fbpx
Sei una Persona Altamente Sensibile?

Sei una Persona Altamente Sensibile?

Scopriamo insieme ciò che contraddistingue una Persona Altamente Sensibile. Ti riconosci?

Persona Altamente Sensibile: sei una di noi?

Prima dell’articolo “Sei una Persona Altamente Sensibile?”, leggi qui⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

Ti hanno mai detto:
 

Sei sempre la solita esagerata

Mamma mia che suscettibile!

Non dovresti prendere sempre tutto così sul serio…

Ma perché piangi adesso?

Non so se ti sia capitato lo stesso. Da sempre mi sono sentita dire cose del genere, soprattutto da piccola, e da sempre mi sono resa conto che le mie percezioni e reazioni non erano come quelle della maggior parte delle persone.

 

Quindi ho sempre saputo di essere una “persona altamente sensibile”.

 

Quello che invece non sapevo, è che questa non è una semplice caratteristica né tantomeno un difetto, ma un tratto della personalità ereditario (come gli occhi neri o azzurri e tutto il resto). Oltre a questo, ho appreso che, a partire dagli anni 90, le persone “portatrici” di questo tratto della personalità sono state oggetto di studi e ricerche. 

 

E sono emerse delle cose molto interessanti.

Forse anche tu sei una PAS, Persona Altamente Sensibile, (dall’inglese HSP, High Sensitive Person, detta anche persona ad alto funzionamento) e non sai di esserlo. E magari anche tu hai pensato mille volte di essere sbagliata, non adatta, difettosa.

E se non sei tu ad essere una PAS, sicuramente hai un amico, familiare, collega che lo è: conoscere le caratteristiche e il funzionamento di una Persona Altamente Sensibile ti potrà aiutare a capirti e capirla meglio.

 

Persona Altamente Sensibile, una scoperta relativamente recente

 

La definizione esatta di questo tratto è Sensibilità di elaborazione sensoriale (Sensory Processing Sensitivity). La prima a compiere degli studi su questo è stata la dott.ssa Elaine Aron, ricercatrice in psicologia, docente universitaria, psicoterapeuta e scrittrice, che aveva soprattutto bisogno di comprendere sé stessa e il suo funzionamento. Gli studi, effettuati con il marito neurologo, risalgono ai primi anni 90 e la divulgazione delle ricerche ad un pubblico più ampio è avvenuta a partire dal 2012.

 

Anche alla dott.ssa Aron era capitato molte volte che colleghi ed amici la definissero “troppo sensibile”, complicata, diversa, così le era nata la curiosità e necessità di capire cosa ci fosse dietro a quella complessità di percezione, quel mondo emotivo così multisfaccettato ed intenso, quell’empatia e intuito così sviluppati, e quella difficoltà a gestire i troppi stimoli, le cattive notizie o le critiche.

 

 

In cosa consiste la Sensibilità di elaborazione sensoriale e perché sarebbe importante conoscerla?

 

Circa 1 persona su 5 è una Persona Altamente Sensibile. E quasi sicuramente non sa di esserlo.

Di conseguenza, non sa come trattare se stessa per non rimanere vittima degli svantaggi di questo tratto della personalità, né sa come metterne a frutto i vantaggi.

 

Credi di essere una PAS?

Con leggerezza e curiosità, leggi le seguenti domande e vedi se ti riconosci più di qualche volta:

 

  1. Intuisci lo stato d’animo degli altri e spesso ne vieni influenzata/o?
  2. Cogli i minimi dettagli e ti accorgi dei più piccoli cambiamenti?
  3. Soffri molto dinanzi alle ingiustizie o ai problemi ambientali?
  4. Una battuta su di te ti ferisce?
  5. Ti è impossibile prendere in giro qualcuno, anche se per scherzo?
  6. Sei molto sensibile al dolore fisico ed emotivo, anche quello degli altri?
  7. Ti è insopportabile la vista di scene di violenza o crude alla tv, anche se “finte”?
  8. Rimugini molto spesso su tutto?
  9. Hai un contatto profondo e quasi salvifico con la natura?
  10. Ami stare vicino all’acqua o trovartici dentro?
  11. Quando hai fame diventi intrattabile?

 

Se ti riconosci in qualcuno di questi aspetti, potresti essere una Persona Altamente Sensibile 😊 

Questa condizione porta con sè degli svantaggi facilmente intuibili. In questo nostro mondo avere un eccesso di empatia, di sensibilità ai rumori o al “brutto”, una tendenza a pensare molto e soppesare tutto, essere in contatto costante con le emozioni proprie e quelle altrui, può rendere la vita decisamente difficile.

Non sei la sola

 

Ma se Madre Natura si è presa la briga di diffondere queste caratteristiche a circa 1/5 della sua popolazione, evidentemente ha ritenuto che queste portassero con sè qualche vantaggio per la collettività.

 

E infatti è così.

 

Questa caratteristica è presente anche in molte specie animali in natura e gli individui che la portano, sono in grado di memorizzare meglio degli altri le esperienze negative – quindi potenzialmente pericolose per il gruppo – e le opportunità. Lo fanno a loro spese, ma i vantaggi vanno a beneficio della collettività. Quindi questi individui sono particolarmente utili.

 

 

E negli umani? Vantaggi  e svantaggi dell’alta sensibilità

 

L’acronimo DOES può aiutarti a riconoscere e iniziare a comprendere l’alta sensibilità, in te stessa in primis, ma anche negli altri.

 

  •     D come depth, profondità di elaborazione. Sei una specie di detective: osservi, noti e registri tutto, intuisci ma anche rifletti molto. Questo ti permette di accorgerti di cose che gli altri non notano per niente e di intuire i potenziali pericoli o le opportunità. 

 

  •     O come over-stimulation, sovrastimolazione. Questo superlavoro di osservazione e analisi può risultare molto stancante per il sistema nervoso. Perciò, se non impari dall’esperienza, tenderai ad affaticarti in molte situazioni che per gli altri risultano “normali” e piacevoli, potresti sentirti a disagio e tendere ad isolarti.

 

  •     E come emphasis e empathy, enfasi emotiva ed empatia . Sei costantemente in contatto con le tue emozioni e quelle delle persone intorno a te, sentendole con grande intensità e saresti portata/o anche a reagire come fossero tue. Questo ti da un vantaggio nel comprendere gli altri ma spesso ti rende molto vulnerabile, come fossi “senza pelle”.

 

  •     S come subtleties, dettagli. Indica la tendenza a notare i più piccoli particolari dell’ambiente esterno (odori, luci, suoni, cambiamenti) ma anche quelli interni – propri e altrui (vissuti, esperienze passate, sentimenti). Questa micro-percezione regala un vantaggio individuale e per la collettività, perché produce risposte intelligenti e adattative, ma allo stesso tempo è alla base della sovra stimolazione che rende affaticati, schivi o “eccessivamente reattivi“.

 

Non sei difettosa

 

Il vantaggio di sapere (finalmente!) di essere una PAS credo sia soprattutto questo.

 

Se per anni anche tu ti sei giudicata male perché ti senti “senza pelle” davanti a soprusi e ingiustizie 

 

se hai pensato mille volte di avere qualcosa che non va perché senti su di te tutta la sofferenza del mondo, da una formica schiacciata per sbaglio, alle guerre, ai terremoti

se ti sei sentita sbagliata e troppo sensibile perchè una discussione con qualcuno ti “resta addosso” per giorni

 

se hai pensato di avere qualcosa che non va perchè agli aperitivi o alle cene numerose ti sei senti come un pesce fuor d’acqua e non sai mai di cosa parlare….

 

se ti sei sempre sentita “strana/o” perché quando entri in un locale troppo affollato e rumoroso vorresti dartela a gambe levate

 

ora sai che non c’è nulla che non va in te.

 

 

Hai una sensibilità di percezioni particolare, come l’occhio azzurro o la pelle chiara nei confronti del sole.

 

Nessuno con gli occhi azzurri penserebbe mai di avere qualcosa che non va solo perché è più sensibile alla luce: lo sa e si porta dietro gli occhiali da sole.

 

Ecco. 

Ora anche tu sai di avere una sensibilità particolare a qualcosa.

Rende la vita un po’ più difficile? Sicuramente sì.

 

Ma ricordati che porta con sè anche dei grandi doni, a una condizione. 

Per capitalizzare la ricchezza di informazioni che, in ogni momento, sei in grado di percepire e raccogliere 

devi imparare a trattarti bene, avere cura della tua sensibilità per non andare in tilt

 

E ora ti spiego come.

 

 

Come gestire la tua alta sensibilità 

 

  •   Tratta bene il corpo: se sei stanca/o riposati, mangia sano e poco raffinato, evita gli zuccheri: il tuo sistema nervoso è già molto sensibile e ha bisogno di stabilità, non di essere iperstimolato.

 

  •  Evita gli eccitanti – per te sono delle vere e proprie bombe!

 

  •  Fai attività fisica regolare: la tendenza al rimugino e gli alti livelli di cortisolo nel sangue troveranno un maggior equilibrio. Se poi pratichi anche yoga e meditazione, ti sarai fatta un vero regalo.

 

  •  Dormi tanto: per recuperare l’iperattività del tuo sistema nervoso è davvero indispensabile e per scivolare nel sonno, se la tua mente è ancora molto attiva, crea una tua routine di rallentamento e relax e attieniti ad essa.

 

  •  Crea dei rituali adatti a te: a causa del tuo sentire multisfaccettato, sai che è facile per te “perderti”. I rituali (una sequenza di azioni benefiche che sceglierai con cura) ti aiutano a metterti nelle condizioni di funzionare bene.

 

  •   Crea un dialogo interiore amorevole: accorgiti che i tuoi pensieri si esprimono sotto forma di parole e crea dei mantra che siano in grado di interrompere il rimugino o l’iperattivazione.

 

  •    Be mindful: sii presente e cerca di fare una cosa alla volta, immergendoti il più possibile, con tutti i sensi e respirando, nell’attività che svolgi.

 

  •   Cerca di prenderti il giusto tempo per fare le cose: essere in ritardo è molto stressante per una Persona Altamente Sensibile (io questa lezione la devo ancora imparare 😅)

 

Il fatto di “avere un’etichetta” non è una scusa, ma comporta piuttosto una maggiore responsabilità

 

Queste linee guida, come vedi, sono dei consigli di buon senso per chiunque, PAS e non PAS. Ma per le persone ad alto funzionamento rappresentano dei passaggi indispensabili per mantenere l’equilibrio e per ritrovarlo quando, inevitabilmente, la complessità della vita ce lo farà perdere.

Sapere di avere certe caratteristiche non deve metterti nella posizione di pretendere dagli altri un trattamento di favore. Piuttosto, dovrebbe portarti a sviluppare:

  1. una maggior consapevolezza di cosa fa per te e cosa non lo fa,
  2. la scelta di essere auto-responsabile nel proteggerti dagli eccessi di stimoli cui la vita quotidiana inevitabilmente ci sottopone.

Resta in contatto con te stessa

Come sempre conoscere se stessi è la base sulla quale costruire una vita più felice e in linea con sé, che si tratti di relazioni, scelte professionali, la creazione di una nuova impresa o trovare un hobby in cui incanalare la nostra passione e i nostri talenti.

 

È per questo che continuo a studiare e a formarmi, per poter accompagnare con sempre maggior efficacia le persone che si rivolgono a me per un percorso di coaching, nel pieno rispetto delle loro caratteristiche e della propria unicità.

Per saperne di più sull’argomento PAS

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

L’Equilibrio vita – lavoro non esiste 

L’Equilibrio vita – lavoro non esiste 

La ricerca continua dell’equilibrio porta più stress che benefici.

Ti racconto gli esiti della mia ricerca sul work – life balance.

 

 

equilibrio vita lavoro

 

Da poco ho preparato un intervento per un evento formativo dedicato a imprenditrici e imprenditori incentrato sull’Equilibrio vita-lavoro. Ho fatto perciò delle profonde riflessioni sul tema del Work-life balance, ho letto diversi articoli e guardato svariati speech in cerca di ispirazione, chiedendomi che tipo di contributo volevo dare a questi professionisti, per aiutarli a creare una miglior qualità della vita e del lavoro. Quindi sono arrivata alla mia conclusione.

 

L’equilibrio vita-lavoro non esiste, e ora ti spiego perché

 

Che immagine abbiamo quando pensiamo a una vita in cui questo fatidico equilibrio è raggiunto? Forse immaginiamo una serie di giornate ideali, ben organizzate e con ritmi sostenibili, con le nostre 24 ore equamente suddivise in 8 ore di lavoro, 8 di famiglia e svago e 8 di sonno.

Nelle 8 ore dedicate ai nostri cari e allo svago immaginiamo una sorta di famiglia del mulino bianco, dove ci si sveglia cinguettando, si fa colazione insieme immersi tra sorrisi e sguardi amorevoli, si svolazza felici verso scuola o lavoro. Pilates nella pausa, caffè con le amiche (o birra con gli amici) e una serata idilliaca prima di chiudere gli occhi e dormire profondamente, per svegliarsi rinfrancati e carichi all’alba del nuovo giorno.

 

Chi ha una vita così?

 

Io non conosco nessuno. Ma soprattutto siamo sicure che la suddetta vita sarebbe garanzia di benessere e felicità?

 

Il confine tra vita privata e professionale

Un altro dei motivi per cui credo che inseguire questo “equilibrio” sia una missione impossibile è perché è sempre più difficile distinguere il lavoro dalla vita personale. Prendersi cura dei genitori anziani, occuparsi di un figlio adolescente, andare dal commercialista, accudire bambini piccoli, pagare l’IMU e fare la fila alla Posta, appartengono alla sfera della vita o a quella del lavoro?

E se penso allo smart working mi sembra che le cose siano ancora peggiorate. L’ho citato con il nome che è ormai diventato di uso comune, anche se faremmo meglio a chiamarlo remote working: è semplicemente lavorare da casa e di smart non ha nulla.
Rispondi a una call mentre metti su una lavatrice, controlli le mail mentre segui i figli con i compiti, passi da un’attività all’altra in un infruttuoso multitasking e in una totale commistione di ruoli.

 

E noi pretendiamo di trovare l’equilibrio in tutto questo. Nah.

 Aspirare a un miglior benessere nella nostra vita, però, è sacrosanto.

Ti do una buona notizia: questo è anche possibile. Ecco i miei 4 punti sul tema:

 

1) non ricercare l’equilibrio, ma l’appagamento

 “Stanchi, ma felici”, impegnati su più fronti ma con un senso di scopo: non è forse questo che vorremmo provare alla fine della giornata?

Se ci togliamo l’idea che tutto debba essere bilanciato e in equilibrio, secondo me ci siamo già tolti una bella fonte di stress. L’equilibrio dovrebbe essere il mezzo per un fine, e quel fine è proprio, secondo me, l’appagamento

E non sarà probabilmente un’ora di palestra in più a farci sentire appagati, ma piuttosto renderci conto, e prenderci cura, delle 4 dimensioni principali che caratterizzano il nostro essere umani: abbiamo un corpo, una mente, delle emozioni, e probabilmente un’anima (per quanto mi riguarda non ho dubbi in tal senso).

Per sentirci appagati dovremmo imparare a nutrire e prenderci cura del nostro benessere fisico, mentale, emozionale e spirituale. 

Di questo ho già parlato in altre sedi: me ne occupo in tutti i miei percorsi di coaching e non andrò in dettaglio qui.  Ma puoi semplicemente iniziare a porti questa domanda, e trovare le tue risposte:
cosa posso fare, o smettere di fare, per aumentare il mio benessere in ognuna di queste 4 aree?

A volte la risposta sarà semplicemente “togliere”, alleggerire, dire di no a qualcosa. A volte cambiare strada. Altre, fare piccoli cambiamenti, oppure grandi.

La tua strada verso un maggior appagamento può iniziare proprio ora.

 

2) non è una ricetta universale, ma personale; non è fissa, ma dinamica

Il tipo di appagamento di quando sei studente non è certo lo stesso di quando metti su famiglia, o di quando ti accorgi che il lavoro che stai facendo non ti coinvolge né ti soddisfa più come all’inizio.
È una cosa ovvia, eppure sembriamo dimenticarcene quando finiamo appunto “fuori equilibrio”. Vorremmo che le cose restassero così come le abbiamo impostate.

 

Invece è una domanda da ripetersi spesso, una sorta di tagliando da fare regolarmente. 

 

Spesso avremo la sensazione che “la coperta sia troppo corta”. Beh, ti dò una notizia: lo è! La nostra società corre veloce (verso dove non si sa, ma questo è un altro argomento 😉 ), le informazioni e la tecnologia viaggiano alla velocità della luce e solo per rimanere fermo/a dove sei, ti sarai accorto/a che devi remare sempre più veloce. Sì, a volte può essere estenuante.

Ma se sai che la coperta è troppo corta, ti regolerai di conseguenza: a volte lascerai fuori i piedi, e quando si saranno raffreddati un po’ troppo li coprirai, e lascerai fuori le spalle. 

Se partiamo ben sapendo che le nostre to-do-list saranno sempre troppo lunghe per essere azzerate, possiamo iniziare a trarre soddisfazione dal fatto che stiamo vivendo tenendo in considerazione i nostri valori e i nostri veri bisogni (e non mi riferisco solo a quelli primari). Non punteremo l’attenzione sull’aver “fatto tutto” ma sul fatto che ci sentiremo progredire.

 

Il mondo là fuori ci mette l’asticella sempre più alta, ma a volte non serve saltarla, se non è nel nostro miglior interesse: possiamo mettere su un po’ di musica e passarci sotto, come nel limbo.

In pratica: decidi tu a cosa dare il tuo tempo, la tua attenzione, le tue energie e il tuo investimento emotivo, in ogni momento. Come fare? vai al prossimo punto. 

 

3) la visione di te a 80 anni guida le tue azioni quotidiane

Da un po’ di tempo c’è una novità nella mia vita: ho un nipotino di 5 mesi (di cui sono follemente innamorata). È chiaro che il patchwork della mia vita mi ha richiesto una revisione, perché per me dedicare del tempo a mia figlia e al piccolino è assolutamente una priorità.

 

Sono una nonna relativamente giovane, ancora molto attiva e con una vita personale ricca di attività che amo portare avanti, perciò se voglio esserci nella loro vita, ho bisogno di riprogettare le cose, cambiare qualche abitudine, essere creativa, rompere qualche schema, reinventarmi.

 

Se immagino il mio 80esimo compleanno circondata dall’amore e dalla presenza delle persone che amo, ho da dedicare amore e presenza oggi, a mia volta.

Inoltre, se mi immagino autosufficiente, lucida e in forma, ho da far in modo che la mia settimana preveda momenti di movimento, allenamento, approvvigionamento di cibi quantomeno “decenti”  e qualche attività buona per la mente.

 

Quindi la mia visione guida le mie decisioni quotidiane.

In fondo essere disciplinati significa proprio applicare, nella nostra quotidianità e a piccole dosi, una visione più ampia che ci sta a cuore (e te lo dice la regina delle indisciplinate ribelli). È fattibile, e fonte certa e costante di micro dosi di appagamento.

 

E tu, hai mai pensato a come vorrai festeggiare il tuo 80esimo compleanno, e a come immagini di essere?

 

Certo, il nostro impegno in quella direzione non è garanzia di successo al 100%. Ma se lasci che sia il caso – o gli altri – a decidere, possiamo essere quasi certe/i che il risultato sarà ben distante.

 

 

 

4) fermati, fatti domande e ascolta le risposte che vengono da dentro 

Non puoi sentire le risposte se non ti fermi a farti domande e ad ascoltare ciò che emerge dal tuo interno. Uno dei mali dei nostri tempi è che tentiamo di risolvere tutto con la razionalità, con le informazioni, con gli esperti, i dati e le statistiche. Ma tutto questo ci parla del passato, raccoglie numeri ed esperienze di quel che è stato fino a questo momento. Invece affrontare il presente e il futuro necessita di “dati” che ancora non esistono: ecco perché serve affinare la propria capacità di ascoltare le sensazioni, i bisogni profondi, l’intuizione, i desideri del cuore.

 

Chiediti: 

“Sto vivendo la vita che voglio, o quella che ci si aspetta da me?” 

“Cosa voglio io davvero?”

A volte sarà importante farti aiutare, soprattutto nel farti domande buone e sempre nuove, ma le risposte saranno sempre e solo le tue.

Se crei lo spazio, il tempo e l’apertura, le risposte non tarderanno ad arrivare.


Ha senso cercare l’equilibrio?

Le nostre vite somigliano all’attività di un giocoliere, ed è impossibile pensare di poter tenere le palline per aria in perenne movimento. Ricercare l’appagamento, in modo personale e dinamico, significa sapere perfettamente che spesso una di quelle palline cadrà a terra, ma sapere anche quale lasciar cadere, perché non farà un grande danno, e quale tenere assolutamente in movimento, perché non possiamo permetterci di farla cadere.

Una volta sarà la tua relazione a chiedere un’extra dose della tua attenzione, una volta un’amicizia in crisi, un’altra volta il tuo corpo che ti avrà necessità di una maggior amorevolezza, oppure ci sarà una prospettiva di carriera che ti chiederà un supplemento di tempo ed energia.

 

Ma se conosci i tuoi valori, se hai una visione – anche se non dettagliata – della tua vita a lunga scadenza, se hai chiarezza su ciò che conta per te e quindi hai una direzione (nota che non ho parlato di obbiettivi!), se ciò che fai, pur essendo faticoso a volte, ti dà un senso di scopo, credo che alla fine delle tue giornate e delle tue settimane “non equilibrate” potrai sentire che ne è valso l’impegno. 

 

Insomma, sentirai quel senso di appagamento che tutti noi cerchiamo.

E questo, a parer mio, vale più della chimera dell’equilibrio.

Il segreto per far funzionare le relazioni

Il segreto per far funzionare le relazioni

Sono pronta a svelarti tutto ciò che avrei voluto sapere sulle relazioni. Spoiler alert: la comunicazione ha una parte da protagonista in questo.

Il segreto per far funzionare le relazioni

Le relazioni hanno un ruolo fondamentale nella nostra vita. Probabilmente sarai d’accordo con me e, magari, te ne sei accorta/o in questo periodo più che mai.

Relazioni d’amore, di affetto, di amicizia, di lavoro; quelle che scegliamo e quelle che ci capitano: sono in grado di nutrirci, completarci, farci crescere, sfidarci, sostenerci, darci un senso di appartenenza.

E naturalmente tutto questo non può prescindere dalla qualità della relazione che ognuno ha, per tutta la propria esistenza, con se stessa/o.

 

Ma qual è uno degli elementi più importanti per trarre il massimo dalle relazioni della nostra vita? 

 

L’altro giorno, mentre raccoglievo le idee per un webinar sull‘intelligenza comunicativa, riflettevo su quante relazioni della mia vita, in passato, si siano incrinate o semplicemente non siano state appaganti a causa di una non piena capacità – mia, dell’altro o di entrambi – di comunicare in modo sano, autentico, efficace.

Come esseri umani siamo comunicatori nati: fin dai primi momenti di vita sappiamo far capire molto bene a chi ci circonda cosa vogliamo e di cosa abbiamo bisogno, ben prima di imparare ad esprimerci a parole.

Eppure, ad un certo punto, una volta padroni del linguaggio, crediamo sia sufficiente parlare per farsi capire e capirsi, e per ottenere i risultati che ci aspettiamo nelle interazioni con gli altri. Se non addirittura pensiamo che l’altro dovrebbe capirci, dovrebbe sapere cosa fare e cosa evitare, dovrebbe sapere di cosa abbiamo bisogno, cosa ci aspettiamo e, soprattutto, dovrebbe intuirlo e darcelo!

È capitato anche a te, vero, di sbattere contro il fatto che non funziona così? Quanta frustrazione si prova in quei casi…

Ti invito a pensare per un attimo a quali difficoltà hai incontrato o incontri nelle tue relazioni con gli altri, e a quante di quelle difficoltà si possano ricondurre a una mancanza di “educazione” ad una comunicazione assertiva, autentica, efficace: insomma una comunicazione che lasci le persone arricchite, anche quando in disaccordo, e la relazione nutrita.

Apprendiamo a comunicare in modo inconscio, fin da piccoli, assorbendo gli schemi comunicativi a cui siamo esposti ( e se penso agli schemi comunicativi che si possono apprendere mediamente in  tv non so se mettermi a piangere o disdire ogni forma di abbonamento 😉

 

Torno indietro con la mente e ti parlo di me

 

Se penso alla mia famiglia d’origine,  la gentilezza e il rispetto reciproco si respiravano nell’aria, ma non c’era l’abitudine a parlare di come ci si sentiva, ad esprimere le proprie emozioni e tantomeno a manifestarle apertamente. E questo ha avuto delle conseguenze.

Da ragazza mi sono trovata a mentire per poter godere di alcune libertà che non mi erano concesse, mi sono trovata a marinare la scuola perché non avevo il coraggio di esprimere il mio malessere e le mie difficoltà, mi sono trovata quindi  a “deludere” qualcuno con i miei comportamenti.

E poi, soprattutto, nessuno di noi è stato capace di esprimere la propria paura, la rabbia, il dolore, la speranza, lo smarrimento quando mia mamma si è ammalata, quando si è aggravata, quando soffriva, quando non ce l’ha fatta.

Ma forse ancor più grave, non siamo riusciti ad esprimere apertamente l’amore, la gratitudine per averla avuta e per averla, in ogni momento in cui c’era ancora, e non abbiamo avuto la capacità di ricordare insieme tutti i momenti belli, le gioie, i momenti buffi – la vita che avevamo avuto e che ancora avevamo insieme.

Sono grata anche a questo, perché mi ha permesso di essere ciò che sono

Forse è proprio per questo che il tema delle relazioni umane mi sta così a cuore. Ed è sempre grazie a questo che credo indispensabile dedicare cura e attenzione a ogni interazione umana, specie a quelle più significative, insieme alla nostra volontà di allenarci a comunicare, che significa proprio “mettere in comune” il mio mondo con il tuo.

Comunicare quindi non significa solo “parlare”, tantomeno aspettarsi che gli altri leggano nel pensiero i nostri bisogni e le nostre richieste. È un atto molto più complesso e profondo, ma che possiamo imparare.

 

Un webinar con qualche spunto per migliorare la comunicazione nelle relazioni

 

Se il tema ti  vuoi puoi accedere al webinar che ho tenuto qualche giorno fa  insieme all’amico Claudio Valeri sul gruppo Accademia del Valore: è una chiacchierata leggera, senza la pretesa di risolvere i problemi del mondo 😉 ma potrai individuare alcuni tra i più diffusi errori nella comunicazione interpersonale e alcune chiavi per fare meglio – al lavoro e nella vita.

 

Sarei davvero curiosa di sapere cosa hai riconosciuto di te:

  • cosa inconsapevolmente fai che inficia la tua comunicazione con gli altri?
  • cosa invece fai già bene?
  • e cosa potresti fare, per favorirla ulteriormente? 

 

Eccoti il link al webinar gratuito (se vuoi saltare sigla e intro, vai al minuto 5.30).

 

Cosa possiamo imparare da questo anno difficile?

Cosa possiamo imparare da questo anno difficile?

Un anno, questo, che ci ha messo tutti alla prova, e non ha finto di sfidarci, nemmeno per le feste.

Stiamo per trascorrere un Natale sotto tono, che per molti sarà lontano dai propri cari, o sarà accompagnato dalla preoccupazione che incontrarsi e scambiarsi affetto e abbracci possa mettere a rischio la salute di chi amiamo.

Ho appena saputo che probabilmente non festeggerò con mio padre e la sua famiglia, perché in una riunione familiare non si sentirebbero del tutto sereni. Lo comprendo, ma il dispiacere comunque è grande, perché la Vigilia di Natale, da sempre, è stata insieme.

Ma questa è solo la ciliegina sulla torta, su una torta che ognuno di noi avrebbe fatto volentieri a meno di mangiare.

Nei mesi passati abbiamo infatti vissuto ogni tipo di emozione: disorientamento, paura, rabbia, ci siamo sentiti costretti e privati della nostra libertà, confusi dalle informazioni discordanti, sopraffatti dalle disposizioni e dai provvedimenti, impotenti davanti a chiusure e distanziamenti, indignati per i danni economici, addolorati per non poter dare un degno saluto a chi ci lasciava, preoccupati per i nostri anziani e per il futuro nostro e dei nostri figli.

Siamo stati messi alla prova, e lo siamo tuttora.

Ma… c’è un ma.

Quest’anno ha portato anche dei doni. Ben nascosti, ma ci sono stati 😉

Mi piacerebbe quindi che ci focalizzassimo insieme su quello che di buono questo anno ci ha lasciato, vorrei facessimo questo esercizio di stanare il bene anche dove, ad uno sguardo superficiale, sarebbe difficile vederlo.

Pronta? Pronto?

È STATO UN ANNO ESSENZIALE


Una delle cose di cui mi sono resa conto è che non abbiamo bisogno di molte cose, soprattutto in termini di capi d’abbigliamento, ma anche di oggetti in generale. Io ero già piuttosto “essenziale”, e sono stata bene anche con meno.

Certo, in questo periodo è più facile perché le occasioni sociali sono decisamente ridotte, ma potrebbe essere il “La” per continuare ad essere più attenti alla sostanza che alla forma, più padroni delle nostre scelte e meno proni ai bisogni indotti dai paragoni e dalla pubblicità.

UN ANNO DI COSE SEMPLICI


Ho imparato a dare un valore ancora più grande a cose semplici come una passeggiata all’aria aperta, una cena con una coppia di amici, una videochiamata mentre preparo la cena.

Nella mia vita non avrei mai pensato, infatti, che potesse mancarci una libertà così basilare come quella di uscire di casa, passeggiare, incontrarsi. Ogni volta che diamo qualcosa per “scontata” forse non la stiamo davvero apprezzando per quanto vale.

UN ANNO DI DOMANDE


Ho osservato che molte delle cose che facevamo “prima” non erano così importanti ai fini del nostro benessere (anche se non vedo l’ora di poter fare un viaggio in qualche luogo dove la Natura è selvaggia).

Questo periodo ci ha permesso forse di farci quelle domande importanti, quelle che non si ha mai tempo per porsi e che possono portarci a fare scelte diverse rispetto alle abitudini e ai comportamenti che chissà quando avevamo adottato: un’ottima opportunità per ridefinire chi siamo, cosa ci fa stare bene, cosa vogliamo, e cosa non vogliamo più.

UN ANNO DI ALLEANZE


Ho avuto più occasioni di “alleanze” con amiche e colleghe, più desiderio di unione e di creare cose insieme.

Forse perché i momenti difficili accomunano. Ma in realtà credo che questo “fare meno”, questo essere meno affaccendate, ci ha dato più modo di ascoltare la nostra voce interiore, i nostri desideri e le nostre intuizioni.

UN ANNO DI SEMPLICI ATTIMI


Ho imparato ad apprezzare un caffè bevuto per strada in un bicchierino di carta. Una cena semplice fatta in casa con le amiche.Ho dato maggior presenza e attenzione a ogni momento passato con le persone a me care.

Forse eravamo un po’ “viziati” (io un po’ lo sono. Sicuramente per quanto riguarda il caffè 😉 ).Ma questo periodo di privazioni, forse il primo della vita per molti di noi, ci ha offerto la possibilità di spostare il focus, di diventare delle campionesse e dei campioni dell’apprezzamento, di vivere il momento presente senza correre avanti in quel che verrà dopo e senza fare paragoni con il passato, e senza confrontare con un ideale che, per lo meno ora, non era attuabile.

UN ANNO DI CONSAPEVOLEZZA


Ho visto e compreso ad un livello più profondo quanto sia importante sospendere il giudizio verso chi ha paure o idee diverse dalle proprie, e quanto sia cruciale esprimere il proprio pensiero senza creare ulteriore divisione. 

Questo non è sempre facile lo ammetto, sebbene la direzione sia chiara. Ma quello che abbiamo visto – e che qui non voglio ripetere- è stata la creazione di due fazioni, il reciproco screditamento della parte opposta a colpi di epiteti ed etichette arbitrarie, la mancanza totale di ascolto di ciò che l’altro sostiene, delle sue parole, ma soprattutto delle sue preoccupazioni, delle sue paure. Opporsi rinforza questo meccanismo, e io ho compreso che non voglio partecipare, non voglio seminare dualità e discordia, neanche ad un livello energetico, perché questa divisione non ci fa gioco, fa solo gioco a un sistema che ha le sue ragioni di esistere, ma che non sono le nostre. Come ci ricorda l’antica saggezza dei nativi americani: “Nessun albero ha rami così stupidi da litigare tra loro.”

UN ANNO DI RITOCCHI MAGICI


Ho imparato ad aggiungere un doppio pizzico di magia al quotidiano, quando rischiava di diventare troppo prevedibile. 

Non ho mai amato la parola “accontentarsi”, perché mi rimanda l’idea di rinuncia, di rassegnarsi a situazioni e cose che non ci appagano o non fanno per noi, quasi non avessimo diritto a desiderare altro. Amo però l’idea di “farci contenti” come apprezzamento e “impreziosimento” di ciò che c’è, di quello che abbiamo, di quello che è possibile. Sì quindi alla creatività che ci sospinge nel dar vita a nuove modalità e situazioni, nonostante i limiti del momento.

E quindi?

Sappiamo tutti quante cose ci sono mancate e ancora ci mancano, e siamo tutti concordi nell’auspicarci di riacquisire la nostra spensieratezza e soprattutto una maggiore libertà. 

Ma da ogni situazione possiamo uscire più forti e capaci se riusciamo a focalizzarci sul “pieno”, prima che sul “vuoto”.

Accorgersi, essere consapevoli, apprezzare, sono passaggi importanti a questo scopo.

Ti invito a fare lo stesso, prima a livello generale, e poi a livello personale.

Registrare i tuoi successi personali, le soddisfazioni, l’impegno, è un passaggio cruciale per chiudere bene l’anno in corso ed affacciarsi con lucidità, fiducia ed un pizzico di magia all’anno nuovo. È questo infatti il primo passo di ogni processo di pianificazione, o meglio creazione, dell’anno che verrà.

Perciò prenditi il tempo per apprezzare, per diventare consapevole di ciò che è nascosto, per “registrare” a livello profondo i tuoi successi (non necessariamente in termini di esito, ma anche in termini di impegno, attenzione, cura che hai messo in ciò che hai fatto).

Non ci è mai dato di sapere come saranno le cose là fuori.

Ma in ogni momento abbiamo l’estrema libertà di scegliere come vogliamo sentirci, e di rispondere agli eventi come veri “capitani della nostra nave”.

E con questa scorta di beni nella stiva, sapremo certamente navigare bene anche se ci sarà qualche tempesta.

Sei riuscita a fare la tua lista delle cose positive dell’anno? 

Raccontami quello che hai scoperto nei commenti qui sotto, oppure mandami un messaggio su Instagram se non sei riuscita a trovare “niente”, sarei felice di aiutarti!

Un abbraccio,
Gina

Mettiti al centro: prendi il tuo tempo

Mettiti al centro: prendi il tuo tempo

Il tempo per noi stesse è importante, anche per gli altri.

Oggi vorrei parlarti di uno dei temi che sento ricorrere maggiormente tra le mie clienti, tra le mie amiche e colleghe, tra le amiche professioniste della Rete al Femminile, tra la maggior parte delle donne che lavorano, che hanno famiglia e spesso dei figli e sono donne che vogliono crescere dal punto di vista sia personale che professionale: è la stanchezza e la mancanza di tempo per sé – che sono, a mio avviso, strettamente collegate.

Prendersi del tempo è sempre stato difficile, per le donne

E ora con smart working che proprio smart non è, didattica a distanza, attività sportive soppresse e neanche un ristorante o un teatro dove passare una serata rigenerante, il problema si è acuito in modo esponenziale.

Ma se la difficoltà è oggettiva, c’è sempre qualcosa che possiamo fare a livello soggettivo per ridare priorità a qualcosa che consideriamo un “lusso”: un po’ di tempo per noi.

E l’inizio è sempre un cambiamento nel nostro modo di vedere le cose.

Se prenderci del tempo per noi non fosse un lusso, ma una priorità?

Se invece il lusso che non possiamo permetterci fosse quello di trascurare il nostro bisogno di staccare, rigenerarci, divertirci? 

Una delle cose che mi ha sempre tenuta in piedi anche nei momenti più sfidanti della mia vita è stata una sorta di sano “egoismo” che mi ha sempre permesso di non perdere di vista ciò che per me è vitale (nel senso che aggiunge vita alle mie giornate): trovare il tempo per fare ciò che amo.

Noi donne cresciamo con l’idea che il nostro ruolo è di esserci per gli altri, prima.

Da bambine vediamo le mamme fare i salti mortali, sacrificarsi, gestire con successo mille ruoli contemporaneamente e introiettiamo quei modelli. 

Perciò non è stato facile nemmeno per me vincere quell’idea strisciante che ti fa credere che gli altri ti giudicheranno se dici di no, o che il mondo crollerà se non sei sempre a disposizione di chi ha bisogno di te. 

Ma forse proprio per la mia storia (che ti rimando qui)  ho iniziato a credere che pensare a me stessa “prima” (non soltanto, ma prima) fosse indispensabile non solo alla mia felicità, ma alla mia sopravvivenza.

Capita a tutte di vivere con quel senso di colpa

Proprio oggi, in una sessione individuale con una meravigliosa nuova cliente, il tema è emerso di nuovo. Raccontava di una pressione esagerata da parte dell’azienda per cui lavora, della totale mancanza di tempo per sè e del dispiacere (se non addirittura senso di colpa) per aver ritardato un giorno nell’andare a prendere la figlia, che così aveva cenato dallo zio anziché con lei. 

Il suo racconto mi ha richiamato alla memoria un episodio di quando ero bambina, che l’ha aiutata a cambiare la percezione riguardo a quell’evento. 

Ti racconto quello che era successo a me

Ero in prima media e praticavo atletica leggera, e nei 60 metri piani ero quasi imbattibile.

Quel giorno eravamo andati con tutta la scuola al campo sportivo per le gare comunali. Ma  pochi minuti prima della gara, che sapevo di poter vincere, succede qualcosa: in segreteria si rendono conto che io ero un anno più giovane rispetto alle mie compagne di classe e delle classi parallele, pertanto mi sento convocare lì con la mia insegnante e mi dicono che purtroppo, a causa del regolamento, non avrei potuto partecipare se non con “le più piccole”. 

Fui presa dalla delusione, dalla vergogna di dover correre con quelle delle elementari, dal disagio di gareggiare con delle sconosciute: così scoppiai a piangere e mi rifiutai di gareggiare. Ammetto di essere stata un po’ drammatica 😉 ma ai miei 10 anni evidentemente non sapevo fare di meglio.

Così la scuola avvertì mia mamma affinché mi venisse a prendere, ma lei stava lavorando e non poteva muoversi.

Oggi, come mamma a mia volta, immagino che si sia sentita in conflitto tra ciò che doveva fare e il desiderio di venir a consolarmi, in colpa forse, per non potersi assentare. Allora di certo non ci pensavo.

Fatto sta che mi venne a prendere mia zia, sua sorella più giovane, con il suo fidanzato ed un cucciolo di pastore tedesco di nome Lord, e mi portarono a fare una passeggiata sul Carso.

Fu una giornata speciale, e io ancora oggi la ricordo come una cosa stra-ordinaria (in quanto non era abituale), una piccola avventura che fu in grado di farmi dimenticare la delusione e riportarmi al mio naturale stato di gioia.

Ho fatto tesoro di quell’esperienza

Questo racconto ha permesso a Claudia di capire che quello che lei viveva come un “togliere qualcosa” a se stessa e alla bambina, poteva in realtà essere un grande dono alla figlia, un’esperienza che da grande magari avrebbe ricordato con piacere ed affetto, proprio perché insolita, diversa, inaspettata.

Quando ci sacrifichiamo per i figli, trasmettiamo loro il messaggio: sei importante, ti amo.

Ma quando sappiamo prenderci cura di noi trasmettiamo loro un messaggio altrettanto fondamentale: Io sono importante per me, io mi amo.

E questo autorizza loro a considerarsi importanti per se stessi, ad amare se stessi prima di tutto.

E non succede solo con i figli, ma con tutte le persone che amiamo.

Così facendo è come se autorizzassimo anche gli altri a fare lo stesso, li incoraggiassimo a riconoscere i propri bisogni e prendersene cura. È un po’ come in quel vecchio detto: 

Se vuoi sfamare una persona non dargli del pesce: insegnale a pescare.

E ne parlava anche un certo uomo saggio vissuto circa duemila anni fa: ama il prossimo tuo come te stesso. 

Se questo amore per noi stesse scarseggia, come potremo davvero amare qualcun altro di più?

Conosco donne “impeccabili” che si sacrificano per fare sempre ciò che ci si aspetta da loro, ma che poi si lamentano, criticano, giudicano e sono quasi sempre scontente e rancorose.

Si sono semplicemente dimenticate di amare e dare ascolto alla persona con cui devono trascorrere ogni istante della propria vita: se stesse.

Si può fare. Anzi, è uno dei rarissimi casi in cui utilizzo questo verbo: si “deve” fare 😉 

Lo devi a te stessa, prima di tutto.

Quando  impari ad amarti ti tratti come tratti le persone che ami: fai quello che puoi per renderle felici. E allo stesso modo per cui per te è una gioia esserci per gli altri, è importante esserci per te.

Perciò, trova il tempo per dedicarti a ciò che ami.

Quanto a me, ora, nonostante le molte cose che avrei da fare, e nonostante fuori ci sia un’umidità londinese, chiudo il computer, mi alzo dalla mia postazione e vado a fare una passeggiata lungomare.

Al mio ritorno sarò una persona un po’ migliore, e non sarò l’unica a beneficiarne.

Lasciami un commento: fammi sapere di te!

Gina