stessi, che voglia suggerirci di non parlare male di e a noi stessi, di non svalutarci perché da quello che crediamo di noi dipende ogni nostra scelta nonché la nostra auto-efficacia. Immagino che voglia stimolarci ad alzare lo sguardo e raddrizzare le spalle, e a pensare bene di noi stesse/i.

Cosa succede se prendi questo concetto alla lettera

Molto probabilmente inizierai a darti da fare per ottenere riconoscimenti esterni, da cui poi trarre la considerazione che darai a te stessa/o. 

Ti impegnerai a  percorrere in tempo, e con successo, tutte le tappe ritenute fondamentali per un individuo nel tuo contesto, ti prodigherai nel raggiungimento di risultati straordinari (come il numero di follower sui social) e finalmente sentirai che ottieni perciò vali.

Ed ecco che la tua autostima, come il prezzo del gas, potrà schizzare alle stelle.

Poco importa se sarai stremata/o e ti sentirai distante da te stessa/o.

Inoltre, la stima che traiamo dai nostri risultati è per sua natura fragile ed effimera perché i risultati, a differenza dell’impegno, non sono sotto il nostro controllo.

Siamo fuori pista, e per rientrarci dobbiamo capire la vera origine di quella sensazione che ricerchiamo tanto e a cui diamo il nome di autostima.

La vera origina risiede nel vivere coerentemente con i propri valori senza infrangerli, nell’avere la stessa faccia in pubblico e in privato, nell’ impegnarsi per ciò in cui si crede.

 

Perciò

Se “vuoi avere più autostima”, non indebitarti per comprare una macchina più grande, non ammazzarti di lavoro trascurando te stesso e la tua vita per fare una carriera supersonica, non andare in palestra per ostentare un fisico statuario, non cercare di “pomparti” e autoconvincerti recitando affermazioni allo specchio battendoti il petto come un gorilla maschio alfa.

Piuttosto, inizia a conoscerti. Inizia a chiederti cosa ami e cosa ti rende felice. Inizia a chiederti in che cosa credi e cosa ha valore per te.

E poi inizia ad andare in quella direzione, con coraggio e con tutta l’amorevolezza di cui sei capace.

Accetta i tuoi attuali limiti, le tue paure, le volte in cui non ce la fai, le volte in cui non ti piaci un granché, gli errori che farai. Sostieniti, incoraggiati, stai dalla tua parte.

 

Piuttosto che “devi avere più autostima”, ti direi “impara ad accettare e apprezzare quello che sei, con la fiducia che ogni giorno potrai crescere ed imparare”.

 

E se vuoi impegnarti con te stessa, per accettarti e apprezzarti maggiormente, alleggerisciti delle pressioni interne e esterne. Posso aiutarti con il mio percorso trasformativo:

IL CAMMINO DELLA LEGGEREZZA

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Il segreto per far funzionare le relazioni

Il segreto per far funzionare le relazioni

Sono pronta a svelarti tutto ciò che avrei voluto sapere sulle relazioni. Spoiler alert: la comunicazione ha una parte da protagonista in questo.

Il segreto per far funzionare le relazioni

Le relazioni hanno un ruolo fondamentale nella nostra vita. Probabilmente sarai d’accordo con me e, magari, te ne sei accorta/o in questo periodo più che mai.

Relazioni d’amore, di affetto, di amicizia, di lavoro; quelle che scegliamo e quelle che ci capitano: sono in grado di nutrirci, completarci, farci crescere, sfidarci, sostenerci, darci un senso di appartenenza.

E naturalmente tutto questo non può prescindere dalla qualità della relazione che ognuno ha, per tutta la propria esistenza, con se stessa/o.

 

Ma qual è uno degli elementi più importanti per trarre il massimo dalle relazioni della nostra vita? 

 

L’altro giorno, mentre raccoglievo le idee per un webinar sull‘intelligenza comunicativa, riflettevo su quante relazioni della mia vita, in passato, si siano incrinate o semplicemente non siano state appaganti a causa di una non piena capacità – mia, dell’altro o di entrambi – di comunicare in modo sano, autentico, efficace.

Come esseri umani siamo comunicatori nati: fin dai primi momenti di vita sappiamo far capire molto bene a chi ci circonda cosa vogliamo e di cosa abbiamo bisogno, ben prima di imparare ad esprimerci a parole.

Eppure, ad un certo punto, una volta padroni del linguaggio, crediamo sia sufficiente parlare per farsi capire e capirsi, e per ottenere i risultati che ci aspettiamo nelle interazioni con gli altri. Se non addirittura pensiamo che l’altro dovrebbe capirci, dovrebbe sapere cosa fare e cosa evitare, dovrebbe sapere di cosa abbiamo bisogno, cosa ci aspettiamo e, soprattutto, dovrebbe intuirlo e darcelo!

È capitato anche a te, vero, di sbattere contro il fatto che non funziona così? Quanta frustrazione si prova in quei casi…

Ti invito a pensare per un attimo a quali difficoltà hai incontrato o incontri nelle tue relazioni con gli altri, e a quante di quelle difficoltà si possano ricondurre a una mancanza di “educazione” ad una comunicazione assertiva, autentica, efficace: insomma una comunicazione che lasci le persone arricchite, anche quando in disaccordo, e la relazione nutrita.

Apprendiamo a comunicare in modo inconscio, fin da piccoli, assorbendo gli schemi comunicativi a cui siamo esposti ( e se penso agli schemi comunicativi che si possono apprendere mediamente in  tv non so se mettermi a piangere o disdire ogni forma di abbonamento 😉

 

Torno indietro con la mente e ti parlo di me

 

Se penso alla mia famiglia d’origine,  la gentilezza e il rispetto reciproco si respiravano nell’aria, ma non c’era l’abitudine a parlare di come ci si sentiva, ad esprimere le proprie emozioni e tantomeno a manifestarle apertamente. E questo ha avuto delle conseguenze.

Da ragazza mi sono trovata a mentire per poter godere di alcune libertà che non mi erano concesse, mi sono trovata a marinare la scuola perché non avevo il coraggio di esprimere il mio malessere e le mie difficoltà, mi sono trovata quindi  a “deludere” qualcuno con i miei comportamenti.

E poi, soprattutto, nessuno di noi è stato capace di esprimere la propria paura, la rabbia, il dolore, la speranza, lo smarrimento quando mia mamma si è ammalata, quando si è aggravata, quando soffriva, quando non ce l’ha fatta.

Ma forse ancor più grave, non siamo riusciti ad esprimere apertamente l’amore, la gratitudine per averla avuta e per averla, in ogni momento in cui c’era ancora, e non abbiamo avuto la capacità di ricordare insieme tutti i momenti belli, le gioie, i momenti buffi – la vita che avevamo avuto e che ancora avevamo insieme.

Sono grata anche a questo, perché mi ha permesso di essere ciò che sono

Forse è proprio per questo che il tema delle relazioni umane mi sta così a cuore. Ed è sempre grazie a questo che credo indispensabile dedicare cura e attenzione a ogni interazione umana, specie a quelle più significative, insieme alla nostra volontà di allenarci a comunicare, che significa proprio “mettere in comune” il mio mondo con il tuo.

Comunicare quindi non significa solo “parlare”, tantomeno aspettarsi che gli altri leggano nel pensiero i nostri bisogni e le nostre richieste. È un atto molto più complesso e profondo, ma che possiamo imparare.

 

Un webinar con qualche spunto per migliorare la comunicazione nelle relazioni

 

Se il tema ti  vuoi puoi accedere al webinar che ho tenuto qualche giorno fa  insieme all’amico Claudio Valeri sul gruppo Accademia del Valore: è una chiacchierata leggera, senza la pretesa di risolvere i problemi del mondo 😉 ma potrai individuare alcuni tra i più diffusi errori nella comunicazione interpersonale e alcune chiavi per fare meglio – al lavoro e nella vita.

 

Sarei davvero curiosa di sapere cosa hai riconosciuto di te:

  • cosa inconsapevolmente fai che inficia la tua comunicazione con gli altri?
  • cosa invece fai già bene?
  • e cosa potresti fare, per favorirla ulteriormente? 

 

Eccoti il link al webinar gratuito (se vuoi saltare sigla e intro, vai al minuto 5.30).

 

Mettiti al centro: prendi il tuo tempo

Mettiti al centro: prendi il tuo tempo

Il tempo per noi stesse è importante, anche per gli altri.

Oggi vorrei parlarti di uno dei temi che sento ricorrere maggiormente tra le mie clienti, tra le mie amiche e colleghe, tra le amiche professioniste della Rete al Femminile, tra la maggior parte delle donne che lavorano, che hanno famiglia e spesso dei figli e sono donne che vogliono crescere dal punto di vista sia personale che professionale: è la stanchezza e la mancanza di tempo per sé – che sono, a mio avviso, strettamente collegate.

Prendersi del tempo è sempre stato difficile, per le donne

E ora con smart working che proprio smart non è, didattica a distanza, attività sportive soppresse e neanche un ristorante o un teatro dove passare una serata rigenerante, il problema si è acuito in modo esponenziale.

Ma se la difficoltà è oggettiva, c’è sempre qualcosa che possiamo fare a livello soggettivo per ridare priorità a qualcosa che consideriamo un “lusso”: un po’ di tempo per noi.

E l’inizio è sempre un cambiamento nel nostro modo di vedere le cose.

Se prenderci del tempo per noi non fosse un lusso, ma una priorità?

Se invece il lusso che non possiamo permetterci fosse quello di trascurare il nostro bisogno di staccare, rigenerarci, divertirci? 

Una delle cose che mi ha sempre tenuta in piedi anche nei momenti più sfidanti della mia vita è stata una sorta di sano “egoismo” che mi ha sempre permesso di non perdere di vista ciò che per me è vitale (nel senso che aggiunge vita alle mie giornate): trovare il tempo per fare ciò che amo.

Noi donne cresciamo con l’idea che il nostro ruolo è di esserci per gli altri, prima.

Da bambine vediamo le mamme fare i salti mortali, sacrificarsi, gestire con successo mille ruoli contemporaneamente e introiettiamo quei modelli. 

Perciò non è stato facile nemmeno per me vincere quell’idea strisciante che ti fa credere che gli altri ti giudicheranno se dici di no, o che il mondo crollerà se non sei sempre a disposizione di chi ha bisogno di te. 

Ma forse proprio per la mia storia (che ti rimando qui)  ho iniziato a credere che pensare a me stessa “prima” (non soltanto, ma prima) fosse indispensabile non solo alla mia felicità, ma alla mia sopravvivenza.

Capita a tutte di vivere con quel senso di colpa

Proprio oggi, in una sessione individuale con una meravigliosa nuova cliente, il tema è emerso di nuovo. Raccontava di una pressione esagerata da parte dell’azienda per cui lavora, della totale mancanza di tempo per sè e del dispiacere (se non addirittura senso di colpa) per aver ritardato un giorno nell’andare a prendere la figlia, che così aveva cenato dallo zio anziché con lei. 

Il suo racconto mi ha richiamato alla memoria un episodio di quando ero bambina, che l’ha aiutata a cambiare la percezione riguardo a quell’evento. 

Ti racconto quello che era successo a me

Ero in prima media e praticavo atletica leggera, e nei 60 metri piani ero quasi imbattibile.

Quel giorno eravamo andati con tutta la scuola al campo sportivo per le gare comunali. Ma  pochi minuti prima della gara, che sapevo di poter vincere, succede qualcosa: in segreteria si rendono conto che io ero un anno più giovane rispetto alle mie compagne di classe e delle classi parallele, pertanto mi sento convocare lì con la mia insegnante e mi dicono che purtroppo, a causa del regolamento, non avrei potuto partecipare se non con “le più piccole”. 

Fui presa dalla delusione, dalla vergogna di dover correre con quelle delle elementari, dal disagio di gareggiare con delle sconosciute: così scoppiai a piangere e mi rifiutai di gareggiare. Ammetto di essere stata un po’ drammatica 😉 ma ai miei 10 anni evidentemente non sapevo fare di meglio.

Così la scuola avvertì mia mamma affinché mi venisse a prendere, ma lei stava lavorando e non poteva muoversi.

Oggi, come mamma a mia volta, immagino che si sia sentita in conflitto tra ciò che doveva fare e il desiderio di venir a consolarmi, in colpa forse, per non potersi assentare. Allora di certo non ci pensavo.

Fatto sta che mi venne a prendere mia zia, sua sorella più giovane, con il suo fidanzato ed un cucciolo di pastore tedesco di nome Lord, e mi portarono a fare una passeggiata sul Carso.

Fu una giornata speciale, e io ancora oggi la ricordo come una cosa stra-ordinaria (in quanto non era abituale), una piccola avventura che fu in grado di farmi dimenticare la delusione e riportarmi al mio naturale stato di gioia.

Ho fatto tesoro di quell’esperienza

Questo racconto ha permesso a Claudia di capire che quello che lei viveva come un “togliere qualcosa” a se stessa e alla bambina, poteva in realtà essere un grande dono alla figlia, un’esperienza che da grande magari avrebbe ricordato con piacere ed affetto, proprio perché insolita, diversa, inaspettata.

Quando ci sacrifichiamo per i figli, trasmettiamo loro il messaggio: sei importante, ti amo.

Ma quando sappiamo prenderci cura di noi trasmettiamo loro un messaggio altrettanto fondamentale: Io sono importante per me, io mi amo.

E questo autorizza loro a considerarsi importanti per se stessi, ad amare se stessi prima di tutto.

E non succede solo con i figli, ma con tutte le persone che amiamo.

Così facendo è come se autorizzassimo anche gli altri a fare lo stesso, li incoraggiassimo a riconoscere i propri bisogni e prendersene cura. È un po’ come in quel vecchio detto: 

Se vuoi sfamare una persona non dargli del pesce: insegnale a pescare.

E ne parlava anche un certo uomo saggio vissuto circa duemila anni fa: ama il prossimo tuo come te stesso. 

Se questo amore per noi stesse scarseggia, come potremo davvero amare qualcun altro di più?

Conosco donne “impeccabili” che si sacrificano per fare sempre ciò che ci si aspetta da loro, ma che poi si lamentano, criticano, giudicano e sono quasi sempre scontente e rancorose.

Si sono semplicemente dimenticate di amare e dare ascolto alla persona con cui devono trascorrere ogni istante della propria vita: se stesse.

Si può fare. Anzi, è uno dei rarissimi casi in cui utilizzo questo verbo: si “deve” fare 😉 

Lo devi a te stessa, prima di tutto.

Quando  impari ad amarti ti tratti come tratti le persone che ami: fai quello che puoi per renderle felici. E allo stesso modo per cui per te è una gioia esserci per gli altri, è importante esserci per te.

Perciò, trova il tempo per dedicarti a ciò che ami.

Quanto a me, ora, nonostante le molte cose che avrei da fare, e nonostante fuori ci sia un’umidità londinese, chiudo il computer, mi alzo dalla mia postazione e vado a fare una passeggiata lungomare.

Al mio ritorno sarò una persona un po’ migliore, e non sarò l’unica a beneficiarne.

Lasciami un commento: fammi sapere di te!

Gina

Momenti lavatrice e dove trovarli: dalla confusione alla creazione

Momenti lavatrice e dove trovarli: dalla confusione alla creazione

Momenti di confusione, sono sicura che li conosci molto bene anche tu.

Sono quei momenti in cui è come se calasse un sipario pesante e scuro sulla tua giornata. Ti senti invischiata in una ragnatela dalla quale tenti di divincolarti, ma più ti muovi e più ti senti limitata nei movimenti e impossibilitata ad uscirne.

I pensieri sono veloci e confusi mentre la tua capacità d’azione è rallentata e indebolita.

Insomma, non sei “la solita te”.

Io li chiamo momenti di “turbolenza”, o momenti lavatrice.

È normale che succeda (ne parlo anche in questo articolo)

Il problema è che pensiamo non lo sia, che pensiamo non dovremmo sentirci così. Invece che prenderla come una giornata di pioggia, ci sentiamo come se il sole non dovesse tornare mai più.

Ci succede quando siamo stanche e la confusione prende il sopravvento.

Quando l’impegno che mettiamo in tutte le cose non ci ripaga con i risultati sperati.

I momenti in cui non ci sentiamo comprese, quando ci sembra che ciò che facciamo non venga apprezzato a sufficienza.

E anche quando ci sembra di essere scivolate dalla padella nella brace. Magari perché abbiamo avuto il coraggio di lasciare un lavoro sicuro e ben retribuito, per perseguire la realizzazione di un sogno e di noi stesse. Ma in certi momenti ci troviamo a dubitare di tutto e, per estensione, anche di noi stesse.

Un paio di settimane fa ho vissuto uno di quei momenti

Non è una cosa nuova per me. Mi succede ciclicamente e, sebbene io li conosca bene, quando ci sono dentro mi sembra che niente vada bene, che niente sia giusto… mi sento lontana da me.

E quando sei lontana da te, rischi di sentirti lontana anche da ciò che hai scelto, e può capitare di mettere in discussione molte cose. 

In quei momenti è facile avere la tendenza a drammatizzare. Le forti emozioni che si provano tingono di un colore scuro ogni cosa e non si riesce ad avere uno sguardo obiettivo sulle cose.

Da una chiacchierata con un’amica anche lei libera professionista che, a breve distanza dal mio momento no, stava attraversando una fase simile, è nato un fertile confronto su questo tema. Questo mi ha portata a cercare di comprendere, e in un certo modo codificare, non solo come attraversare al meglio questi momenti, ma anche a come farne risorsa.

Ecco cosa ti potrebbe capitare di sperimentare, quando vivi questi momenti di confusione:

  • pensare che sei sulla strada sbagliata
  • mettere in discussione te stessa, le tue scelte, il cammino fatto fin qui
  • mettere in dubbio i tuoi meriti
  • permettere a una situazione sbagliata o difficile di diventare pervasiva. Es: è andato male un incontro di lavoro e ciò che ti dici in realtà è che “la tua vita è un disastro”
  • non riuscire a vedere la bellezza e l’abbondanza che c’è nella tua vita proprio ora
  • notare molto bene tutto quello che manca o che non va
  • vedere la bruttezza del mondo, e solo quella.
  • perdere il contatto con il senso di ciò che fai (insomma, ti sembra futile o inutile)

Capita anche a te?

Siccome ho anni e anni di esperienza, diretta e indiretta, di momenti così, ecco che ho stilato innanzitutto un elenco di DON’TS, ovvero di cose da NON fare in queste circostanze in cui la confusione tenta di prendere sopravvento.

Sono tre le principali cose “vietate”, dopo esserci concesse di sguazzare brevemente nel nostro “drama” 😉

È “vietato”:

  1. credere a tutto ciò che pensi (questo vale sempre, ma in particolar modo nei momenti-lavatrice);
  2. giudicarti per come ti senti (sei molto più di quello che provi ora);
  3. prendere decisioni sull’onda dell’emozione (non sarebbero certo le migliori).

Ci sono molte cose utili che possiamo fare in quei momenti di confusione, e voglio condividere con te i 7 passi che per me funzionano sempre:

– accettare come mi sento e accogliere le mie emozioni;
– fare silenzio e non forzarmi a fare nulla che non sia strettamente indispensabile;
– confrontarmi con qualcuna delle mie preziose “compagne di viaggio”;
– prendermi cura di me scegliendo alcune delle cose dalla mia “self care list”;
– comprendere qual è davvero il problema, comprendere il messaggio del mio disagio;
– rifare contatto con il mio “perché”;
– mettere in atto qualcosa di nuovo.

E ora, uno per uno, ti spiego perché per me funzionano per combattere la confusione:

  • Accettare come mi sento e accogliere le mie emozioni: resistere a ciò che sentiamo, opporci, sopprimere o negare le nostre emozioni non fa che creare ulteriore conflitto. Sentiamo ciò che sentiamo. Se riusciamo a non giudicarci per questo e a non avere paura di ciò che sentiamo, possiamo semplicemente accogliere la verità di ciò che sta accadendo, lasciandocene attraversare, totalmente.
  • Fare silenzio e non forzarmi a fare nulla che non sia indispensabile: creare spazio, creare silenzio ci permette di entrare in contatto con qualcosa di più profondo del chiacchiericcio della nostra mente. Inoltre costringerci ad essere efficienti e performanti in quei momenti sarebbe inutile: non lo siamo. Perciò, se possiamo, fermiamoci e stiamo in quello che c’è. 
  • Confrontarmi con qualcuna delle mie preziose “compagne di viaggio”:  avere delle amiche che siano in grado di ascoltarti davvero, che siano in grado di accoglierti anche nei tuoi momenti no, è uno dei tesori più preziosi che possiamo avere. Io sono ricchissima, da questo punto di vista, ed è una gioia cercare e offrire presenza e supporto, quando qualcuna di noi ne sente il bisogno.
  • Prendermi cura di me facendo alcune delle cose sulla mia “self care list”: per ritrovare il nostro equilibrio è importantissimo per noi donne prenderci cura di noi, dedicarci al vero piacere (no, lo shopping compulsivo non rientra in questa categoria). Fare cose che ci fanno stare bene, nutrendoci nel profondo. Per me può essere una passeggiata in natura, fare una doccia calda con il mio bagnoschiuma preferito, accendere un incenso e mettere su una musica speciale. Ma anche scrivere su carta i miei pensieri, mettere i piedi nell’acqua di mare e affidare alle onde le mie “paturnie”. 😉

E ancora…

  • Comprendere qual è davvero il problema, comprendere il messaggio del mio disagio: a questo punto (e non prima) posso comprendere cosa c’è di vero. Cosa vuole essere visto, cambiato, eliminato o iniziato.
  • Rifare contatto con il mio “perché”: ricordarmi il senso, il perché di certe mie scelte, rifare contatto con i miei valori non negoziabili e con il contributo, unico perché “mio”. Parlo di ciò che voglio portare alla collettività. Questo mi aiuta a rimettere le cose in prospettiva, a ritrovare l’ispirazione e a fare una nuova “cornice d’accordo” con me stessa e con le persone eventualmente coinvolte. (NDR di questo tema, molto importante ed ampio, ti parlerò nel prossimo articolo).
  • Mettere in atto qualcosa di nuovo: questo è un passaggio fondamentale per me, che sono amante della varietà e delle novità. Dopo un momento di crisi sento il desiderio di scrivere una pagina nuova, di fare tesoro dell’accaduto e nel contempo di proiettarmi verso nuovi orizzonti. Una nuova pratica, un’abitudine, un corso o anche solo un quaderno nuovo dove annotare le mie comprensioni. Piccoli ma preziosi elementi che sanciscono il passaggio.

Non dobbiamo sempre mostrarci forti.

Non è necessario mostrarci sempre all’altezza.

Non pensare di dover essere superwoman.

Lo siamo. Ma in tutto questo sono compresi anche i momenti difficili. Quelli in cui mettiamo tutto in discussione, in cui rimescoliamo le carte, in cui andiamo in riserva di energia e le cose assumono sfumature confuse o pesanti.

Quei momenti di confusione vanno accolti e attraversati.

E solo lasciando a terra ciò che non ti serve più, puoi proseguire con ciò che sei diventata.

Un abbraccio,
Gina

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