31 Ago 2020 | Crescita personale
Come ogni scuola che si rispetti, anche le pratiche della felicità riapre le sue porte – virtuali – a settembre. A partire dal 22 settembre parte una nuova classe online fatta di persone che vogliono allenarsi ad essere felici.
Ma facciamo un piccolo passo indietro. Perché ti parlo di pratiche della felicità?
Dopo diversi decenni dedicati alla crescita personale, dapprima come “studente”, e poi come coach, mi sono resa conto che tutto ciò che cerchiamo di ottenere attraverso le nostre scelte, è in realtà un punto di partenza, e questo è proprio la felicità.
Ovvero, facciamo ciò che facciamo perché pensiamo che ci renderà felici: ma come sarebbe se lo fossimo già in partenza?
Non ti parlo di sorrisi a 36 denti
Nè di saltellare sul posto o ostentare un finto entusiasmo quando in realtà provi tristezza, preoccupazione o rabbia.
La felicità è uno stato di “alta efficienza” che puoi allenare e che puoi provare a prescindere dalle circostanze in cui ti trovi. Questo non solo ti consente di affrontare in modo più efficace e fluido tutte le situazioni che la vita ti mette davanti, ma ti ti rende soprattutto più capace di creare le circostanze, relazioni, risultati che desideri.
Ma come è possibile?
Forse non lo sai, ma il nostro cervello è progettato per porre maggior attenzione a ciò che è anomalo, a ciò che va male, a ciò che è potenzialmente pericoloso e lo fa per ovvie (ed antiche) ragioni legate alla nostra sopravvivenza. Perciò se non scegliamo di indirizzarlo diversamente, tenderà a farci notare, pensare e immaginare soprattutto le cose che temiamo o a cui ci opponiamo – creando in noi le emozioni corrispondenti a quei pensieri.
La situazione cambia con un po’ di allenamento
Per questo è fondamentale allenarsi a sviluppare quel solido stato di benessere che ti permette di produrre pensieri, emozioni e comportamenti più funzionali , che riduce lo stress e le sue conseguenze, che ti restituisce la creatività, l’empatia, il Problem soling e la capacità di immaginare e creare che è propria degli esseri umani quando “funzionano” al loro meglio.
Insomma, basta guardare un bambino per renderci conto che quel benessere è nostro per diritto di nascita, e che chi è felice è instancabile, è capace di attenzione focalizzata, è determinato, è naturalmente capace di intessere relazioni sane, è in grado di apprezzare di più e…sì, è anche più bello!
Ma come posso essere felice, a partire da oggi?
Puoi saltare a bordo del mio prossimo corso online Le pratiche della felicità, un percorso in diretta e di gruppo. A partire dal 22 settembre 2020 partirà la nuova edizione e un nuovo gruppo di persone (solitamente donne, ma chissà 😉 motivate si cimenteranno ad allenarsi per rendere forte e stabile il loro substrato di felicità. Se vogliamo fare un parallelo con il corpo e l’esercizio fisico, è come allenare il “core” – che non è il cuore in romanesco 😉 ma è la parte centrale del nostro corpo, la muscolatura profonda, che ci rende stabili e che è fondamentale allenare per affrontare al meglio qualsiasi performance fisica.
Il corso è della durata di 4 mesi e prevede:
- 1 colloquio individuale direttamente con me, per identificare quali sono gli aspetti su cui vuoi lavorare (compila il questionario).
- un percorso di 4 mesi in gruppo (partenza 22 settembre 2020)
- 2 incontri live al mese via zoom – ogni live verrà registrata e resterà disponibile fino alla fine del percorso
- un gruppo Facebook riservato agli iscritti per domande, sfide e condivisioni
- una meditazione guidata da poter riascoltare quando vuoi
- tutti i file degli strumenti e delle tecniche che imparerai
Che aspetti? Sali a bordo e allenati insieme a me per rinforzare il “core” della tua felicità.
Prenota qui la tua iscrizione al corso Le pratiche della felicità
Ti abbraccio,
Gina
29 Lug 2020 | Crescita personale
Stai vivendo pienamente? Stai godendo di tutte le opportunità che la vita ti offre, proprio ora, qui?
Ti propongo un piccolo gioco.
Prendi un pezzo di carta e una penna. Disegna un cerchio.
Ora colora la parte di cerchio che, a sensazione, rappresenta la “pienezza” delle tue giornate. Non in termini di impegni, ma in termini della tua soddisfazione per quanto intensamente e pienamente vivi, di quante opportunità cogli o crei, di quanta varietà ci sia.
Se lo colorassi tutto significherebbe che la tua soddisfazione è pari al 100%.
E se è così, puoi anche smettere di leggere il mio articolo 😉
Ma se non è così, colora uno spicchio pari a quella che potrebbe essere la tua soddisfazione, per come vivi le tue giornate.
È più del 50%? Oppure meno? Quanto circa? (non prenderla troppo sul serio, non è un esercizio di geometria, è solo un’indicazione visiva della situazione attuale, che però può darti preziose consapevolezze)
Stai vivendo pienamente? Stai godendo di tutte le opportunità che la vita ti offre, proprio ora, qui?
Questa è una delle mie domande guida, una di quelle domande che mi faccio regolarmente e che mi permette di ricalcolare la rotta quando mi scopro a prendere una direzione che non mi piace o non mi soddisfa del tutto. E molto spesso la risposta è NO, non abbastanza.
Ma come, dirai, proprio tu? Eppure sì, mi succede.
Proprio ieri parlavo con un paio di amiche della Rete al Femminile. Siamo andate a fare il bagno al tramonto per la prima volta da quando ci conosciamo. Raccontavo loro di come, nonostante io abbia raggiunto molte delle condizioni che desideravo, mi trovo spesso a non goderle appieno, a vivere “ristretta” rispetto a ciò che potrei fare e alla libertà di cui dispongo.
Ti riconosci anche tu?
Aspetta a dire di no 😉 ora mi spiego meglio.
Vivo a pochi passi dal mare eppure, da quando abito in questa casa, non avevo ancora mai fatto il bagno al tramonto prima di ieri. E raramente scendo a fare un tuffo durante il giorno, sebbene io lavori principalmente da casa.
Ho voluto a tutti i costi una bicicletta perché immaginavo che avrei scorrazzato su e giù per il lungomare tutti i giorni e in tutte le stagioni, e invece finora l’ho fatto molto meno spesso di quanto avrei potuto.
Nei giorni in cui scrivo, o progetto un corso, potrei spostarmi con lo scooter, trovarmi un bel posticino all’aria aperta, andare ogni giorno in un caffè o in un bar diverso e lavorare da lì, eppure ho smesso di farlo da un bel po’. Certo, perché sto bene dove sto.
Eppure sento che così facendo, perdo qualcosa.
Il punto è che a me tutte quelle cose piacciono molto, e soddisfano il mio bisogno di varietà (come ti raccontavo in questo post su Instagram) eppure mi trovo spesso a vivere in un’area più ristretta di come vorrei. Devo riconoscere che in parte questo è ancora lo strascico del lockdown, che ci ha ammaestrati a spostarci solo il necessario, a uscire di meno, a premeditare tutto (pensa a dove devi andare, stampa la certificazione, compilala, prendi la mascherina, non fare de-tour perché non sono concessi, non improvvisare, ecc).
Quindi in parte questa “ristrettezza” è ancora un sottoprodotto del periodo che abbiamo passato (quantomeno lo è per me).
Ma non è tutto qui.
Siamo esseri abitudinari, nel bene e nel male, e da tutto ciò che è consuetudine traiamo benefici in termini di sicurezza, efficienza e “risparmio energetico”. Però perdiamo in spontaneità, perdiamo il contatto con il sentire che vorrebbe guidarci ma che non ascoltiamo mai abbastanza.
Com’è che finiamo a escludere tutta una serie di possibilità, a tagliare via un sacco di strade, e ci restringiamo a fare un po’ sempre le stesse cose?
Magari la nostra vita è ricca e varia, non intendo dire che facciamo “poche” cose, ma piuttosto che non usciamo spesso dai nostri sentieri, per quanto ampi e avventurosi possano essere.
Da quanto tempo non fai una cosa che amavi fare, solo perché l’area all’interno della quale normalmente ti muovi non la comprende?
In quel fare qualcosa di nuovo che ci attira, in quel rifare qualcosa che ci siamo dimenticate esistere, nel tracciare nuove e più ampie strade fuori di noi, mettiamo in campo una parte più ampia di noi, ridiamo vita a delle parti che abbiamo trattenuto, incatenato, soppresso o addomesticato.
Restringere il campo delle nostre esperienze ha un prezzo: non solo ci perdiamo la bellezza di quella specifica azione, ma atrofizziamo risorse, attitudini e inclinazioni. “Use it or lose it”- ciò che non usi, lo perdi.
Allora, cosa potresti riprometterti per questo agosto, per espandere un po’ le tue abitudini e possibilità, e riappropriarti così di alcune parti di te che avevi messo in stand-by?
Ti lancio una sfida, facile facile, ma che comunque richiede la tua determinazione e il tuo impegno e, prima ancora, la tua adesione.
Per questo agosto, fai almeno #unacosanuova al giorno.
Può essere cimentarti in uno sport che non hai mai fatto, fare una strada nuova per andare in uno dei tuoi posti abituali, noleggiare un tandem o un monopattino, contattare una persona che vorresti conoscere, assaggiare un cibo che non hai mai provato, iniziare la tua giornata ballando.
Magari si tratta di qualcosa che è del tutto nuova nella tua vita, o qualcosa che avevi smesso di fare, o puoi semplicemente scombinare alcuni dei tuoi orari, lasciandoti guidare dal tuo sentire, dal tuo desiderare.
Scatta una foto e condividila su Instagram con l’hashtag #unacosanuova e taggami @gina.abate.coaching: sarò felice di ricondividere le tue piccole e grandi imprese nelle mie stories, così da ispirare altre persone a vivere più pienamente e intensamente le infinite possibilità che ogni giorno si snodano davanti a noi, anche se non abbiamo occhi per vederle.
Io ho iniziato così:
Nell’ultima settimana, mentre ero in vacanza sulla mia isoletta del cuore, ho già fatto un po’ di cose nuove, come:
- Noleggiare un kajak biposto con un’amica e portarci anche Wendy!
- Attraversare un boschetto di notte sotto un forte temporale, e prendere la pioggia perché c’era troppo vento per tenere aperto l’ombrello.
- Andare in spiaggia in orari insoliti: al mattino presto, oppure alle 18.00 per stare fino a tardi.
E una volta tornata a casa mi sono accorta che, solo ponendoci un po’ di attenzione e avendo “messo in moto il volano”, ho iniziato a espandere le mie possibilità, come se il cervello avesse fame di cose nuove e diverse.
Nei prossimi giorni sicuramente vorrò provare il SUP, vorrò imparare il ballo dell’estate, Jerusalema. e vorrò scompaginare i miei orari in modi nuovi (beh, in questo sono piuttosto brava 😉 ma mi alzerò l’asticella! )
E tu, cosa vuoi iniziare a fare di nuovo o di diverso?
Ricordati che non è un “fare per fare”: ogni cosa nuova apre le porte a nuove possibilità, attiva una nuova Te. E quella nuova te, chissà di cosa è capace.
Aspetto le tue condivisioni, perché #unacosanuova al giorno può aiutarci a essere più felici e più vivi.
14 Lug 2020 | Crescita personale
L’idea di felicità che abbiamo si trasforma e si modifica nel corso della nostra vita. Ti racconto la mia esperienza in questo nuovo articolo!
Un’infanzia gioiosa
Da bambini non ci poniamo domande sulla felicità: viviamo intensamente quello che c’è, buono o meno buono, come se fosse l’unica cosa possibile.
Siamo mossi da qualcosa e lo facciamo: esploriamo, andiamo in bicicletta, giochiamo con gli animali, ci muoviamo intensamente, ascoltiamo storie, inventiamo storie…
O almeno questo era vero per i bambini della mia generazione, che andavano a scuola fino alle 12.30 e poi avevano un sacco di tempo libero. Scorrazzavamo liberi, inventavamo giochi, passeggiavamo a casa degli amici da soli, ci annoiavamo, andavamo in bicicletta senza caschetto e senza alcuna paura. Andavamo a letto dopo Carosello, tanto alla sera in tv non c’era niente di adatto a noi.
Eravamo fortunati perché non eravamo l’agenda piena come i bambini di oggi (almeno fino a prima del Covid-19). Si sa, dal vuoto nascono tante cose.
Da bambini la felicità è l’essenza di ciò che siamo, e ogni bambino avrebbe diritto a crescere in un ambiente dove questa felicità venga tutelata e garantita.
Il diritto alla felicità
Molte persone crescono ma continuano a pensare che questo diritto corrisponda al dovere di qualcun altro che, se non soddisfa i nostri bisogni e richieste, diventa “brutto e cattivo”.
Invece questo diritto passa direttamente nelle nostre mani, e abbiamo la responsabilità di occuparcene in prima persona: ho diritto ad essere felice e ho il dovere di occuparmene io stessa/o.
Come è cambiata la mia idea
Se cerco di ricostruire come sia avvenuto il passaggio da una felicità praticamente permanente come quella dei primi anni di vita, a una condizione più intermittente, a una condizione dettata da una o l’altra circostanza, prima di diventare di nuovo una condizione più stabile, mi sembra di rinvenirne le tracce negli anni delle elementari.
Negli anni dell’infanzia mi sentivo amata e apprezzata per quella che ero e semplicemente vivevo esprimendo le mie caratteristiche. Ciò è cambiato con l’inizio della scuola: qui ho i primi ricordi di paragoni e confronti con gli altri bambini e con diverse situazioni.
I paragoni non aiutano
Era il tempo delle prime le interazioni sociali non mediate dalla famiglia e ricordo di aver avuto pensieri come “la nostra casa è meno bella di quella di Paola”, “sono più magra di y” (e generalmente, a detta di tutti, ero sempre troppo magra!). “A salto in alto sono più brava di tutte le femmine della mia classe”; “Alessandra è più brava di me in aritmetica”. “Mio papà fa il lavoro più importante di tutti”; “Mia mamma è più elegante delle altre mamme”; “mia sorella è più brava di me a ginnastica”. Ognuna di queste valutazioni aveva il potere di farmi sentire più o meno bene, più o meno adeguata alle situazioni – e a questo si sommavano le valutazioni che fioccavano dall’esterno.
Soddisfare la condizione diventa vitale
Da lì è nata probabilmente l’idea che se avessi soddisfatto una certa condizione, sarei stata più felice. Alcune di quelle condizioni, non erano affatto modificabili, su altre ci si poteva lavorare, e altre ancora potevano realizzarsi con una certa facilità (come quella di ricevere una seconda Barbie per Natale).
Più o meno in quel periodo molte delle scelte iniziano ad essere condizionate da quello che pensiamo di ottenere “alla fine”, come risultato. Dimenticando, però, che gran parte della felicità deriva dal processo, dall’impegno che mettiamo, dall’utilizzo progressivo delle nostre capacità e del nostro potenziale che si libera.
La sfida con me stessa
Ricordo per esempio il giorno che con la scuola eravamo al campo sportivo per una gara di atletica, e io gareggiavo per i 60 metri piani, dove ero veramente capace.
Avevo scoperto chi fossero le mie avversarie, e pur sapendo che la gara sarebbe stata impegnativa, sapevo anche che avevo buone probabilità di vincere, dato che negli allenamenti le avevo già battute tutte.
Ad un certo punto però mi comunicarono che avrei dovuto gareggiare con le più piccole (ovvero, si erano accorti che IO ero un anno più piccola, avendo saltato la prima elementare, e quindi avrei dovuto gareggiare con quelle della mia età). Sapevo che quel gruppo era ancora più facile da battere, avevo praticamente la vittoria in mano… ma scoppiai in lacrime e non volli più partecipare alla gara. Certo, una scelta un po’ drastica e molto emotiva, ma ciò che volevo, evidentemente, non era vincere, bensì guadagnarmi la vittoria mettendo tutta me stessa.
Il vero problema con la felicità è quando iniziamo a credere che sia quello stato che possiamo ottenere unicamente quando raggiungiamo gli obbiettivi e appaghiamo – o gli altri appagano – i nostri desideri (o capricci). Finiamo così imprigionati in una spirale di insoddisfazione in cui la nostra natura felice si allontana sempre più da noi…
Ma c’è un’alternativa.
Felicità come scelta personale
Quando vivi la felicità come scelta personale e responsabile, ecco che ti impegni con te stessa/o a riconoscere una direzione buona per te e ad avere delle pratiche che ti permettano di far riaffiorare quella tua natura, incrementandola e rafforzandola ogni giorno, a prescindere dalle circostanze.
Nessuno di noi una volta che si è fatto la doccia dice “ora sono pulito” e smette di lavarsi. Non c’è chi, dopo aver rassettato la casa pensa “Bene, ora è a posto e non devo più occuparmene”. Neanche uno penserebbe che dopo aver innaffiato abbondantemente una pianta, non serva farlo mai più.
Eppure per quanto riguarda il nostro benessere e la nostra felicità, poche persone comprendono che è una piccola ma costante manutenzione da fare, e sono disposti a farla.
Ecco perché io vedo la Felicità come scelta dapprima, e poi come stile di vita.
Uno stile di vita che preveda uno spazio per l’ascolto di sè, per l’auto -conoscenza, per il vuoto – in cui non fare ma solo essere presenti. Che preveda l’abitudine di respirare, muovere il proprio corpo, contattare le proprie passioni e nutrire le relazioni.
C’è un proverbio che dice:
Per essere felice hai bisogno di qualcuno da amare, qualcosa da fare e un luogo dove andare.
Questo, se ci pensi, è sempre possibile.
Perché se anche ci fossero dei momenti in cui ti sembra di non avere nessuno da amare, quella persona puoi scegliere di essere tu.
Qualcosa da fare non è essere affaccendati in mille attività che hanno lo scopo di tenerti impegnata e farti sentire di avere una certa importanza, ma significa piuttosto sentire di stare dedicando il tuo tempo – o almeno una parte di esso – a qualcosa che abbia un senso, a crescere, imparare qualcosa, creare e condividere.
Un luogo dove andare significa una direzione, avere dei desideri verso i quali tendere, perché attraverso la dedizione a quei desideri e progetti (ammesso che siano veramente “tuoi”) si libera e si esprime il tuo potenziale. Nei momenti in cui non sai dove andare, puoi andare dentro di te, dove quello stato che cerchi, c’è già.
Concludendo, sulla felicità
Come diceva Aristotele, una vita felice la si può giudicare solo nel suo insieme, ed è una vita che è stata protesa verso l’espressione del proprio pieno potenziale.
Se sei in un momento in cui ti piacerebbe fare il punto della situazione, se vuoi utilizzare questi mesi per ripartire con chiarezza e slancio a settembre, contattami per valutare insieme il percorso breve di Coaching più adatto a te.
19 Mag 2020 | Crescita personale
Per fortificarti e non farti manipolare dagli stimoli negativi serve allenare la corteccia prefrontale sinistra nel tuo cervello.
Pensa a una tua giornata tipo. Togliendo le ore in cui dormi, se hai la fortuna di dormire bene, quanto tempo trascorri sentendoti veramente veramente bene e con un senso di pienezza?
E quanto invece le tue emozioni e sensazioni virano più verso la tensione, il fastidio, la preoccupazione, la paura, l’esasperazione, la frustrazione; o ancora ti senti arrabbiata, indignata, sconsolata o con un senso di mancanza?
Se sei come la maggior parte delle persone con cui mi interfaccio per lavoro, ma anche nella vita, risponderai che normalmente per più della metà del tempo (per qualcuno molto di più) vivi le emozioni della seconda categoria, piuttosto che quelle del benessere.
Ti ci ritrovi? Forse tu no, ma sono sicura che in un attimo puoi pensare a un sacco di persone che conosci e che rientrano perfettamente in quella descrizione.
Come mai?
Se ci pensi viviamo in un periodo storico dove le persone dispongono di comodità che una volta sarebbero sembrate un lusso inimmaginabile: tutti hanno cibo in abbondanza, una casa in cui vivere, uno smartphone, il wifi, acqua calda e luce in casa, un mezzo di trasporto e la copertura sanitaria- eppure questo non ci rende più felici di quanto lo fossero generazioni che ci hanno preceduto e che mediamente avevano molto meno.
Come mai?
Tutta colpa del tuo cervello 😉
Seguimi, perché stai per scoprire una delle ragioni per cui è più facile sentirsi tristi, infastiditi o preoccupati, che felici – e come porvi rimedio.
Il nostro cervello è la creazione più sofisticata dell’universo, e si è evoluto in milioni di anni.
Noi viviamo in un ambiente che negli ultimi 100 anni si è trasformato a una velocità e in modi e mai visti prima, ma il nostro cervello non si modifica così velocemente. Questo fa sì che alcune sue funzioni, così adatte quando i pericoli per la nostra sopravvivenza erano reali e continui, non giocano a nostro favore nell’ambiente attuale.
L’area del nostro cervello più recente, quella che ci distingue dagli animali (o almeno dovrebbe) è la corteccia prefrontale. Lì sono state individuate due diverse aree che si attivano in presenza di attività per così dire “opposte”, e che sostengono rispettivamente quel tipo di attività.
E’ stato infatti scoperto, che quando ci preoccupiamo, sperimentiamo tensione, siamo arrabbiati, o ci arrivano informazioni “negative” come quelle dei media, si attiva la corteccia prefrontale destra.
La sua dirimpettaia, corteccia prefrontale sinistra, detta anche “l’area dell’Illuminazione” in quanto particolarmente attiva e sviluppata nei monaci tibetani, molto dediti alla meditazione, è invece l’area dove troviamo attività quando stiamo davvero bene e la nostra mente è calma.
Secondo te quali delle due parti sarà più attiva nel tuo cervello iper sollecitato?
Esatto: l’area destra è più sollecitata e quindi anche più pronta, reattiva e interventista rispetto alla sua collega sinistra. Potremmo paragonarla al bicipite di un culturista, il bicipite di Arnold Schwartzenegger dei tempi d’oro.
Ma cosa ha reso questo “bicipite” così ipertrofico? Un certo tipo di nutrimento: le notizie dei telegiornali -che non sono “buone notizie”- le scene ansiogene di film e videogames, con violenze fisiche e verbali, sparatorie, inseguimenti, omicidi e rapimenti; ma anche i litigi nei reality o gli alterchi nelle trasmissioni politiche; l’incertezza del domani, il Covid e tutto quello che gli si è creato attorno.
Ma, se ci penso, anche il cartone di Biancaneve, del buon vecchio Walt Disney, conteneva un bel po’ di nutrimento per la nostra CPD. E anche i documentari, di cui sono sempre stata una fervida consumatrice, ultimamente puntano ad un sensazionalismo al negativo, dove lo squalo non è solo un pesce predatore, ma è un crudele e sanguinario assassino, il serpente è una terribile e feroce minaccia, il ragno è un implacabile killer dalla crudeltà premeditata.
E di cosa si nutre, invece, la CP sinistra? si nutre di bellezza, emozioni che espandono, gioia, gratitudine, immagini positive, presenza consapevole. Essendo meno “nutrita”, meno sollecitata, è un po’ come il bicipite di uno smilzo che non ha mai sollevato più di una borsina della spesa piena solo a metà.
Quando c’è da affrontare una qualsiasi situazione, quale delle due aree pensi che ti farà sentire maggiormente la sua forza? Sarà il bicipite di Schwazenegger o quello del nostro amico smilzo?
Esatto, ti sei risposta da sola. Il bicipite di Schwarzenegger.
D’altra parte, il “bicipite sinistro” è talmente poco allenato e smilzo da venire sopraffatto e non riuscire a fare la sua parte. È come se non si aspettasse di essere interpellato (meno lo si usa, e meno si aspetta di esser chiamato in causa) e le volte che interviene, il suo contributo viene sovrastato prepotentemente dal suo collega super allenato.
Andrà più o meno così:
Ti si prospetta la possibilità di un nuovo progetto di lavoro, quand’ecco sopraggiungere pensieri su tutti i rischi possibili e impossibili, su tutte le cose che sono andate storte in passato e su tutte quelle che sicuramente andrebbero storte in futuro; ecco nascere una sensazione di paura e preoccupazione, che ti fa desistere, o ti fa partire prevenuto e pronto alla profezia auto-avverante.
Sei in un momento di relax. La tua mente vaga finché, ad un certo punto, ti porta a focalizzarti sullo sgarbo che ti ha fatto quella collega, su quanto sia ingiusto il tuo capo/socio/vicino di casa, fino a farti concentrare su tutti gli aspetti negativi della tua vita.
Stai vivendo un problema reale (di lavoro, relazionale o di salute) e un po’ alla volta diventa pervasivo, offuscando qualsiasi altro aspetto della tua vita, occultando alla tua consapevolezza ogni aspetto positivo che sia comunque presente nella tua vita, probabilmente in percentuale notevolmente maggiore.
Questi erano alcuni casi di “corteccia prefrontale destra al lavoro”.
Perché è necessario allenare la felicità?
Tutto questo si può sovvertire, in due modi:
1- riducendo gli stimoli alla CP Destra, diventando consapevole di quali siano e non facendo inutili scorpacciate di negatività (parzialmente in tuo potere)
2- allenando la CP Sinistra (totalmente in tuo potere)
Ecco cinque cose che puoi fare da subito per allenare la tua CP Sinistra (e di conseguenza il tuo stato di benessere):
- durante la giornata, cogliere gli aspetti positivi di una situazione, di un luogo, di una persona
- dare un feedback positivo e sincero a un amico, un collega di lavoro, un collaboratore o una persona amata
- fare dei piccoli atti di gentilezza gratuita, come cedere il biglietto del parcheggio a uno sconosciuto con ancora di tempo, lasciare un “caffè sospeso” anonimo, lasciar passare qualcuno ad un incrocio
- notare la bellezza ovunque intorno a te
- a fine giornata, scrivere 3 cose per cui essere grata (e trovarle anche nelle giornate peggiori) (ti invito a creare una stories di Instagram, taggarmi @gina.abate.coaching e mettere l’hashtag #lagioiadelgiorno . Sarò felice di condividerla nelle mie stories)
E se vuoi allenarti davvero, ho creato un percorso fatto apposta per questo.
Nel mio corso Le pratiche della Felicità andiamo proprio ad allenare e fortificare la corteccia prefrontale sinistra e a spegnere l’eccesso di attività in quella destra.
Fortificare “l’area dell’illuminazione” ci rende più felici e capaci di apprezzare, più capaci di notare e cogliere opportunità, più inclini ad ascoltarci e fare scelte adatte a noi.
Ti piacerebbe entrare nel percorso e allenarti alla felicità? Puoi! Clicca qui e iscriviti oggi!
4 Mag 2020 | Crescita personale
e come possiamo lavorare per crearla
Cos’è questa felicità di cui parlo tanto? Non si tratta di un ottimismo che ignora il buon senso, una gioia perfetta h24 o correre in giro con un sorriso a 32 denti.
La felicità è una cosa seria 😉
È uno qualcosa di concreto, un solido stato di benessere che tutti noi possiamo allenare. Come la forma fisica.
Questo non è di certo uno dei periodi più spensierati della storia, come certamente sai, e parlare di Felicità può sembrare frivolo o superfluo, perché ci sono cose più serie e gravi a cui pensare.
Ma se lavorare alla felicità ci rendesse concretamente più capaci, più adatti a superare anche questo momento, se ci rendesse più creativi e coraggiosi, più concentrati ed efficaci, allora non sarebbe questa la priorità?
Lasciarsi contagiare dalla negatività, dalle legittime preoccupazioni, dalla frustrazione, rabbia, tristezza o pessimismo è tutto sommato facile: se non stiamo attenti, avviene senza che tu debba fare niente.
L’altra opzione, invece, è quella di assumersi la responsabilità di come ti senti e investire un po’ di tempo nella creazione e nella condivisione.
È da questa presa di responsabilità e dalla domanda “cosa posso fare io?” che è nata in me l’idea, all’inizio del lockdown, di creare il percorso gratuito che si è da poco concluso su Le pratiche della felicità.
E a posteriori posso confermare che è stata una delle idee più belle e gratificanti che ho avuto negli ultimi tempi , in quanto ci siamo trovati in tantissimi (in realtà quasi tutte donne) a fare pratica di felicità.
Infatti la felicità per me va allenata, non ricercata.
Ora ti voglio raccontare qualcosa che forse ha contribuito a rafforzare l’equivoco riguardo alla “ricerca” della felicità
Nel 1776 Thomas Jefferson ha redatto la Dichiarazione di Indipendenza in cui, tra le altre cose, veniva riconosciuto a tutti gli americani il diritto a “The pursuit of Happiness” interpretato e tradotto appunto come “ricerca” della Felicità.
Probabilmente avrai visto anche il celebre (e bellissimo!) film con Will Smith dal titolo omonimo.
Pochi sanno però che a quel tempo il verbo to pursue significava “praticare un’attività, farla regolarmente, renderla un’abitudine”.
SBAM! Quando l’ho letto per la prima volta è stata un’ulteriore conferma per me, di quanto la felicità sia una competenza che possiamo allenare.
Ed è tutta nelle nostre mani.
Ricercarla genera frustrazione, perché porta a rincorrere obbiettivi e ideali spesso stereotipati. Se, invece, alleni il tuo corpo e la tua mente a creare il tuo naturale stato di benessere, riuscirai a provare la felicità reale, concreta, fatta su misura per te.
E da lì sarà anche più facile comprendere quali “battaglie” intraprendere, e quali invece vorrai lasciar perdere perché non ti corrispondono.
Essere felici comporta innumerevoli benefici, come:
- prendere decisioni che si riveleranno più giuste e allineate con noi
- avere relazioni personali e lavorative migliori
- portare avanti le proprie azioni con maggiore efficacia
- provare emozioni più funzionali alle varie situazioni
- attutire i momenti down con maggiore consapevolezza
- avere a disposizione tutta la nostra creatività (che sotto stress non è disponibile)
- portare maggior equilibrio al nostro organismo, a vantaggio della nostra salute
- il nostro corpo rifletterà il nostro stato mentale: saremo più belle e giovani! (ce lo conferma la scienza)
Durante il corso online, durato ben 6 settimane, abbiamo toccato diversi aspetti:
- abbiamo esplorato i fondamenti scientifici della felicità, gli effetti dello stress sul corpo e sulle capacità cognitive e relazionali, i benefici dello stato di benessere;
- abbiamo imparato a rallentare e ri-equilibrare corpo e mente in 3 minuti;
- abbiamo sperimentato l’effetto energizzante o calmante del respiro;
- abbiamo praticato tecniche come l’Equilibrio Emozionale, il Switching, il Radicamento, Il Comando Theta, la tecnica di Coerenza Cardiaca Veloce e molte altre;
- abbiamo sperimentato quanto la Felicità possa essere creata e allenata non solo per stare meglio, ma per essere decisamente più efficaci nella vita.
La grande ondata di energia scatenata da questa serie di incontri mi ha fatto capire quanto per me fosse importante inserire un nuovo corso, all’interno dei miei percorsi, che faccia della felicità una priorità e possa aiutare le persone a prendersi questa responsabilità e innalzare stabilmente il proprio “punto chiave” della felicità.
Il nuovo percorso che ho ideato si chiama Le pratiche della felicità Intensive Circle: clicca qui per avere tutte le informazioni!
Un abbraccio,
Gina