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Comunicazione empatica: scegli la sedia giusta e migliora la qualità delle tue relazioni

Comunicazione empatica: scegli la sedia giusta e migliora la qualità delle tue relazioni

Cosa sta alla base della comunicazione empatica? Impariamo la tecnica delle 5 sedie, per comunicare con maggiore consapevolezza. 

Avere relazioni di qualità sembra essere una delle risorse essenziali per vivere una vita felice, e ricca di significato, come risulta dalla ricerca sulla felicità più lunga della storia (Harvard, 1938- 2013). Eppure le nostre sofferenze più frequenti derivano proprio dal “non capirsi”, dai litigi, dalle discussioni che quotidianamente abbiamo proprio con le persone a noi più vicine, a casa, con gli amici e al lavoro. Com’è possibile?

Marshall Rosenberg, padre della comunicazione non-violenta, ci ha trasmesso l’idea che il nostro modo di comunicare “violento” (ricco cioè di critiche, giudizi e manipolazioni) è qualcosa di appreso, mentre l’Empatia è qualcosa di innato, che però perdiamo crescendo, imitando i modelli comunicativi che registriamo intorno a noi. Serve quindi recuperarla, per comunicare mantenendo il contatto con noi stesse e con gli altri, osservando senza giudicare, individuando emozioni e bisogni, e facendo le richieste necessarie.

Non so quale sia la tua esperienza in merito, ma a me capita a volte di scivolare inconsapevolmente in una battaglia su chi ha più ragione, magari con il mio compagno (eh già… lui è proprio la mia palestra più grande 😉 ) E allora ecco che mi fermo, faccio un passo indietro e utilizzo quello che so. Quello che sto per condividere con te in questo articolo è proprio uno dei metodi che mi viene maggiormente in aiuto…

Le 5 sedie per imparare la comunicazione empatica

Una delle metodologie che trovo essere più utili quando si tratta di comunicazione empatica e modulazione del nostro comportamento “sotto pressione” è la tecnica delle 5 sedie di Louise Evans, che lei stessa descrive nel suo intervento al Tedx di Genova. Questa metodologia ti aiuterà a rallentare e capire quale tipo di comunicazione e di comportamento stai attuando in ogni situazione. 

Se mi conosci un po’ sai quanto io ami la Natura: sarà anche per questo che trovo simpatica, oltre che efficace, questa metodologia: i protagonisti sono 5 animali, che con le loro caratteristiche ti aiuteranno ad osservare il tuo comportamento e magari sceglierne gradatamente uno più funzionale. Ma vediamoli!

La teoria della comunicazione empatica: ad ogni animale la sua sedia

Immagina di avere cinque sedie in fila, di 5 colori diversi e ognuna collegata ad un animale. Immagina di capire dove ti trovi in ogni situazione “difficile” tra te e qualcun altro e tieni presente che più ti sposti verso la sedia numero 5, più abile sarai diventata e meglio sarà per le tue relazioni.

SEDIA ROSSA – LO SCIACALLO


Lo sciacallo è un animale molto furbo, opportunista, un animale che attacca. In termini comunicativi, quando sei su questa sedia fai il gioco del “ho ragione io”. Se noi abbiamo ragione, questo implica che dall’altra parte qualcuno deve avere per forza torto e questo non facilita sicuramente le relazioni. É più importante per noi avere ragione o preservare e magari rafforzare la relazione con questa persona? Ricorda sempre che avere ragione non serve a niente. Se non a rimanere uguali a se stessi.

SEDIA GIALLA – IL PORCOSPINO

Il porcospino è un animale che si sente molto vulnerabile e quando avverte un pericolo o c’è qualcosa che lo spaventa, si appallottola su se stesso per proteggersi. Questa è una sedia di dubbio, di critica e giudizi verso noi stesse , di insicurezza. Qui è come se ricercassi  quello che ci potrebbe essere di sbagliato te e nelle tue azioni, con la certezza di trovarlo. Quando siamo sulla sedia del porcospino è come se riversassimo tutti gli attacchi dello sciacallo verso noi stesse. E anche qui non si sta per niente bene.

SEDIA VERDE – IL SURICATO

Hai presente il suricato? Quel simpatico animaletto di nome Timòn che nel Re Leone canta Hakuna Matata insieme al Facocero Pumba? Bene, Walt Disney a parte, il suricato è un animaletto che quando è “di guardia” è capace di stare in piedi per delle ore sulle zampare posteriori e, allungandosi il più possibile, osservare cosa succede tutt’intorno. É un animaletto molto molto vigile, capace di stare ore fermo immobile a non far nulla, limitandosi ad osservare. Questa è la sedia in cui siamo vigili, siamo delle sentinelle, siamo in pausa, attendiamo. È la sedia della consapevolezza. Ci interroghiamo su quello che pensiamo, su quello che diciamo. È una sedia in cui diventiamo curiose anziché giudicanti. Questa è la sedia da dove scegliamo da che parte andare: direzione sciacallo e direzione giraffa? 

SEDIA AZZURRA – IL DELFINO

Il delfino è un animale super intelligente, curioso, socievole, ama giocare, ma soprattutto è dotato di un radar molto particolare, detto “sonar”, che gli permette di emettere dei suoni impercettibili all’uomo che, rimbalzando suoi ostacoli circostanti, gli forniscono una mappa dettagliata di tutto ciò che lo circonda. Quella del delfino sarà perciò la sedia dell’introspezione e dell’indagine. Per questa sedia è calzante il pensiero di Aristotele “Conoscere te stesso è l’inizio di tutta la saggezza”. Qui indaghiamo dentro di noi, siamo molto consapevoli di noi stesse, riconosciamo quali sono i nostri bisogni, i nostri valori, i nostri confini con chiarezza. È una sedia potente, in cui ci riprendiamo il nostro potere e riusciamo a mettere i nostri paletti in modo assertivo  e mai aggressivo.

SEDIA VIOLA – LA GIRAFFA

La giraffa è l’animale che ha il cuore tra i più grandi e potenti di tutti gli animali terrestri, ed ha anche il collo più lungo, che le permette di guardare le cose da una prospettiva molto più ampia rispetto a qualsiasi altro animale non volatile. In questa sedia noi siamo consapevoli dei nostri bisogni ma siamo attente anche ai bisogni dell’altra persona. Siamo empatiche, amorevoli. Iniziamo a chiederci cosa sta provando l’altra persona, cosa sta succedendo dentro di lei, di che cosa ha bisogno. Qui non ci importa di avere ragione, ci caliamo nei panni degli altri, cerchiamo di comprenderli e di vedere tutto con una visione più ampia. Diventiamo comprensive e accettiamo la diversità.  É una sedia in cui manteniamo la connessione con l’altra persona, qualsiasi cosa accada, anche se siamo in disaccordo e anche se dal confronto dovesse risultare di prendere due strade diverse.

Ma vediamo un esempio concreto.

Proviamo a immaginare una situazione reale e, in seguito, vediamo che tipo di risposta potremmo adottare spostandoci di sedia in sedia. 

SITUAZIONE: Stai passeggiando per la città e incroci un’ex collega che non vedi e non senti da un po’ di tempo e con la quale eravate molto legate. Ti sembra di notare che è sfuggente, che nel suo atteggiamento c’è qualcosa di diverso dal solito.

COMUNICAZIONE EMPATICA – COME RISPONDERE, SPOSTANDOTI DA UNA SEDIA ALL’ALTRA:

  1. SCIACALLO – Attacchiamo l’amica. «Ehi, ma buongiorno!! Tutto bene sì?! ti ho chiamato tre volte e tu non rispondi? Sono mesi che non ti fai viva!». Potremmo anche non attaccare verbalmente, ma farlo con uno sguardo di sospetto o di giudizio, o con un tono di voce velatamente accusatorio. Insomma, il sottofondo qui è che noi siamo la parte lesa e lei si è comportata male.
  2. PORCOSPINO – La salutiamo velocemente, magari risultando sfuggenti noi, perché siamo impegnate a rimuginare, mettendoci in una condizione di colpevole vittimismo. “Chissà cosa ho fatto, come mai non si è fatta viva con me, le avrò fatto qualcosa? Sarà per quella volta che le ho fatto una battuta e lei c’è rimasta male… Eh sì, sicuro ce l’ha con me. O magari crede ancora che io abbia parlato male di lei con il capo…”  Insomma, qui la ricerca dell’errore, della “colpa” è su di noi.
  3. SURICATO – Qui ci mettiamo in pausa e osserviamo cosa accade. É uno spartiacque, è la sedia “sliding doors” : da un lato le ragioni dell’ego con le sue ferite e i suoi giudizi, dall’altra l’Empatia, per noi stesse e per gli altri.  Nel caso della nostra ex collega quindi, la osserviamo, ci osserviamo, e ci chiediamo che cosa sta veramente succedendo. Sospendiamo ogni giudizio. 
  4. DELFINO – In questa postazione non “facciamo”molto in realtà, ma raccogliamo segnali, proviamo un’apertura di cuore verso noi stesse e verso di lei, cerchiamo di stare in contatto per comprendere e valutare il da farsi.  Questo potrebbe risultare nel chiederti “Ok, vorrei riuscire a rientrare in contatto con lei, ci tengo ad essere sua amica. Voglio che le stia bene, però voglio stare bene anche io. Di cosa ho bisogno? Quale potrebbe essere una strada buona per entrambe?” 
  5. GIRAFFA – Nei confronti dell’amica ti chiederesti: “Di che cosa ha bisogno LEI? Che cosa sta succedendo? Come posso aiutarla? Cos’è importante per lei?”.  Anche se quello che è importante per lei non coincide con ciò che importante per te ci sarà sempre apertura. È comprendere e accettare la diversità. Magari in un prossimo articolo andremo in maggiore profondità con la comunicazione empatica, ma ti assicuro che se ti alleni su questi passaggi vedrai accadere “miracoli”! 🙂 

Facile? No. Possibile? Certamente.

A volte è difficile rinunciare al gioco di io ho ragione o di rinunciare al ruolo della vittima. Se restiamo in questi due ruoli non “vinciamo”. Avere ragione, imporsi sull’altro non rappresenta la vittoria, perché la vera vittoria è, invece, avere buone relazioni basate sull’ascolto autentico e, per farlo, è necessario scegliere bene la nostra sedia!

Un abbraccio, 

Gina

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I bisogni, uno dei pilastri della tua felicità (e della Scienza del Sé)

I bisogni, uno dei pilastri della tua felicità (e della Scienza del Sé)

Ti propongo alcune riflessioni sui bisogni e un esercizio per acquisirne maggior consapevolezza 

 

Oggi voglio parlarti di uno dei “fondamentali” della felicità: i Bisogni. 

Da sempre filosofi, pensatori, e ora anche gli uomini di scienza, si sono interrogati su cosa sia la felicità e su quali siano, di conseguenza, gli ingredienti che la compongono.

La visione che sento più mia è quella di “una vita ben vissuta”, ricca di significato, con una direzione a noi allineata, da cui scaturisce un certo benessere generale. C’è chi sembra capace di creare tutto questo facilmente e spontaneamente, ma per la maggior parte di noi serve invece “lavorarci” un po’.

Ma come fare? Le ricette sembrano infinite, ognuno dice la propria e l’unica cosa assicurata sembra essere il disorientamento.

Recentemente sono venuta in contatto con la Scienza del Sé, una nuova disciplina impiegata nell’ambito della crescita personale, che ha riunito tutto ciò che serve conoscere per acquisire una certa consapevolezza di sé e guidarsi verso una vita appagante e vissuta in pienezza Sono temi già molto noti in quest’ambito, ma la novità è che sono stati organizzati in 9 Pilastri (dal Prof. Sandro Formica, docente all’Università di Miami) e con il supporto di articoli accademici e materiali scientifici.

 

I bisogni sono il primo di questi pilastri

 

Che ne siamo consapevoli o no, tutto ciò che facciamo (o non facciamo) é mosso da un bisogno. I bisogni sono qualcosa di universale che tutti gli esseri umani hanno. A seconda del contesto, a seconda della situazione, a seconda del momento, i nostri bisogni variano sia per priorità sia per, diciamo così, assortimento. 

 

I bisogni sono qualcosa che ogni essere umano ha e variano a seconda del contesto e della situazione. Essi attivano e dirigono il nostro comportamento.

 

 

Teorie sui bisogni

 

Sono molti gli studiosi che hanno elaborato una teoria sui bisogni. Uno di questi era lo psicologo Abraham Maslow, che scelse di rappresentare i bisogni su una scala gerarchica, la Piramide nota appunto con il suo cognome. I bisogni di sopravvivenza venivano posti alla base della piramide, mentre quelli di autorealizzazione e trascendenza venivano posti al vertice. 

Esiste poi la teoria elaborata più recentemente da Antony Robbins e la psicoterapeuta Cloe Madanes: tutti gli esseri umani hanno essenzialmente sei bisogni: quattro riguardanti la personalità e due più spirituali. I bisogni individuati da Robbins sono i seguenti: importanza (nel senso di significato), amore ed unione, sicurezza e il suo opposto varietà e, infine i bisogni “dello spirito”, ovvero crescita e bisogno di contribuire a qualcosa di più grande di noi. Questi ultimi sono i bisogni più elevati, che creano il vero appagamento all’individuo.

 

Noi invece utilizzeremo una lista più completa di bisogni ed esigenze, e per farlo troverai un esercizio alla fine dell’articolo.

 

 

I bisogni, nella pratica

 

Il concetto fondamentale è che noi abbiamo bisogno di soddisfare i nostri bisogni. 

Ma il mezzo, la strategia che utilizzerai per soddisfarli farà una grande differenza in termini di soddisfazione e di sostenibilità.

 

Vediamo per esempio l’Amore, che è uno dei bisogni fondamentali di ogni essere umano. Un modo funzionale per soddisfarlo è attraverso le relazioni (amici, famiglia, coppia, figli, ecc.), prendendosi un cane o un gatto, prendendosi cura di qualcuno o di qualcosa. Lo stesso bisogno però potrebbe spingere qualcuno a rimanere in una relazione malsana, o potrebbe spingere un bambino a comportarsi male pur di attirare l’attenzione (e quindi l’amore) dei genitori. 

Quindi il bisogno è sano, ma il comportamento o il mezzo che ho trovato per appagarlo non è altrettanto “sano”, e quindi non è sostenibile nel tempo. 

 

Parlando di bisogni è anche molto comune cadere in una sorta di fraintendimento molto diffuso: siccome io ho un bisogno, tu devi comportarti in un certo modo, o devi astenerti da certi comportamenti pur di soddisfarmelo.

Inutile dire che anche in questo caso la strategia non è sostenibile.

 

Ecco allora cosa possiamo fare 

 

Familiarizzare con i propri bisogni in prima persona significa fondamentalmente tre cose:

  1. imparare a riconoscere ciò che sentiamo
  2. acquisire un vocabolario che ci permetta di dargli un nome  
  3. scegliere cosa possiamo fare per prendercene cura.

 

Qual è il bisogno che abbiamo (adesso, in ogni circostanza)? Qual è il bisogno che ci spinge a fare (o non fare) una certa cosa? Qual è il bisogno che non è soddisfatto in un determinato momento? 

E per fare questo ci vengono in aiuto le emozioni “negative”: molto spesso infatti sono lì proprio per segnalarci che c’è un bisogno non soddisfatto sotto. 

 

Il bisogno è innanzitutto una responsabilità personale (bambini esclusi) , una responsabilità che io ho verso me stessa di capire che cos’è e in che modo funzionale lo posso soddisfare.

 

Questo esercizio ti aiuterà tutte le volte che un’emozione spiacevole ti segnala qualcosa.

 

 

 

Il mio esercizio per individuare i bisogni

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Fatto? Eccoci qui di nuovo, pronte per affrontare l’esercizio. 

 

  1. Pensa ad una situazione in cui non ti sei sentita soddisfatta
  2. Guardando la scheda che ti ho inviato, chiediti: quale mio bisogno non è stato appagato in quella situazione? Leggi la tabella e trascriviti bisogni che ti risuonano di più, sicuramente ne troverai diversi. Poi cerca di affinare l’ascolto e restringi il campo a 1-3 bisogni al massimo.
  3. Decidi in che modo vuoi prenderti cura di ognuno di quei bisogni. Cosa puoi fare a riguardo?

In questa prima fase sarà bene prenderti cura personalmente del soddisfacimento di quel bisogno. Successivamente potrai decidere se fare una richiesta a qualcuno, che ovviamente non sarà obbligato ad eseguire! 

(In ogni caso vedremo come allenare la tua capacità di esporre i tuoi bisogni e fare richieste in un prossimo articolo sulla comunicazione empatica).

E adesso, condividi?

Mi piacerebbe che tu condividessi le tue scoperte e riflessioni con me.
Ovviamente non ci aspettiamo di risolvere tutto con questo esercizio, ma è un primo passo di un percorso che affronteremo insieme (e che potrei seguire da casa attraverso gli esercizi di crescita e gli aggiornamenti che riceverai nella mia newsletter). Questo esercizio è fondamentale per acquisire un po’ di familiarità con “ciò che è vivo e vero in te”, come diceva il grande Marshall Rosenberg, padre della comunicazione non-violenta.

 

Un altro aspetto importante per soddisfare i tuoi bisogni in modo sostenibile, sarà tenere conto dei tuoi valori.

Ma questo sarà tema di un ulteriore approfondimento.

 

Un abbraccio, 

Gina

 

 

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Bloccata da un pensiero.

Bloccata da un pensiero.

Succede anche a me.

E mi è successo proprio in questo periodo, di rimanere bloccata da un pensiero che non è di alcuna utilità. A volte può essere vivido e pressante, a volte- come nel mio caso- può aleggiare sullo sfondo, serpeggiante. Così, mentre sei impegnata sui mille fronti della quotidianità, quasi neanche ti accorgi che è lì e che ti blocca.

Eppure lo fa.

 

Sono presto tre mesi che non scrivo una Newsletter né un post nel mio Blog. Non è stata una scelta consapevole e serena. Piuttosto una parentesi caratterizzata dalla presenza di una vocina che, come la più insolente delle zanzare quando cerchi di dormire in una calda notte estiva, continuava a ronzarmi all’orecchio: “dovresti scrivere un post, dovresti mandare la Newsletter, è troppo tempo che non lo fai, a quest’ora dovresti averne scritti già tre”… bzzz…bzzz…bzzzz…. Eppure per mesi non è successo niente.

Perché?

Non ho avuto tempo? Ero a corto di argomenti? Ho cambiato idea? Niente di tutto questo.

Chiamiamolo effetto-nausea.

È quello stato d’animo che spesso mi prende quando apro il mio Instagram e sembra che siano tutti Coach, esperti, guru- che siano tutti “arrivati” e felici, che abbiano una formula magica per tutto, che abbiano i 4 passi per questo, i 9 scalini per quello e i 3 segreti che devi conoscere per…ogni cosa!

In quei momenti mi sembrano tutte più avanti di me- non professionalmente magari, su questo sono molto sicura e tranquilla – ma più “sul pezzo”. Sembrano (e spesso sono!)  più a loro agio con la tecnologia, sembrano più abili nell’uso dello strumento e sembrano divertirsi nel restare al passo con gli ultimi ritrovati delle stories, dei video IGTV e tutto il resto- mentre io mi sento arrancare.

Davanti a questa overdose di stimoli, offerte, consigli, proposte, la mia reazione istintiva è ritirarmi come un paguro nella mia conchiglietta e non partecipare affatto, perché mi sembra una competizione, ed essendo la mia natura collaborativa e aggregante, quando sniffo odore di competizione tendo ad auto-eliminarmi. (Non una gran strategia, concordi?)

I pensieri che mi girano per la testa in quei momenti sono: “ma cos’altro ho da aggiungere io, a questo oceano di input, informazioni e suggerimenti? Cos’ho da aggiungere a questo coro di gente urlante, che si sbraccia per catturare la tua attenzione nei video e ha sicuramente la soluzione per te?”

E la risposta inconscia a questi pensieri è …freeeeze. Mi fingo morta aspettando che passi il supposto pericolo 😉

Ehi, ma aspetta un momento.

Questo è esattamente quello che mi riferiscono la maggior parte delle donne con cui lavoro, le partecipanti dei miei percorsi, le mie clienti in Coaching, le imprenditrici e professioniste che supporto in azienda, le donne che mi contattano e mi raccontano dove si sentono incastrate o limitate. È uno dei temi più comuni, una delle distorsioni più diffuse, una di quelle bugie che, se ripetute con la giusta intensità, assumono carattere di verità e ci fanno sabotare i nostri amati progetti.

 

Non sei abbastanza…

Abbastanza cosa, stavolta? abbastanza esperta, oppure giovane, o matura, o”arrivata”, conosciuta, sconosciuta, originale, bella, unica, sicura, divertente…cosa?! Ma quando la smetteremo con questo mantra? Oppure ancora “Sei troppo…” e anche qui una lunga sfilza di attributi con il solito effetto rallentante o paralizzante.

 

I social hanno amplificato l’umana sensazione che tutti siano meglio di noi.

Ma cadere in quella trappola realizza proprio quello che temiamo.

Ci fa restare indietro.

Ma non indietro alle altre o agli altri. Chissenefrega.

Indietro rispetto ai nostri progetti.

Non ci fa ottimizzare le energie impegnate ad arrivare fin qui.

Gli studi che abbiamo compiuto.

Il tempo dedicato.

I quattrini spesi per imparare quelle nuove abilità.

Le promesse che ci siamo fatte. Le comprensioni che abbiamo avuto.

Lo scopo che abbiamo compreso di avere.

I talenti che abbiamo ricevuto in dono e coltivato.

 

Non stiamo onorando la nostra Unicità, la nostra vita, non stiamo facendo la nostra parte, pienamente.

La competizione è solo nella mia testa. Ognuna fa quello che fa. Period.

 

Quindi TA-DAAA…!

Ecco i miei 4 passi per uscire concretamente dallo stato di blocco 😉

Questo è quello che ho fatto io e che anche tu puoi mettere in atto per abbassare la voce del critico/perfezionista interiore e ridistribuire l’energia bloccata alla parte di te che può realizzare le cose:

 

1) smetti di guardarti in giro allo scopo di paragonarti. Dedica uno slot di tempo alla settimana per trarre ispirazione dal lavoro altrui, poi chiudi tutto e occupati di quello che vuoi fare tu

(fatto!)

 

2) anziché cercare i tuoi “troppo” o “troppo poco” concentrati su tre caratteristiche tue che ti piacciono, che fanno parte della tua Unicità, punta su quelle e amplificale

(onestà: mi mostro come sono, con i miei successi e i miei punti deboli, senza paura; desiderio di contribuire: se sto in silenzio di certo non sarò utile a nessuno; allegria: tra una faccetta che sorride e un po’ di autoironia, eccomi qui a scrivere)

 

3) ricordati qual è il tuo perché, qual è lo scopo più grande, qual è il contributo che vuoi donare agli altri, quale beneficio ne potranno trarre. Uno, dieci o centomila non importa

(voglio aiutare le altre donne a superare i modelli mentali che le tengono a freno, e aiutarle a liberare e incanalare concretamente le loro capacità, in progetti che migliorano la loro vita e, perché no?, il mondo!)

 

4) fai subito una piccola azione concreta in quella direzione

(eccomi qui a scrivere)

 

5) lo so avevo detto quattro, ma a me piace disobbedire 😉 trova come rendere il compito più facile e divertente

(divido il lavoro in 3 parti: stesura di getto, rilettura e formattazione, pubblicazione. E per premio prendo la bici e vado a bermi un caffè lungomare 😉 )

 

 

Ecco che quello che fanno gli altri scompare all’orizzonte, e il tuo lavoro riprende il suo significato.

E allora eccoti riprendere il contatto con il tuo perché, a mantenere le promesse fatte a te stessa, a dare il tuo contributo alla vita e alla realizzazione di altre donne e persone.

L’unica vera sconfitta è ritirarsi dal proprio percorso, è compierlo con poca convinzione, è esitare davanti alle piccole paure, è lasciarsi abbattere dalle scuse, lasciarsi vincere dalle difficoltà.

 

Perché, come recita il mio adorato anello da cui non mi separo mai,

Realizzare quello che abbiamo dentro può essere facilissimo o difficilissimo, ma è l’unico motivo per cui siamo qui.

(La frase è di Sebastiano Zanolli ed incarna perfettamente il mio pensiero. L’anello è un “pezzo unico” , capolavoro di Valerio Tagliacarne e la sua Ink gioielli  )

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