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É sufficiente comunicare “bene” per comprendersi davvero?

É sufficiente comunicare “bene” per comprendersi davvero?

Nel dialogo è facile incorrere in incomprensioni e reazioni emotive inaspettate. Vediamo come potremmo comunicare meglio (o cambiare visione).

Farsi capire è sempre semplice?

Sapeva ascoltare, e sapeva leggere. 

Non i libri, quelli sono buoni tutti, sapeva leggere la gente

Alessandro Baricco.

 

Un problema ricorrente

 

Nelle ultime due settimane mi è capitato di imbattermi ripetutamente, in modo indiretto ma anche in prima persona, in una problematica ricorrente.
Sembrava che tutte le mie clienti, ma anche altre persone intorno a me, stessero vivendo la stessa difficoltà: quella di riuscire a farsi capire e discutere senza drammi. Chi con il partner, chi con il datore di lavoro, chi con la figlia adolescente e chi all’interno di un’amicizia importante, mi raccontavano tutte di non riuscire a comunicare in modo costruttivo e soprattutto con reciproca soddisfazione.

Sarà successo anche a te, questa difficoltà genera amarezza, senso di impotenza, frustrazione, o a volte rabbia e finisce per aumentare la distanza e far crescere l’incomprensione.

 

Come mai, nonostante si parta sempre con le migliori intenzioni, spesso finisce così?

 

Farsi capire è comunicare bene

 

La comunicazione interpersonale è un tema vasto e pieno di sfaccettature, e che affronto spesso perché credo sia l’attività senza la quale tutte le altre sarebbero fallimentari. 

Pensaci.

La comunicazione è alla base di ogni nostra relazione e di ogni nostra attività, pertanto possedere l’abilità di comunicare con il prossimo, di comprendersi e farsi comprendere, aumenta non solo la nostra soddisfazione e il nostro sentirci nutriti, ma anche la nostra probabilità di successo nella quasi totalità delle cose che facciamo.

 

Oggi voglio affrontare con te uno di questi aspetti che, se riconosciuto e padroneggiato, potrà fare tutta la differenza del mondo nelle tue comunicazioni interpersonali.

 

Prenderò come esempio un episodio di cui sono stata testimone

 

Qualche sera fa eravamo a cena a casa di amici: l’atmosfera era leggera, i discorsi poco impegnati, il cibo buono, una grande piacevolezza, anche se per me, che prediligo uno scambio più autentico e approfondito, stavamo tutti galleggiando un po’ troppo sulla superficie delle cose.

 

A un certo punto uno degli invitati si è espresso su un fatto accaduto ad altri, schierandosi vigorosamente dalla parte di ciò che lui riteneva “giusto”. Era molto coinvolto e, da come parlava, sembrava piuttosto sicuro che il suo punto di vista fosse l’unico possibile.

Lo ascoltavo e osservavo attentamente. Vedevo che dietro a quelle parole si stava muovendo molto di più, percepivo che fosse la punta di un iceberg, e cercavo di comprendere cosa l’iceberg contenesse.

A un certo punto, con molta calma, ho risposto dicendo che comprendevo il suo punto di vista ed ho offerto quello che vedevo dalla mia prospettiva.

 

Evidentemente, nonostante la mia pacatezza, ho toccato qualche verità per lui intoccabile

L’ho visto trasformarsi. Se per tutta la sera, prima di sollevare l’argomento, era rimasto abbastanza silenzioso e quieto, comportandosi in modo gentile, anche se poco partecipe, a un certo punto è uscito fuori un drago sputafuoco.

Ha iniziato a sgranare gli occhi, ha alzato il tono della voce, è diventato paonazzo, ha personalizzato la discussione (ovvero ha portato la cosa sul piano della propria vita, come se il protagonista della storia fosse lui) e si è messo a difendere il suo punto di vista come si trattasse di vita o di morte.

 

Cos’era accaduto?

Possiamo comunicare solo in due modi:

 

  •     o parliamo a partire dal nostro carattere, dalla nostra personalità, dall’ego, da quella struttura difensiva che abbiamo dovuto costruire per affrontare la vita e le sue sfide senza farci troppo male
  •     o parliamo dall’organismo, ovvero dalla nostra essenza, dal nostro cuore.

 

Secondo te, da dove stava comunicando il mio interlocutore? 

Voglio che sia chiara una cosa. Stiamo solo osservando e da parte mia non c’è giudizio. Lasciar parlare il nostro carattere è qualcosa che tutti facciamo molto spesso, a meno che non ci alleniamo a fare diversamente e portiamo molta attenzione alla cosa.

 

In questo caso qualcosa era stato toccato, nelle sue convinzioni e valori, nel modo in cui era stato educato, in ciò che aveva imparato a considerare giusto o sbagliato, e stava combattendo per difenderlo. A parlare quindi, in quel momento, non era il cuore ma la personalità, con tutta la sua storia.

 

Non era interessato a comprendere il mio punto di vista, a mettere in dubbio ciò che difendeva con tanta veemenza, o semplicemente a confrontarsi, anche scegliendo poi di rimanere della sua idea: voleva proprio distruggere ogni altra possibilità.

 

 La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un’opinione tendiamo subito a pensare “è ingiusto”, “è stupido”, “è anormale”, “è irragionevole”, “è scorretto”, “non è gentile”. Molto di rado ci permettiamo di “capire” esattamente quale sia per lui il significato dell’affermazione.

Carl Rogers

 

 

Qual è l’intento che abbiamo quando comunichiamo con gli altri, specie le persone a noi più vicine?

 

Di solito le nostre intenzioni sono buone. Vorremmo farci capire, vorremmo che gli altri apprezzassero il nostro punto di vista, o comprendessero la nostra richiesta, o venissero incontro alla difficoltà che stiamo comunicando. Eppure molto spesso otteniamo l’effetto opposto, creando incomprensione e distanza. 

 

Ci sono molte cose che potremmo approfondire per quanto riguarda la comunicazione “sana”: le barriere da evitare, l’importanza dell’ascolto e le sue fasi… ma c’è una cosa che secondo me è la più importante e che fa sempre la differenza: fare contatto e rimanere nell’energia del cuore.

 

Per capire i sentimenti degli altri devi innanzitutto comprendere i tuoi.

(Daniel Goleman)

 

Se non siamo in grado di compiere questo passaggio dalla personalità al cuore, il confronto con l’altro è permeato da un senso di minaccia e si reagisce come davanti a un reale pericolo per la nostra sopravvivenza.

 

Chi vince?

Lo stato in cui viviamo normalmente – che “normale” non è per niente – è uno stato di perenne allerta, una condizione di leggero stress di sottofondo dovuto alle sfide e ai ritmi di questo nostro tempo e quando interviene qualcosa che il nostro sistema classifica come “pericolo”, la reazione è quella di contrattaccare il nemico (reale o immaginato che sia) con tutte le nostre forze.

 

In questo caso però non ci saranno vincitori, perché se nella relazione uno vince e l’altro perde, significa che la relazione ha perso, perciò hanno perso entrambi.

Qual è la via d’uscita?

Cerca prima di capire, poi di essere capito.

Stephen R. Covey

La via d’uscita è dentro di te.

 

Ci sono 2 fasi: auto-osservazione e trasformazione

Nella fase di auto-osservazione possiamo:

  1.  Accorgerci del meccanismo che si è attivato in modo automatico, e accorgerci quali sono le nostre reazioni davanti quella che percepiamo una minaccia
  2. chiederci: perché sto difendendo questa mia opinione o punto di vista come si trattasse di vita o di morte? qual è il bisogno che si nasconde qui sotto?
  3. e ancora: cosa sento nel corpo? quali pensieri sto formulando al riguardo?

E poi c’è la fase di trasformazione, ed è un allenamento a sentire e a rimanere nell’energia del cuore.

Stare nell’energia del cuore non significa “volemose ‘bbene” o fingersi compiacenti. Significa fare contatto con il nostro cuore, con la totalità di ciò che siamo, con l’espressione più ampia e meno condizionata della nostra intelligenza, con la parte di noi che desidera costruire, al contrario del “piccolo sè” che crede di dover vincere per poter esistere. Significa comprendere, smettere di difendere la propria posizione e costruire un ponte tra noi e l’altro, nonostante le divergenze.

 

Ecco quindi le fasi per shiftare la tua energia:

  1.  fai caso al tuo respiro, nota se è bloccato, se è troppo veloce, se sei in apnea…
  2. porta la tua attenzione al cuore, respira con il cuore e mantieni lì la tua attenzione mentre sei, allo stesso tempo, presente anche all’esterno
  3. ascolta l’altro senza giudicare, porta un atteggiamento di curiosità verso il suo mondo, cerca di comprendere cosa c’è dietro a quello che dice
  4. solo allora puoi rispondere, e a volte scoprirai che non è nemmeno necessario farlo.

 Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l’occasione per comprendere.

Pablo Picasso

Arriviamo al punto 

Al di là di tutte le altre competenze che potremmo acquisire, imparare ad essere stabilmente in contatto con il nostro cuore, saper come far ritorno a quell’energia e a quella intelligenza è la chiave per una comunicazione e una vita più “illuminata”.

Immagino saprai che nel cuore ha sede un “piccolo cervello”, una complessa rete neuronale di circa 40.000 neuroni molto specializzati che sembra sappiano prendere decisioni più velocemente e in modo più efficace del nostro “primo cervello”, al quale poi mandano i suoi suggerimenti. 

 

Quando però siamo totalmente identificati con la nostra personalità, con i nostri pensieri, con il nostro ruolo… quei suggerimenti non possiamo sentirli, perché bisbigliano, non gridano.

È per questo che serve rallentare, respirare, ascoltare… La tua guida è lì e non vede l’ora di farti scoprire tutte le tue capacità e potenzialità.

 

Come posso aiutarti

 

Questa è uno degli allenamenti che pratichiamo nel Cammino della Leggerezza 

Se vuoi imparare a shiftare la tua mente e la tua energia, da una modalità reattiva, automatica, figlia dello stress, a una espansa, presente, consapevole, c’è ancora qualche posto nel gruppo in partenza l’11 ottobre.

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Pensa positivo! O no?

Pensa positivo! O no?

I falsi miti del pensiero positivo hanno procurato più danni che benefici. Scopriamo cosa c’è di buono da imparare, analizzando le parole di Louise Hay. 

pensiero positivo gina abate coaching

Mi è capitato spesso, quando le persone mi chiedono che lavoro faccio, che commentino più o meno con “Ah sì! Pensiero positivo… Motivazione… Autostima, quelle cose lì vero?”

Ti svelo due cose:

  1. io non motivo nessuno, perché ognuno ha da trovare le proprie ragioni e i propri motivi per passare all’azione (al massimo io l’aiuto a riconoscerli).
  2. l’autostima è qualcosa di molto importante e profonda, e spesso viene confusa con il guardarsi allo specchio e dirsi con aria agguerrita: “Io sono figa/o, io valgo, io posso fare tutto”, ed è qualcosa che non consiglierei a nessuno 😉 

Ora che mi sono liberata di questi sassolini nella scarpa, arriviamo al punto di cui voglio parlarti oggi: il Pensiero Positivo.

 

Più danni della grandine

 

A mio avviso il Pensiero Positivo ha fatto più danni della grandine. Certo, anche il “pensiero negativo” non scherza. Ma quindi? Cerchiamo di capire qual è l’intenzione buona e quali sono i fraintendimenti che permeano questo argomento.

 

Normalmente se ti dico “Pensa positivo” cosa ti viene in mente?

Forse per prima cosa la canzone di Jovanotti, ma subito dopo, con tutta probabilità, ti verranno in mente cose come “Andrà tutto bene” e l’ormai famoso bicchiere mezzo pieno.

 

Dove nasce tutto questo?

 

Nel 1984, in un periodo della mia vita in cui ero molto sofferente, mi capitò tra le mani il libro “Puoi guarire la tua vita” di Louise Hay, una delle madri del pensiero positivo.

 

La Hay era riuscita a guarire dal cancro trasformando i suoi pensieri, e voleva giustamente condividere con il mondo quello che aveva sperimentato sulla sua pelle.

 

Ricordo di aver divorato con entusiasmo quelle pagine perché quel libro mi confermava qualcosa che avevo sempre sentito essere vera. Parlo del collegamento tra i pensieri che abbiamo, la chimica che creiamo nel nostro corpo (che percepiamo sotto forma di emozioni e sensazioni) e la capacità della nostra mente e del nostro corpo di esprimere utilmente le sue potenzialità: guarire da una malattia, realizzare un progetto, creare una relazione felice o qualsiasi altra cosa.

 

Quello che è passato è invece, banalmente, “Pensa positivo e tutto andrà bene”. Cosa semplicemente non vera.

 

Il fraintendimento

Il messaggio superficiale che è arrivato fino a noi, è che se pensiamo che le cose andranno bene, lo faranno; che se pensiamo che guadagneremo un sacco di quattrini e troveremo il/la nostro/a partner ideale, succederà; che se pensiamo che la guerra finirà o che guariremo da una malattia, lo faremo accadere.

 

Io ci ho provato e non ha funzionato e probabilmente anche tu mi dirai la stessa cosa.

 

Se poi a questo aggiungiamo la Legge dell’Attrazione, che sembra dirci che se pensiamo intensamente ad un elefante mentre ce ne stiamo comodamente seduti in salotto, lo facciamo apparire hic et nunc, ecco che la frittata è fatta.

 

Gina, ma allora ci stai dicendo che quello che pensiamo non conta? che è inutile “pensare bene”?

 

Il tassello di un mosaico più grande

No, sto piuttosto dicendo che essere consapevoli che i nostri pensieri hanno un peso è solo un tassello di un mosaico ben più ampio e che, se non ce ne rendiamo incontro rischiamo tre conseguenze:

 

  1.  andiamo incontro a delusione certa
  2.  rischiamo di buttar via l’acqua con tutto il bambino, banalizzando e generalizzando con un pericoloso: “Queste cose non funzionano”
  3.  ci de-responsabilizziamo rispetto quello che possiamo veramente fare

 

Cosa c’è di vero?

Come ti dicevo, c’è di vero che i pensieri ai quali crediamo creano una certa chimica nel nostro corpo, generano emozioni. Determinati pensieri ed emozioni ci faranno propendere verso l’azione, altri invece verso il sentirci vittime impotenti, altri verso la ricerca di un colpevole, altre verso la commiserazione… e da lì scaturiranno i nostri comportamenti, le iniziative, le azioni, le interpretazioni che daremo a tutto ciò che accade. Creeremo così la nostra realtà (per la parte che ci compete)

 

Quindi certo, il pensiero crea. Ma per fortuna non basta il pensiero, né si materializza subito (se no saremmo tutti fottuti, non credi? 😉 ) 

 

Facciamo un esempio

 

Ricordo bene che Louise Hay nel libro diceva qualcosa come: “Quando usi bene la mente puoi anche mangiare cibo per gatti che starai bene”  

 

In un certo senso questa frase è vera, ma ti va di analizzarla con me?

 

  • “Quando usi bene la mente” = quando usi la mente in modo utile, funzionale, costruttivo, in modo che sostenga il tuo progetto o intento
  • “Usare bene la mente” significa anche provare l’emozione corrispondente a ciò che vuoi creare, significa cambiare percezione, vedere qualcosa che prima non vedevi, crederlo possibile.
  • “Puoi mangiare anche cibo per gatti” : sì, ma non in eterno. Di vero c’è che la mente è talmente potente che può creare le condizioni per il “successo” e la salute (e ahimè, anche per la malattia e l’insuccesso) nonostante le condizioni avverse. Ma a un certo punto bisognerà anche aiutarsi.

Ricordo bene infatti che Louise Hay, a un dato punto del suo viaggio personale, aveva rivoluzionato anche il suo modo di mangiare. Un maggior amore per se stessa, e il desiderio di vivere bene nel presente (e possibilmente anche in un radioso futuro) le avevano fatto ripulire frigo e dispensa da tutto il cibo spazzatura, le scatolette e i cibi conservati che normalmente teneva in casa.

 

Il pensiero costruttivo porta ad azioni costruttive

 

Ed è questa la parte che molti sembrano tralasciare.


Sono certa che quando Louise recitava le sue affermazioni, non stava recitando meccanicamente “Io sono sana” mentre in realtà era piena di paura e risentimento perché pensava “c’ho un cacchio di tumore, altroché”. 

Viveva con certezza la sensazione di essere guarita, il suo cervello era probabilmente in onde Theta, che sono quelle della creazione, della riprogrammazione dell’inconscio, che sono quelle della rigenerazione e guarigione e, per Jung, anche quelle dell’accesso all’infinito campo dell’inconscio collettivo con tutto il suo patrimonio di informazioni.

 

Stava liberando e attivando le infinite possibilità racchiuse nel suo corpo e nella sua mente.

 

E questo sì, è un potere a cui ognuno di noi può trovare accesso, con i giusti strumenti e le giuste pratiche..

Molto più di un semplice pensiero positivo, no?

 

Last but not least

 

Louise Hay era Louise Hay, e se da un lato ha voluto mostrare qualcosa che è potenzialmente possibile per ogni essere umano, ci ha anche mostrato che lei ha seguito la sua strada, ha creato il suo modo, ha seguito e trasformato ciò che sentiva giusto nel profondo.

 

Forse è proprio questo il suo messaggio, e il messaggio di tutti gli uomini e donne che hanno eccelso in qualcosa: fate come me non significa fate le stesse cose che ho fatto io, ma fate anche voi le cose che sentite giuste e vere nel profondo, dopo aver fatto pulizia di ciò che non siete voi.

 

E questo, credo, è il messaggio più importante.

 

Fare ordine dentro di sé, ascoltarsi, alleggerirsi e allinearsi con ciò che vogliamo creare sono passaggi importanti per ogni nostra realizzazione. Per questo sono diventati i punti cardine di uno dei miei percorsi trasformativi di gruppo:

 

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L’Equilibrio vita – lavoro non esiste 

L’Equilibrio vita – lavoro non esiste 

La ricerca continua dell’equilibrio porta più stress che benefici.

Ti racconto gli esiti della mia ricerca sul work – life balance.

 

 

equilibrio vita lavoro

 

Da poco ho preparato un intervento per un evento formativo dedicato a imprenditrici e imprenditori incentrato sull’Equilibrio vita-lavoro. Ho fatto perciò delle profonde riflessioni sul tema del Work-life balance, ho letto diversi articoli e guardato svariati speech in cerca di ispirazione, chiedendomi che tipo di contributo volevo dare a questi professionisti, per aiutarli a creare una miglior qualità della vita e del lavoro. Quindi sono arrivata alla mia conclusione.

 

L’equilibrio vita-lavoro non esiste, e ora ti spiego perché

 

Che immagine abbiamo quando pensiamo a una vita in cui questo fatidico equilibrio è raggiunto? Forse immaginiamo una serie di giornate ideali, ben organizzate e con ritmi sostenibili, con le nostre 24 ore equamente suddivise in 8 ore di lavoro, 8 di famiglia e svago e 8 di sonno.

Nelle 8 ore dedicate ai nostri cari e allo svago immaginiamo una sorta di famiglia del mulino bianco, dove ci si sveglia cinguettando, si fa colazione insieme immersi tra sorrisi e sguardi amorevoli, si svolazza felici verso scuola o lavoro. Pilates nella pausa, caffè con le amiche (o birra con gli amici) e una serata idilliaca prima di chiudere gli occhi e dormire profondamente, per svegliarsi rinfrancati e carichi all’alba del nuovo giorno.

 

Chi ha una vita così?

 

Io non conosco nessuno. Ma soprattutto siamo sicure che la suddetta vita sarebbe garanzia di benessere e felicità?

 

Il confine tra vita privata e professionale

Un altro dei motivi per cui credo che inseguire questo “equilibrio” sia una missione impossibile è perché è sempre più difficile distinguere il lavoro dalla vita personale. Prendersi cura dei genitori anziani, occuparsi di un figlio adolescente, andare dal commercialista, accudire bambini piccoli, pagare l’IMU e fare la fila alla Posta, appartengono alla sfera della vita o a quella del lavoro?

E se penso allo smart working mi sembra che le cose siano ancora peggiorate. L’ho citato con il nome che è ormai diventato di uso comune, anche se faremmo meglio a chiamarlo remote working: è semplicemente lavorare da casa e di smart non ha nulla.
Rispondi a una call mentre metti su una lavatrice, controlli le mail mentre segui i figli con i compiti, passi da un’attività all’altra in un infruttuoso multitasking e in una totale commistione di ruoli.

 

E noi pretendiamo di trovare l’equilibrio in tutto questo. Nah.

 Aspirare a un miglior benessere nella nostra vita, però, è sacrosanto.

Ti do una buona notizia: questo è anche possibile. Ecco i miei 4 punti sul tema:

 

1) non ricercare l’equilibrio, ma l’appagamento

 “Stanchi, ma felici”, impegnati su più fronti ma con un senso di scopo: non è forse questo che vorremmo provare alla fine della giornata?

Se ci togliamo l’idea che tutto debba essere bilanciato e in equilibrio, secondo me ci siamo già tolti una bella fonte di stress. L’equilibrio dovrebbe essere il mezzo per un fine, e quel fine è proprio, secondo me, l’appagamento

E non sarà probabilmente un’ora di palestra in più a farci sentire appagati, ma piuttosto renderci conto, e prenderci cura, delle 4 dimensioni principali che caratterizzano il nostro essere umani: abbiamo un corpo, una mente, delle emozioni, e probabilmente un’anima (per quanto mi riguarda non ho dubbi in tal senso).

Per sentirci appagati dovremmo imparare a nutrire e prenderci cura del nostro benessere fisico, mentale, emozionale e spirituale. 

Di questo ho già parlato in altre sedi: me ne occupo in tutti i miei percorsi di coaching e non andrò in dettaglio qui.  Ma puoi semplicemente iniziare a porti questa domanda, e trovare le tue risposte:
cosa posso fare, o smettere di fare, per aumentare il mio benessere in ognuna di queste 4 aree?

A volte la risposta sarà semplicemente “togliere”, alleggerire, dire di no a qualcosa. A volte cambiare strada. Altre, fare piccoli cambiamenti, oppure grandi.

La tua strada verso un maggior appagamento può iniziare proprio ora.

 

2) non è una ricetta universale, ma personale; non è fissa, ma dinamica

Il tipo di appagamento di quando sei studente non è certo lo stesso di quando metti su famiglia, o di quando ti accorgi che il lavoro che stai facendo non ti coinvolge né ti soddisfa più come all’inizio.
È una cosa ovvia, eppure sembriamo dimenticarcene quando finiamo appunto “fuori equilibrio”. Vorremmo che le cose restassero così come le abbiamo impostate.

 

Invece è una domanda da ripetersi spesso, una sorta di tagliando da fare regolarmente. 

 

Spesso avremo la sensazione che “la coperta sia troppo corta”. Beh, ti dò una notizia: lo è! La nostra società corre veloce (verso dove non si sa, ma questo è un altro argomento 😉 ), le informazioni e la tecnologia viaggiano alla velocità della luce e solo per rimanere fermo/a dove sei, ti sarai accorto/a che devi remare sempre più veloce. Sì, a volte può essere estenuante.

Ma se sai che la coperta è troppo corta, ti regolerai di conseguenza: a volte lascerai fuori i piedi, e quando si saranno raffreddati un po’ troppo li coprirai, e lascerai fuori le spalle. 

Se partiamo ben sapendo che le nostre to-do-list saranno sempre troppo lunghe per essere azzerate, possiamo iniziare a trarre soddisfazione dal fatto che stiamo vivendo tenendo in considerazione i nostri valori e i nostri veri bisogni (e non mi riferisco solo a quelli primari). Non punteremo l’attenzione sull’aver “fatto tutto” ma sul fatto che ci sentiremo progredire.

 

Il mondo là fuori ci mette l’asticella sempre più alta, ma a volte non serve saltarla, se non è nel nostro miglior interesse: possiamo mettere su un po’ di musica e passarci sotto, come nel limbo.

In pratica: decidi tu a cosa dare il tuo tempo, la tua attenzione, le tue energie e il tuo investimento emotivo, in ogni momento. Come fare? vai al prossimo punto. 

 

3) la visione di te a 80 anni guida le tue azioni quotidiane

Da un po’ di tempo c’è una novità nella mia vita: ho un nipotino di 5 mesi (di cui sono follemente innamorata). È chiaro che il patchwork della mia vita mi ha richiesto una revisione, perché per me dedicare del tempo a mia figlia e al piccolino è assolutamente una priorità.

 

Sono una nonna relativamente giovane, ancora molto attiva e con una vita personale ricca di attività che amo portare avanti, perciò se voglio esserci nella loro vita, ho bisogno di riprogettare le cose, cambiare qualche abitudine, essere creativa, rompere qualche schema, reinventarmi.

 

Se immagino il mio 80esimo compleanno circondata dall’amore e dalla presenza delle persone che amo, ho da dedicare amore e presenza oggi, a mia volta.

Inoltre, se mi immagino autosufficiente, lucida e in forma, ho da far in modo che la mia settimana preveda momenti di movimento, allenamento, approvvigionamento di cibi quantomeno “decenti”  e qualche attività buona per la mente.

 

Quindi la mia visione guida le mie decisioni quotidiane.

In fondo essere disciplinati significa proprio applicare, nella nostra quotidianità e a piccole dosi, una visione più ampia che ci sta a cuore (e te lo dice la regina delle indisciplinate ribelli). È fattibile, e fonte certa e costante di micro dosi di appagamento.

 

E tu, hai mai pensato a come vorrai festeggiare il tuo 80esimo compleanno, e a come immagini di essere?

 

Certo, il nostro impegno in quella direzione non è garanzia di successo al 100%. Ma se lasci che sia il caso – o gli altri – a decidere, possiamo essere quasi certe/i che il risultato sarà ben distante.

 

 

 

4) fermati, fatti domande e ascolta le risposte che vengono da dentro 

Non puoi sentire le risposte se non ti fermi a farti domande e ad ascoltare ciò che emerge dal tuo interno. Uno dei mali dei nostri tempi è che tentiamo di risolvere tutto con la razionalità, con le informazioni, con gli esperti, i dati e le statistiche. Ma tutto questo ci parla del passato, raccoglie numeri ed esperienze di quel che è stato fino a questo momento. Invece affrontare il presente e il futuro necessita di “dati” che ancora non esistono: ecco perché serve affinare la propria capacità di ascoltare le sensazioni, i bisogni profondi, l’intuizione, i desideri del cuore.

 

Chiediti: 

“Sto vivendo la vita che voglio, o quella che ci si aspetta da me?” 

“Cosa voglio io davvero?”

A volte sarà importante farti aiutare, soprattutto nel farti domande buone e sempre nuove, ma le risposte saranno sempre e solo le tue.

Se crei lo spazio, il tempo e l’apertura, le risposte non tarderanno ad arrivare.


Ha senso cercare l’equilibrio?

Le nostre vite somigliano all’attività di un giocoliere, ed è impossibile pensare di poter tenere le palline per aria in perenne movimento. Ricercare l’appagamento, in modo personale e dinamico, significa sapere perfettamente che spesso una di quelle palline cadrà a terra, ma sapere anche quale lasciar cadere, perché non farà un grande danno, e quale tenere assolutamente in movimento, perché non possiamo permetterci di farla cadere.

Una volta sarà la tua relazione a chiedere un’extra dose della tua attenzione, una volta un’amicizia in crisi, un’altra volta il tuo corpo che ti avrà necessità di una maggior amorevolezza, oppure ci sarà una prospettiva di carriera che ti chiederà un supplemento di tempo ed energia.

 

Ma se conosci i tuoi valori, se hai una visione – anche se non dettagliata – della tua vita a lunga scadenza, se hai chiarezza su ciò che conta per te e quindi hai una direzione (nota che non ho parlato di obbiettivi!), se ciò che fai, pur essendo faticoso a volte, ti dà un senso di scopo, credo che alla fine delle tue giornate e delle tue settimane “non equilibrate” potrai sentire che ne è valso l’impegno. 

 

Insomma, sentirai quel senso di appagamento che tutti noi cerchiamo.

E questo, a parer mio, vale più della chimera dell’equilibrio.