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Come evitare di autosabotarsi

Come evitare di autosabotarsi

Ti è capitato di rimandare azioni importanti? Di farti bloccare dalla paura di non farcela (o di farcela)? Autosabotarsi è umano, purtroppo.

Autosabotarsi è umano (purtroppo)

Ti è mai capitato di autosabotarti? Mi spiego meglio: ti è mai capitato di rimandare decisioni e azioni importanti? Di sprecare il tempo? Di farti bloccare dalla paura di non farcela (o di farcela)? Di evitare situazioni particolarmente fastidiose ma necessarie?

 

Oppure sei diversa. Magari fai parte del club di chi è troppo perfezionista: il lavoro non è mai perfetto abbastanza, le informazioni non sono mai sufficienti, la persona che incontri non incarna mai tutte le caratteristiche necessarie… Mi spiace dirtelo, ma anche questi possono costituire degli autosabotaggi.


Allora, ti è capitato? Se la risposta è no, smetti di leggere, scrivimi e dimmi qual è il tuo segreto 😉
Altrimenti ti do il benvenuto tra gli umani, puoi proseguire nella lettura.

Cerchiamo di smantellare l’autosabotaggio

Bene, stiamo per iniziare questo “viaggio” insieme. Per trarre la massima efficacia da questo articolo ti chiedo di pensare a una cosa che costituisce per te un autosabotaggio.
Fatto? Ora prendi un po’ di colla vinilica… (spero tu abbia visto almeno una volta Art Attack, altrimenti non potrai ridere di questa citazione).
Bene, procediamo!

Il Territorio Conosciuto

Come tutti, sai svolgere con disinvoltura una serie di attività che fanno parte della tua vita abituale. Non significa necessariamente che ti piacciano, semplicemente ti sono familiari.


Tutto ciò che desideri di diverso si trova al di fuori di questo tuo Territorio Conosciuto (formato da un insieme di abitudini). Restare in quella zona ti fa sentire al sicuro, protetta, hai la situazione sotto controllo, mentre uscire da lì rappresenta qualcosa di scomodo, sfidante o potenzialmente pericoloso. 

Evitare il dolore

Il nostro cervello è progettato per la nostra sopravvivenza e non per la nostra autorealizzazione. Quindi vuole farci evitare il dolore in ogni modo. Mi spiego meglio: se a quella fatidica azione/decisione nuova hai associato emozioni negative, il rischio di autosabotaggio è alto. La paura di non farcela, la fatica, la rinuncia, l’incertezza dell’esito, il timore di venir giudicata o respinta… la conseguenza è che ti sarai organizzata la vita in modo da evitare quell’attività.

 

Ma al nostro cervello non basta schivare le possibili fonti di dolore, c’è un’altra grande forza che lo muove, ed è la ricerca del piacere.

 

La ricerca del piacere

A questo scopo ognuno di noi correda il proprio Territorio Conosciuto di una serie di attività in grado di garantirci una certa dose di piacere, conforto, sicurezza. Sono le cosiddette “attività-bagno-caldo”. 😉
Ne disponiamo in abbondanza: internet, social, reality tv, shopping compulsivo, bere e mangiare per motivi diversi dalla fame e la sete, il fumo, per non parlare della pornorgrafia, il gioco d’azzardo e le droghe.

 

Il lato oscuro del piacere

Questi vari tipi di intrattenimento ci forniscono una gratificazione immediata: pertanto, come degli ignari topini da laboratorio dopamina-dipendenti*, anziché impegnarci per ottenere un appagamento maggiore differito nel tempo, barattiamo il piacere con la soddisfazione e diventiamo dipendenti da quelle attività.


*Mi riferisco ad un esperimento in cui a dei poveri topini veniva somministrata la dopamina, l’ormone del piacere, ogni volta che fortuitamente facevano un gesto insulso come pigiare con la zampina su di una sbarretta. I topini hanno imparato a collegare la sensazione di piacere con quel gesto, e ne sono diventati talmente dipendenti da smettere di nutrirsi ed accoppiarsi per dedicarsi solo a quello.

 

Di tutte le dipendenze la comodità è la peggiore
(Parafrasando Marco Aurelio: “Comfort is the worst addiction)

Autosabotarsi segue un meccanismo ben preciso:

  1. Ogni volta che ti avvicini al confine del tuo Territorio Conosciuto con l’intenzione di avventurarti al suo esterno cominci a sentirti “scomoda”. Questo può avvenire quando decidi di iniziare a studiare per un esame difficile,  andare in palestra, scrivere il primo capitolo di un libro, cercare alleanze per un progetto, candidarti alle elezioni, chiedere un aumento di stipendio, ecc…
  2. Per non sentire quel disagio, ti rifugi in un’attività-bagno caldo: controlli le mail, fai un saltino sui social, leggi le ultime notizie di cronaca, guardi qualche video divertente o rilassante, fai uno spuntino, continui a perfezionare il lavoro. Oppure esci a bere un caffè o a comprare qualcosa e così via. 
  3. Le ore passano, i giorni passano. L’insoddisfazione cresce e l’opinione che hai di te scivola verso il basso. A lungo andare rimanere all’interno del Territorio Conosciuto  ha un costo altissimo, ma se la paura del dolore è più forte del desiderio, l’autosabotaggio è… inevitabile.

È l’unica alternativa possibile?

No, per fortuna. C’è sempre un’altra possibilità. Infatti, tra il punto 1 e il punto 2  ti trovi in uno di quei momenti che io chiamo Il Momento Bivio!
A ogni Momento Bivio tu hai il potere di accorgerti di quello che sta succedendo e mettere in atto un comportamento diverso. È l’attimo in cui evitare di autosabotarsi.

 

Sei al Momento Bivio. Quale strada scegli?

  1. La solita strada. Lasci vincere l’autosabotante forza di evitamento: cedi al disagio e rientri nel Territorio Conosciuto, dove andrai in cerca di una gratificazione immediata. Questo comportamento alla lunga ti porterà all’insoddisfazione e al rimpianto di aver sprecato un sacco di tempo, forse addirittura una vita.
  2. La strada nuova. Puoi attivare la Forza di Avanzamento* e ricordare a te stessa il senso di quell’azione da compiere e del tuo scopo futuro. Puoi accettare di attraversare il disagio e superarlo.

    *Forza di Avanzamento: così la definiscono P. Stutz e B. Michaels nel libro “The tools”. Si tratta di una di quelle forze universali che agiscono spontaneamente in natura, o  nei bambini, ma che poi gli adulti possono attivare soltanto attraverso la scelta consapevole di farlo.

Scegli di non autosabotarti

Immagina quando in una torrida giornata estiva vuoi farti una bella nuotata: ti immergi fino alle cosce, l’acqua è splendida, trasparente ma… fredda!! Puoi tornare a riva raccontandoti mille scuse, andare al bar e tentare di consolarti con un calippo e una coca ghiacciata.

Oppure, si può scegliere di non autosabotarsi.

Puoi pensare a quanto sarà magnifico essere totalmente immersa e nuotare in quelle acque cristalline, a come ti sentirai bene, tonificata, rinvigorita, e anche, perché no, fiera di te! 

Queste immagini, queste sensazioni future sono molto più attraenti, per te, di cadere mollemente sullo sdraio, sudata e appiccicosa. Se la metti in quest’ottica, fai un bel respiro, trattieni il fiato per un attimo e arrivi a desiderare quel momento “scomodo” in quanto portatore di gioie imminenti. E così, corri a tuffarti.

 

Accorgiti di come è facile non autosabotarsi

Sai cosa succede ogni volta che vinci sulla versione abitudinaria di te? Immagina che nel tuo cervello un gruppetto di neuroni super forzuti a colpi di macete si sta aprendo un varco in una foresta di intricatissime liane, e sta costruendo un nuovo sentiero, che diventerà sempre più facile da ripercorrere. Hai capito bene. Avrai più scelte, avrai più libertà.

 

Allora ecco il mio consiglio: inizia mettendo subito in atto quanto suggerito in questo articolo, non te ne pentirai.

 

Nel caso in cui l’autosabotaggio dovesse persistere, potrebbe essere importante considerare anche altri “livelli”. Oltre a quello del comportamento, possiamo lavorare sulle convinzioni con qualche sessione di PSYCH-K®. Oppure possiamo lavorare individualmente sull’identità e sulla visione più grande per allinearle e liberare tutto il tuo potenziale.

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

L’ordine nel caos

L’ordine nel caos

Le lezioni sul caos dal viaggio in Marocco.

L'ordine nel caos a Marrakech

Prima dell’articolo “L’ordine nel caos”, leggi qui ⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

Viaggiare per ritrovarsi o per perdersi nel caos?

 

Viaggiamo per i più disparati motivi: per vedere luoghi e paesaggi diversi da quelli a cui siamo abituati, sentir parlare lingue diverse, conoscere culture e usanze differenti, fare una pausa dai ritmi frenetici della vita e immergerci in natura. O ancora, fare un tuffo nel caos di una metropoli, visitare luoghi che appartengono alla storia e all’arte, per conoscere e respirare la bellezza.

 

Il viaggio è soprattutto un modo per conoscere aspetti inconsueti di noi stessi, vedere chi siamo e come siamo se ci collochiamo in spazi e ritmi diversi, come affrontiamo il nuovo, come viviamo le sfide e le opportunità. Un modo per testare la propria flessibilità e capacità di adattarsi a ciò a cui non siamo avvezzi. 

 

Per me il viaggio è soprattutto questo, e il viaggio in Marocco da cui sono appena tornata è stata la meta perfetta per testare tutti questi aspetti. 

 

È stato un viaggio intenso, aspro, sensoriale come lo sono quelle terre; avventuroso al punto giusto e all’insegna del lasciarsi fluire (sebbene ci sia stato un minimo di programmazione).

 

Gli ingredienti del mio viaggio:

 

  • 4 amiche
  • 12 giorni
  • 1 solo bagaglio a mano
  • 1 auto a noleggio
  • 6 mete da raggiungere

I doni del Marocco

Non ti racconterò gli aspetti “turistici” del viaggio, non ti descriverò i luoghi né ti consiglierò dove andare a mangiare, perché non è questo lo scopo del mio post. Voglio piuttosto condividere con te quali sono state le intuizioni e comprensioni che il Marocco ha suscitato in me e i “doni” che mi sono portata a casa (e non intendo l’olio d’argan e il sapone nero, comunque degni di nota 😏).

 

L’ordine abita nel caos

 

Marrakech è una città incredibile. Avventurarsi per le vie della medina (la vecchia cittadina fortificata, ora vera e propria “città mercato” traboccante di bancarelle e piccoli fori adibiti a negozi) è un vero e proprio bagno di folla. Turisti e “locals” si accalcano ovunque, motorini, spesso semi distrutti, si aggirano sfiorando i vicoli con 2, 3 o 4 persone a bordo (spesso trasportando ceste enormi o altri oggetti ingombranti). Calessi trainati da asini, muli e cavalli malconci si alternano a carretti tirati a mano da vecchietti ossuti e consumati dal sole. A volte passa perfino qualche macchina e qualche camioncino, con il rischio di incastrarsi alla prima strettoia. 

I decibel sono decisamente superiori alla media e la distanza prossemica è solo un lontano ricordo.

 

Caos tra le vie di Marrakech

 

I negozietti traboccano di ogni tipo di merce: spezie odorose e super colorate, cibi non sempre profumati, pellame, profumi e prodotti di bellezza, abiti, peluche, oggetti d’artigianato, gioielli e manufatti di ogni sorta. Oggetti stipati ovunque attirano lo sguardo del passante che, se si sofferma per più di qualche secondo o guardare, viene prontamente adescato dal venditore di turno e ingaggiato in una trattativa all’ultimo dirham (la moneta locale).

 

Il caos aumenta

 

Uscendo dalla medina per avventurarsi nelle strade di quella che è una delle città più trafficate dell’Africa, ci si imbatte in un caos ancora maggiore. Sembra che le regole del traffico che abbiamo imparato a rispettare lì non vengano prese minimamente in considerazione e in ogni momento si ha la percezione di venir presa di mira dal prossimo mezzo di trasporto.

 

Ed è lì che ho scoperto la verità

 

Ma ecco il fatto che mi ha colpita tantissimo: in questo caos delirante, in questa apparente assenza di regole, in realtà c’è un ordine. Certo, non è l’ordine a cui siamo abituati, ma è un ordine in cui sembra proprio che ognuno sappia esattamente qual è il suo posto e il suo ruolo. È come una danza e, se ti permetti di dimenticare quello che sai e di immergerti in quello che c’è, diventi fruitore e artefice di questa danza. Sembra un delirio, eppure tutto funziona “alla perfezione”.

 

 

Se non puoi controllare, rilassati

 

Un’altra cosa che ho osservato è questa. Se cammino per le strade di Trieste o di un’altra città europea e vengo rifilata da un motorino, sicuramente reagisco in modo anche poco diplomatico, perché sento che la mia incolumità è messa a repentaglio dalla “prepotenza” di qualcuno. Stessa cosa se, quando guido, un automobilista manca di darmi la precedenza nonostante mi abbia vista arrivare e cose del genere. Giustamente, dirai tu (e anch’io). 

 

Lasciati cullare dal caos

 

Ma quando nessuno fa quello che ti aspetti – e allo stesso tempo realizzi che nessuno è uscito di casa alla mattina con la precisa intenzione di farti fuori – puoi solo “mollare” e fluire. Non puoi controllare, non puoi inveire contro tutto e tutti, non puoi insegnare loro le “giuste regole”… e allora è come se dicessi al tuo sistema nervoso:

“Ehi amica, rilassati. Amigdala (la nostra “sentinella”) prenditi una vacanza. Le nostre reazioni automatiche di sempre qui non valgono, perciò dobbiamo trovare un’altra modalità.”

E così scopri che quella modalità reattiva non è l’unica possibile. Che se “avere ragione non serve a niente” – come dico sempre – lì serve meno di niente. Scopri che se non ne fai una questione di principio e capisci che la regola è “se manco di darti la precedenza, rallenta e vedrai che passiamo tutti e due senza problemi”, è una regola che puoi fare tua.

 

Porta a casa ciò che ti sarà utile

 

Mi sono ripromessa di mantenere questo atteggiamento meno reattivo (alla guida, ma non solo) anche una volta rientrata a casa e per ricordarmelo, tutte le volte che vorrei mandare qualcuno a quel paese per come sta guidando, dico: “MMMMMarrakech!!!” e mi faccio una risata.

 

  • Come sarebbe se adottassimo questo atteggiamento di “non controllo” e fiducia anche in altri aspetti della vita?
  • Quanta della nostra energia potremmo risparmiare e quanto benessere in più potremmo avere, se smettessimo di combattere contro le circostanze che non possiamo cambiare e scegliessimo di fluire con loro?

  

La vita è qualcosa di semplice

 

Ricordo esattamente il momento in cui mi è arrivata questa comprensione. Ero a Taghazout, un villaggio affacciato sull’Oceano Atlantico nei pressi di Agadir, e stavo camminando sulla spiaggia al tramonto.

Anche lì c’era un pizzico di “follia africana”: sulla sabbia giacevano reclinate delle barche di legno, con vicino un trattore enorme (il giorno dopo avrei scoperto che serviva a trasportare le barche in mare, e riportarle in cima alla spiaggia a fine pesca), giovani surfavano tra le onde, dromedari e cavalli venivano condotti in su e in giù per invogliare i pochissimi turisti a fare una cavalcata sul bagnasciuga. C’erano gatti e gattini magrissimi sdraiati al sole, donne coperte dalla testa ai piedi che facevano il bagno, ragazzi che giocavano a palla e tantissimi cani liberi, piuttosto grandi. I cani ferali ti si avvicinavano quasi a darti il benvenuto, a volte ti si sdraiavano vicino per un po’, e poi riprendevano il loro libero girovagare, vicino agli umani, ma non “degli umani”. Anche qui una sorta di caos ordinato, molto diverso da Marrakech, dove la parola d’ordine era “semplicità”.

 
Ordini, ruoli e semplicità

 

Ognuno aveva un suo posto, un suo ruolo, e lo rispettava. Non perché fosse necessariamente “facile”, ma perché era naturale, era qualcosa di semplice.

Lì le persone sono molto più povere di noi, eppure se c’è il sole e la natura intorno, sai che non morirai mai di fame: lo sanno gli uomini, i gatti, i cani ferali, ed è qualcosa che si percepisce, lo respiri ovunque. 

Magari ogni tanto è necessario spostarsi, e lì lo fanno tutti: camminano, anche per giorni in mezzo al nulla, per trovare condizioni migliori, per trovare altro cibo, per pascolare le pecore o per raggiungere la famiglia in un altro villaggio. La vita è molto meno comoda, ma è molto più piena di vita.

 

Una vita semplice e ancestrale

Questo assomiglia molto a come abbiamo vissuto per millenni, ce l’abbiamo scritto nel DNA e quando lo vediamo lo riconosciamo.

E ci ricordiamo… la vita è una cosa semplice, è così che dovrebbe essere..

Sembra che tutto ti dica: se c’è la vita, il sole, il mare, la frutta… siamo ricchi, siamo già ricchi

La vita è una cosa semplice.

Siamo noi che la rendiamo complicata con tutte le nostre sovrastrutture, mentali e non solo.

Non è “colpa nostra”, è il contesto in cui siamo inseriti che ci condiziona e ci plasma.

 

Ma possiamo ricordare.

E io, con questo viaggio bellissimo, certamente l’ho fatto.

Gina e un cammello a Marrakech
Caos a Marrakech
L'ordine nel caos a Marrakech
Gina nel caos del suk di Marrakech

Ascolta te stessa: se senti il bisogno di liberare la tua energia e lasciarti contaminare dal caos, per ritrovare il tuo ordine, non esitare a contattarmi. Creeremo il tuo percorso trasformativo, per ridare luce alle tue  caratteristiche e alla tua unicità.

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

Donna selvaggia, abbraccia la tua natura

Donna selvaggia, abbraccia la tua natura

La donna selvaggia, la donna “naturale” giace, più o meno sopita, dentro di noi, in attesa di essere risvegliata.

donna selvaggia, abbraccia la tua natura

Prima dell’articolo “Donna selvaggia, abbraccia la tua natura”, leggi qui ⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

L’archetipo della donna selvaggia
 

Come sarebbe se ogni giorno fossimo in contatto con una parte di noi piena di energia e creatività, di capacità di adattamento e resistenza agli urti, una parte vitale, ispirata e ispiratrice, saggia e sintonizzata con la natura?

 

Queste sono solo alcune delle caratteristiche femminili ancestrali, a cui possiamo attingere se sappiamo fare ritorno all’archetipo della donna selvaggia, la donna “naturale” che giace, più o meno sopita, dentro di noi, in attesa di essere risvegliata.

  

Che fare per risvegliare il femminile selvaggio e soprattutto, perché mai dovremmo?

A vivere disconnesse dalla forza ancestrale della donna selvaggia, ne risente il nostro corpo, la nostra salute, la capacità di auto guarigione – oltre che la capacità di orientarci nelle scelte della nostra vita.

Ne risentono le nostre emozioni e  anche la psiche: dipendenze, depressioni e perdita di senso sono purtroppo all’ordine del giorno nella nostra società.

Riconnettersi al nostro femminile selvaggio ci permette di sintonizzarsi con una forza naturale che spesso non sappiamo nemmeno di avere. 

Innanzitutto, impariamo a riconoscerla

Ma quali sono le caratteristiche della “donna selvaggia” e come siamo invece quando siamo disconnesse da quella straordinaria fonte di energia, vitalità e potere personale?

 

C’è qualcosa di magico in una donna quando è nel suo potere. In lei c’è passione, ha fiducia in se stessa, è giocosa, creativa, sensibile, intuitiva, compassionevole. In lei traspare una primitiva bellezza, indipendentemente dall’età o dalle sue caratteristiche fisiche.

 

Quando una donna riconosce e incorpora il suo potere è fiera e piena di grazia, sa quando essere instancabile e determinata e quando invece lasciar andare, rallentare e prendersi cura di sé. È in contatto con la sua saggezza e si fida della sua intuizione.

 

Se la lasciamo andare, si spegne la nostra energia

Al contrario, quando una donna ha perso il contatto con il suo potere naturale, quello della “donna selvaggia”, è insicura, dubita di se stessa, ha difficoltà a mettere confini e farli rispettare, e cade facilmente in comportamenti manipolativi, passivo-aggressivi o si sforza di compiacere gli altri per ottenere ciò di cui ha bisogno e che non riesce a richiedere in modo assertivo. 

 

Può cercare approvazione “fuori” quando l’unica approvazione di cui ha bisogno è la propria.

Può essere sprovveduta, timida o diventare aggressiva, come se avesse difficoltà a dosare quel fuoco che è parte della sua natura.

È giudicante, verso se stessa e verso gli altri, con cui si paragona costantemente, uscendone a volte vittoriosa e a volte sconfitta- ma sono due facce della stessa medaglia.

 

È come se la luce dentro di lei si fosse smorzata, o spenta e lei cercasse disperatamente nuovi modi per riattivarla. Ma le cose materiali, o le altre persone, non possono farlo per lei.

 

È come se ci fosse un vuoto, un’emorragia energetica che tenta di riempire con cibo, relazioni, dipendenze- anche socialmente accettate e apprezzate come superlavoro, esserci sempre per tutti – tranne che per sè- raggiungere obiettivi che le portano lustro e onore. Ma quel vuoto resta lì.

 

Giudica se stessa, le sue idee, il suo operato, il suo corpo, il suo look, le sue emozioni, le sue paure. E, per questo, sente di non potersi mostrare integralmente, e nasconde parti di sé. Che fatica!

 

La riconnessione con la donna selvaggia

 

Per ritrovarsi, lei dovrà riconnettersi alla terra, alla natura, di cui è sempre stata custode e protettrice, e che è sempre lì, pronta a nutrirla e far scorrere nuovamente linfa vitale nelle sue vene.

E dovrà cercare dentro di sé ciò che le manca: il contatto con se stessa e con il suo spirito.

 

Ridiventare selvaggia non significa andare in giro con i capelli grigi e in disordine come una strega e le unghie sporche di terra (a meno che non ti piaccia così! 😉 ): significa entrare più in contatto con la propria natura, con il corpo,  il cuore, l’anima e ricordare, infine, il tuo sé autentico.

 

Per poterlo fare, serve

  • iniziare ad accettare ogni parte di sé (l’ho scritto anche in questo post), 
  • avere delle pratiche per ritrovare il proprio centro, il proprio radicamento, 
  • e riconoscere, fra tutte, il suono della propria voce.

Ora ti suggerirò due pratiche che ti aiuteranno proprio in questo.

 

La prima via: mettere in luce ciò che non ami di te e imparare ad amarlo

 

Iniziare ad amare noi stesse in tutta la nostra interezza e “traslocare dalla testa al corpo” sono le due vie che sinergicamente ti riporteranno a rivivere l’energia e la potenza della tua donna selvaggia.

Parlati in modo autentico e sincero

Per ritrovare la tua voce, la tua intuizione, la tua guida interiore, è necessario che tu sappia riconoscere la tua verità. Questo significa non nascondere a te stessa le tue emozioni e i tuoi sentimenti. Una volta riconosciuti e integrati, inizierai a essere integra e autentica anche con gli altri e nelle varie situazioni della tua vita.

 

Ecco alcune domande che ti aiuteranno in questo processo:

di cosa mi vergogno?

cosa sto negando?

per cosa mi sento in colpa?

cosa non funziona per me?

cosa non vorrei mai che gli altri sapessero/vedessero di me?

 

Rispondi per iscritto a queste domande, fanne un’abitudine per un po’ di tempo e semplicemente riconosci quello che emerge. Non giudicare, non voler “aggiustare”, modificare o cambiare.

 

Tenere nascoste quelle verità ti costa un sacco di energie, perciò riconoscile a te stessa, permetti loro di salire in superficie e di fluire, perdendo così la loro intensità e il loro potere.

 

 

La seconda via: riconnetterti alla tua donna selvaggia

 

La seconda via è trovare, o ritrovare, delle attività che ci permettano di sentirci vive, sentire il corpo così tanto da non riuscire a sentire più il brusio dei pensieri.

 

Le domande  da farti qui sono molto semplici:

cosa mi fa sentire viva?

cosa mi fa sentire autenticamente bene?

quando mi sento veramente io?

 

A volte le risposte potranno indicarti attività relativamente semplici da fare, come danzare, abbracciare gli alberi, fare passeggiate in natura o fare un giro in bici o in canoa.

 

Altre volte potranno metterti davanti al fatto che hai lasciato indietro una parte di te, che forse desiderava o amava viaggiare da sola, o fare rafting sui fiumi, o fare lunghe passeggiate a cavallo o scendere nelle viscere della terra e visitare le grotte.

 

Allora ti chiederai come riavvicinarti, con garbo e tutte le protezioni che senti necessarie, a quelle attività o imprese.

 

Io ho avuto diversi richiami in questo senso, tanto che nel momento in cui scrivo sto per partire per il Marocco in un viaggio on-the-road con alcune amiche (e al mio ritorno non mancherò di raccontarti!)

 

Queste sono solo due delle tante pratiche che ti possono aiutare a riconnetterti alla tua donna selvaggia, integra, libera e nel suo potere.

 

Se vuoi lavorare su questi temi puoi contattarmi.

Resta in contatto con te stessa

Come sempre conoscere se stessi è la base sulla quale costruire una vita più felice e in linea con sé, che si tratti di relazioni, scelte professionali, la creazione di una nuova impresa o trovare un hobby in cui incanalare la nostra passione e i nostri talenti.

 

Ascolta te stessa: se senti il bisogno di tornare a liberare la tua energia, tornando alla tua natura di donna selvaggia non esitare a contattarmi. Creeremo il tuo percorso trasformativo, per ridare luce alle tue  caratteristiche e alla tua unicità.

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

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Non devi sentirti bene a tutti i costi

Non devi sentirti bene a tutti i costi

Saper creare emozioni elevate e “positive” è importante per il nostro benessere, ma è fondamentale anche saper accettare e accogliere le emozioni pesanti o “negative” senza scappare né combatterle. Sentirti bene a tutti i costi non è possibile. Questa è la lezione che il mese di gennaio ha portato con sé.

Non devi sentirti bene a tutti i costi

Prima dell’articolo “Non devi sentirti bene a tutti i costi”, leggi qui⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

Un gennaio sfidante 

Gennaio può essere un mese difficile e quest’anno lo è stato per molti (me compresa).

Dopo la frenesia delle feste e l’entusiasmo per i buoni propositi, si torna alla normalità. L’inverno è ancora tutto davanti a noi, le ore di luce sono ridotte al minimo, il vero freddo si fa sentire, l’energia è bassa ed è spesso messa alla prova da influenze e mali di stagione. Quest’anno poi c’era anche qualche congiunzione astrale pesante (non me ne intendo, ma tutti gli esperti ne hanno parlato) e per molte persone tutto questo ha dato origine a un senso di fatica, demotivazione, tristezza e, per qualcuno, profondo scoramento.

 

La quasi totalità delle mie clienti e delle amiche con cui parlavo, mi riportavano questa fatica e io stessa, a causa di una momentanea debolezza fisica e stanchezza, ho avvertito internamente il peso di tutte quelle situazioni esterne.

Devi sentirti bene per forza?

Cosa possiamo fare quando le emozioni “negative” colorano di grigio le nostre giornate e ci fanno fare tanta fatica? Ma soprattutto, cosa è meglio non fare?

 

È normale preferire sentirci bene, rispetto allo sperimentare emozioni pesanti o “che contraggono”. Infatti, quello di evitare il dolore e andare verso il piacere è un istinto naturale.

 

Quello che invece non è naturale nè benefico, è opporre resistenza alle nostre emozioni pesanti, negandole, combattendole, o tentando in tutti i modi di evitarle.

È così che fabbrichiamo la sofferenza, senza saperlo, proprio con le nostre mani.

 

“Ciò a cui resisti, persiste”.

Sento l’importanza di parlare di questo perché forse saprai che sono una sostenitrice delle emozioni elevate e dei loro molteplici effetti positivi sul nostro benessere fisico, sulle nostre relazioni, sulla nostra capacità di darci degli obbiettivi ed attenerci ai comportamenti che sostengono la visione che vogliamo realizzare.

 

Ma questo non è in antitesi con il saper accettare le emozioni pesanti, che sono preziose messaggere e consigliere, se sappiamo ascoltarle.

 

La prima cosa da fare è smettere di giudicarle

Non è forse vero che abbiamo imparato a etichettare determinate emozioni come buone o giuste, e altre come come “cattive” o sbagliate?

Prima di rispondere di no 😉 pensa per un attimo se, crescendo, sei stata incoraggiata a vivere totalmente e liberamente i tuoi momenti di rabbia, paura, ansia, disperazione o nervosismo.

E pensa per un attimo cosa pensi di te, oggi, quando ti senti estremamente triste, arrabbiata, svogliata, senza speranza, invidiosa o hai paura di qualcosa.

 

Posso ipotizzare che NON sei stata incoraggiata a vivere liberamente l’intera gamma delle tue emozioni e che non ti piaci un granché quando oggi ti capita di viverle?

Sentiti libera di non sentirti bene 

Abbiamo la tendenza a classificare certe emozioni come “negative”, sbagliate e non desiderabili. 

Così quando le proviamo, tendiamo a giudicare noi stesse come negative, sbagliate e non desiderabili.

Noto questo soprattutto tra le donne che hanno già “lavorato su di sè”, che si impegnano nella propria evoluzione personale e spirituale, come se ci fosse un pensiero di sottofondo che dice:

 “No, di nuovo! Mi sento ancora così?! Non è possibile, proprio io?

Non dovrei sentirmi così, dovrei averlo superato…

C’è qualcosa che non va in me…”

Come se “lavorare su di sè” implicasse essere esenti dalle emozioni con una vibrazione più bassa. Non è così! Quello che cambia è il significato che diamo loro, la consapevolezza che abbiamo, e cosa decidiamo di fare con quei momenti.

 

Inoltre hai mai notato che giudicare le tue emozioni come “negative” ti fa provare un’emozione secondaria, che è a sua volta negativa?

 

Ad esempio: 

Perdi il controllo con i bambini e alzi la voce. O rispondi male al collega sgarbato. Poi ti arrabbi con te stessa per esserti arrabbiata.

O provi vergogna per esserti arrabbiata.

O ti senti triste e impotente per esserti vergognata.

Insomma, hai capito.

 

Quando percepiamo ed etichettiamo qualcosa come negativo o sbagliato, attiviamo la nostra primitiva risposta di attacco-o-fuga, come davanti a qualsiasi altra minaccia (reale o immaginata).

Questo meccanismo ci lascia con due opzioni:

 

1) combattere contro quell’emozione

2) fuggire da quell’emozione

 

ma, come capirai, nessuna delle due strade porta a un benessere a lungo termine.

 

Tutto cambia, invece, se prendi quell’emozione negativa e, anziché di tentare di fuggire via da lei e di forzarti a sentirti bene, distrarti, reprimerla o sostituirla con una più “desiderabile”, scegli di  accettarla e le permetti di esserci.

 

La via per provare più emozioni elevate è dare spazio anche alle altre.

 

Passo 1: guarda quell’emozione con occhi nuovi

Cambia sguardo su quell’emozione, non giudicarla buona o cattiva, giusta o sbagliata, ma chiediti piuttosto:

  •     cosa c’è di buono, in questa emozione?
  •     che messaggio mi porta? 
  •     di quale mio valore parla?
  •     quale mio bisogno mi segnala?
  •     quale aspetto della mia vita mi chiede di cambiare o di affrontare in modo differente?

 

Passo 2 : vivila completamente

Quello che va davvero a sciogliere quell’emozione dolorosa, è smettere di tentare di resisterle o combatterla e, al contrario, prenderti lo spazio ed il tempo per concentrare tutta la tua attenzione su quella sensazione (non sui pensieri che ti dicono “sto male per questo, o quest’altro” – solo sulla sensazione)

  •      senti e sii completamente presente alla sensazione.
  •    sii l’osservatore: osserva le tue emozioni e i tuoi pensieri senza identificarti con essi: tu non sei i tuoi pensieri, e non sei le tue emozioni
  •     non etichettare i tuoi pensieri e sensazioni come “positivi o negativi”, giusti o sbagliati- osservali soltanto, come fossero pesci in un acquario

 

Passo 3: inizia a creare qualcosa di diverso

Soltanto dopo che hai fatto questo, puoi spostare la tua attenzione in una direzione di creazione.

Puoi farlo così: 

  •   chiediti quale bisogno c’è dietro a quell’emozione “pesante” e in quale altro modo potresti soddisfarlo
  •     scrivi una lista di cose che sei desiderosa di fare
  •     scrivi 5 cose che apprezzi e 5 cose di cui sei grata, e continua a farlo per un po’ di giorni
  •   inizia a cercare opzioni per cambiare qualcosa della situazione che ti ha generato l’emozione Esempio: se ti senti indispettita perché il tuo collega per l’ennesima volta non si è preso le sue responsabilità al lavoro, e questo è ricaduto su di te, inizia a chiederti cosa potresti fare invece di subire. – Potresti parlargli chiaramente e fare una richiesta.
    – Potresti smettere di coprire le sue mancanze facendo tu.
    – Potresti segnalare il fatto a chi di dovere.
  •     nel raro caso in cui sia davvero impossibile intervenire, cerca opzioni per cambiare il tuo focus o il significato che dai alla situazione

 

In conclusione: Non devi sentirti bene a tutti i costi

La strada della vera trasformazione, del vero benessere, quando parliamo di emozioni, è quella di accoglierle, accettarle, sentirle. E solo poi indirizzare i nostri pensieri e la nostra energia in luoghi più produttivi.

 

La prossima volta che ti verrà da opporre resistenza a un’emozione spiacevole, ricordati di questo post che hai letto. Allarga le braccia e invita l’emozione ad esserci e ad attraversarti. 

Questo ha aiutato molte delle mie clienti a sciogliere le emozioni pesanti del mese appena passato… e ha aiutato molto anche me!

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

É sufficiente comunicare “bene” per comprendersi davvero?

É sufficiente comunicare “bene” per comprendersi davvero?

Nel dialogo è facile incorrere in incomprensioni e reazioni emotive inaspettate. Vediamo come potremmo comunicare meglio (o cambiare visione).

Farsi capire è sempre semplice?

Sapeva ascoltare, e sapeva leggere. 

Non i libri, quelli sono buoni tutti, sapeva leggere la gente

Alessandro Baricco.

 

Un problema ricorrente

 

Nelle ultime due settimane mi è capitato di imbattermi ripetutamente, in modo indiretto ma anche in prima persona, in una problematica ricorrente.
Sembrava che tutte le mie clienti, ma anche altre persone intorno a me, stessero vivendo la stessa difficoltà: quella di riuscire a farsi capire e discutere senza drammi. Chi con il partner, chi con il datore di lavoro, chi con la figlia adolescente e chi all’interno di un’amicizia importante, mi raccontavano tutte di non riuscire a comunicare in modo costruttivo e soprattutto con reciproca soddisfazione.

Sarà successo anche a te, questa difficoltà genera amarezza, senso di impotenza, frustrazione, o a volte rabbia e finisce per aumentare la distanza e far crescere l’incomprensione.

 

Come mai, nonostante si parta sempre con le migliori intenzioni, spesso finisce così?

 

Farsi capire è comunicare bene

 

La comunicazione interpersonale è un tema vasto e pieno di sfaccettature, e che affronto spesso perché credo sia l’attività senza la quale tutte le altre sarebbero fallimentari. 

Pensaci.

La comunicazione è alla base di ogni nostra relazione e di ogni nostra attività, pertanto possedere l’abilità di comunicare con il prossimo, di comprendersi e farsi comprendere, aumenta non solo la nostra soddisfazione e il nostro sentirci nutriti, ma anche la nostra probabilità di successo nella quasi totalità delle cose che facciamo.

 

Oggi voglio affrontare con te uno di questi aspetti che, se riconosciuto e padroneggiato, potrà fare tutta la differenza del mondo nelle tue comunicazioni interpersonali.

 

Prenderò come esempio un episodio di cui sono stata testimone

 

Qualche sera fa eravamo a cena a casa di amici: l’atmosfera era leggera, i discorsi poco impegnati, il cibo buono, una grande piacevolezza, anche se per me, che prediligo uno scambio più autentico e approfondito, stavamo tutti galleggiando un po’ troppo sulla superficie delle cose.

 

A un certo punto uno degli invitati si è espresso su un fatto accaduto ad altri, schierandosi vigorosamente dalla parte di ciò che lui riteneva “giusto”. Era molto coinvolto e, da come parlava, sembrava piuttosto sicuro che il suo punto di vista fosse l’unico possibile.

Lo ascoltavo e osservavo attentamente. Vedevo che dietro a quelle parole si stava muovendo molto di più, percepivo che fosse la punta di un iceberg, e cercavo di comprendere cosa l’iceberg contenesse.

A un certo punto, con molta calma, ho risposto dicendo che comprendevo il suo punto di vista ed ho offerto quello che vedevo dalla mia prospettiva.

 

Evidentemente, nonostante la mia pacatezza, ho toccato qualche verità per lui intoccabile

L’ho visto trasformarsi. Se per tutta la sera, prima di sollevare l’argomento, era rimasto abbastanza silenzioso e quieto, comportandosi in modo gentile, anche se poco partecipe, a un certo punto è uscito fuori un drago sputafuoco.

Ha iniziato a sgranare gli occhi, ha alzato il tono della voce, è diventato paonazzo, ha personalizzato la discussione (ovvero ha portato la cosa sul piano della propria vita, come se il protagonista della storia fosse lui) e si è messo a difendere il suo punto di vista come si trattasse di vita o di morte.

 

Cos’era accaduto?

Possiamo comunicare solo in due modi:

 

  •     o parliamo a partire dal nostro carattere, dalla nostra personalità, dall’ego, da quella struttura difensiva che abbiamo dovuto costruire per affrontare la vita e le sue sfide senza farci troppo male
  •     o parliamo dall’organismo, ovvero dalla nostra essenza, dal nostro cuore.

 

Secondo te, da dove stava comunicando il mio interlocutore? 

Voglio che sia chiara una cosa. Stiamo solo osservando e da parte mia non c’è giudizio. Lasciar parlare il nostro carattere è qualcosa che tutti facciamo molto spesso, a meno che non ci alleniamo a fare diversamente e portiamo molta attenzione alla cosa.

 

In questo caso qualcosa era stato toccato, nelle sue convinzioni e valori, nel modo in cui era stato educato, in ciò che aveva imparato a considerare giusto o sbagliato, e stava combattendo per difenderlo. A parlare quindi, in quel momento, non era il cuore ma la personalità, con tutta la sua storia.

 

Non era interessato a comprendere il mio punto di vista, a mettere in dubbio ciò che difendeva con tanta veemenza, o semplicemente a confrontarsi, anche scegliendo poi di rimanere della sua idea: voleva proprio distruggere ogni altra possibilità.

 

 La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un’opinione tendiamo subito a pensare “è ingiusto”, “è stupido”, “è anormale”, “è irragionevole”, “è scorretto”, “non è gentile”. Molto di rado ci permettiamo di “capire” esattamente quale sia per lui il significato dell’affermazione.

Carl Rogers

 

 

Qual è l’intento che abbiamo quando comunichiamo con gli altri, specie le persone a noi più vicine?

 

Di solito le nostre intenzioni sono buone. Vorremmo farci capire, vorremmo che gli altri apprezzassero il nostro punto di vista, o comprendessero la nostra richiesta, o venissero incontro alla difficoltà che stiamo comunicando. Eppure molto spesso otteniamo l’effetto opposto, creando incomprensione e distanza. 

 

Ci sono molte cose che potremmo approfondire per quanto riguarda la comunicazione “sana”: le barriere da evitare, l’importanza dell’ascolto e le sue fasi… ma c’è una cosa che secondo me è la più importante e che fa sempre la differenza: fare contatto e rimanere nell’energia del cuore.

 

Per capire i sentimenti degli altri devi innanzitutto comprendere i tuoi.

(Daniel Goleman)

 

Se non siamo in grado di compiere questo passaggio dalla personalità al cuore, il confronto con l’altro è permeato da un senso di minaccia e si reagisce come davanti a un reale pericolo per la nostra sopravvivenza.

 

Chi vince?

Lo stato in cui viviamo normalmente – che “normale” non è per niente – è uno stato di perenne allerta, una condizione di leggero stress di sottofondo dovuto alle sfide e ai ritmi di questo nostro tempo e quando interviene qualcosa che il nostro sistema classifica come “pericolo”, la reazione è quella di contrattaccare il nemico (reale o immaginato che sia) con tutte le nostre forze.

 

In questo caso però non ci saranno vincitori, perché se nella relazione uno vince e l’altro perde, significa che la relazione ha perso, perciò hanno perso entrambi.

Qual è la via d’uscita?

Cerca prima di capire, poi di essere capito.

Stephen R. Covey

La via d’uscita è dentro di te.

 

Ci sono 2 fasi: auto-osservazione e trasformazione

Nella fase di auto-osservazione possiamo:

  1.  Accorgerci del meccanismo che si è attivato in modo automatico, e accorgerci quali sono le nostre reazioni davanti quella che percepiamo una minaccia
  2. chiederci: perché sto difendendo questa mia opinione o punto di vista come si trattasse di vita o di morte? qual è il bisogno che si nasconde qui sotto?
  3. e ancora: cosa sento nel corpo? quali pensieri sto formulando al riguardo?

E poi c’è la fase di trasformazione, ed è un allenamento a sentire e a rimanere nell’energia del cuore.

Stare nell’energia del cuore non significa “volemose ‘bbene” o fingersi compiacenti. Significa fare contatto con il nostro cuore, con la totalità di ciò che siamo, con l’espressione più ampia e meno condizionata della nostra intelligenza, con la parte di noi che desidera costruire, al contrario del “piccolo sè” che crede di dover vincere per poter esistere. Significa comprendere, smettere di difendere la propria posizione e costruire un ponte tra noi e l’altro, nonostante le divergenze.

 

Ecco quindi le fasi per shiftare la tua energia:

  1.  fai caso al tuo respiro, nota se è bloccato, se è troppo veloce, se sei in apnea…
  2. porta la tua attenzione al cuore, respira con il cuore e mantieni lì la tua attenzione mentre sei, allo stesso tempo, presente anche all’esterno
  3. ascolta l’altro senza giudicare, porta un atteggiamento di curiosità verso il suo mondo, cerca di comprendere cosa c’è dietro a quello che dice
  4. solo allora puoi rispondere, e a volte scoprirai che non è nemmeno necessario farlo.

 Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l’occasione per comprendere.

Pablo Picasso

Arriviamo al punto 

Al di là di tutte le altre competenze che potremmo acquisire, imparare ad essere stabilmente in contatto con il nostro cuore, saper come far ritorno a quell’energia e a quella intelligenza è la chiave per una comunicazione e una vita più “illuminata”.

Immagino saprai che nel cuore ha sede un “piccolo cervello”, una complessa rete neuronale di circa 40.000 neuroni molto specializzati che sembra sappiano prendere decisioni più velocemente e in modo più efficace del nostro “primo cervello”, al quale poi mandano i suoi suggerimenti. 

 

Quando però siamo totalmente identificati con la nostra personalità, con i nostri pensieri, con il nostro ruolo… quei suggerimenti non possiamo sentirli, perché bisbigliano, non gridano.

È per questo che serve rallentare, respirare, ascoltare… La tua guida è lì e non vede l’ora di farti scoprire tutte le tue capacità e potenzialità.

 

Come posso aiutarti

 

Questa è uno degli allenamenti che pratichiamo nel Cammino della Leggerezza 

Se vuoi imparare a shiftare la tua mente e la tua energia, da una modalità reattiva, automatica, figlia dello stress, a una espansa, presente, consapevole, c’è ancora qualche posto nel gruppo in partenza l’11 ottobre.

IL CAMMINO DELLA LEGGEREZZA

Ritrova lo slancio e riparti da te

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