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Stai vivendo pienamente la tua vita?

Stai vivendo pienamente la tua vita?

Stai vivendo pienamente? Stai godendo di tutte le opportunità che la vita ti offre, proprio ora, qui?

Ti propongo un piccolo gioco.

Prendi un pezzo di carta e una penna. Disegna un cerchio.

Ora colora la parte di cerchio che, a sensazione, rappresenta  la “pienezza” delle tue giornate. Non in termini di impegni, ma in termini della tua soddisfazione per quanto intensamente e pienamente vivi, di quante opportunità cogli o crei, di quanta varietà ci sia.

Se lo colorassi tutto significherebbe che la tua soddisfazione è pari al 100%.

E se è così, puoi anche smettere di leggere il mio articolo 😉 

Ma se non è così, colora uno spicchio pari a quella che potrebbe essere la tua soddisfazione, per come vivi le tue giornate. 

È più del 50%? Oppure meno? Quanto circa? (non prenderla troppo sul serio, non è un esercizio di geometria, è solo un’indicazione visiva della situazione attuale, che però può darti preziose consapevolezze)

Stai vivendo pienamente? Stai godendo di tutte le opportunità che la vita ti offre, proprio ora, qui?

Questa è una delle mie domande guida, una di quelle domande che mi faccio regolarmente e che mi permette di ricalcolare la rotta quando mi scopro a prendere una direzione che non mi piace o non mi soddisfa del tutto. E molto spesso la risposta è NO, non abbastanza. 

Ma come, dirai, proprio tu?  Eppure sì, mi succede. 

Proprio ieri parlavo con un paio di amiche della Rete al Femminile. Siamo andate a fare il bagno al tramonto per la prima volta da quando ci conosciamo. Raccontavo loro di come, nonostante io abbia raggiunto molte delle condizioni che desideravo, mi trovo spesso a non goderle appieno, a vivere “ristretta” rispetto a ciò che potrei fare e alla libertà di cui dispongo.

Ti riconosci anche tu? 

Aspetta a dire di no 😉 ora mi spiego meglio.

Vivo a pochi passi dal mare eppure, da quando abito in questa casa, non avevo ancora mai fatto il bagno al tramonto prima di ieri. E raramente scendo a fare un tuffo durante il giorno, sebbene io lavori principalmente da casa.

Ho voluto a tutti i costi una bicicletta perché immaginavo che avrei scorrazzato su e giù per il lungomare tutti i giorni e in tutte le stagioni, e invece finora l’ho fatto molto meno spesso di quanto avrei potuto.

Nei giorni in cui scrivo, o progetto un corso, potrei spostarmi con lo scooter, trovarmi un bel posticino all’aria aperta, andare ogni giorno in un caffè o in un bar diverso e lavorare da lì, eppure ho smesso di farlo da un bel po’. Certo, perché sto bene dove sto.

Eppure sento che così facendo, perdo qualcosa.

Il punto è che a me tutte quelle cose  piacciono molto, e soddisfano il mio bisogno di varietà (come ti raccontavo in questo post su Instagram) eppure mi trovo spesso a vivere in un’area più ristretta di come vorrei. Devo riconoscere che in parte questo è ancora lo strascico del lockdown, che ci ha ammaestrati a spostarci solo il necessario, a uscire di meno, a premeditare tutto (pensa a dove devi andare, stampa la certificazione, compilala, prendi la mascherina, non fare de-tour perché non sono concessi, non improvvisare, ecc).

Quindi in parte questa “ristrettezza” è ancora un sottoprodotto del periodo che abbiamo passato (quantomeno lo è per me). 

Ma non è tutto qui.

Siamo esseri abitudinari, nel bene e nel male, e da tutto ciò che è consuetudine traiamo benefici in termini di sicurezza, efficienza e “risparmio energetico”. Però perdiamo in spontaneità, perdiamo il contatto con il sentire che vorrebbe guidarci ma che non ascoltiamo mai abbastanza.  

Com’è che finiamo a escludere tutta una serie di possibilità, a tagliare via un sacco di strade, e ci restringiamo a fare un po’ sempre le stesse cose?

Magari la nostra vita è ricca e varia, non intendo dire che facciamo “poche” cose, ma piuttosto che non usciamo spesso dai nostri sentieri, per quanto ampi e avventurosi possano essere.

Da quanto tempo non fai una cosa che amavi fare, solo perché l’area all’interno della quale normalmente ti muovi non la comprende?

In quel fare qualcosa di nuovo che ci attira, in quel rifare qualcosa che ci siamo dimenticate esistere, nel tracciare nuove e più ampie strade fuori di noi, mettiamo in campo una parte più ampia di noi, ridiamo vita a delle parti che abbiamo trattenuto, incatenato, soppresso o addomesticato. 

Restringere il campo delle nostre esperienze ha un prezzo: non solo ci perdiamo la bellezza di quella specifica azione, ma atrofizziamo risorse, attitudini e inclinazioni. “Use it or lose it”- ciò che non usi, lo perdi.

Allora, cosa potresti riprometterti per questo agosto, per espandere un po’ le tue abitudini e possibilità, e riappropriarti così di alcune parti di te che avevi messo in stand-by?

Ti lancio una sfida, facile facile, ma che comunque richiede la tua determinazione e il tuo impegno e, prima ancora, la tua adesione.

Per questo agosto, fai almeno #unacosanuova al giorno.

Può essere cimentarti in uno sport che non hai mai fatto, fare una strada nuova per andare in uno dei tuoi posti abituali, noleggiare un tandem o un monopattino, contattare una persona che vorresti conoscere, assaggiare un cibo che non hai mai provato, iniziare la tua giornata ballando.

Magari si tratta di qualcosa che è del tutto nuova nella tua vita, o qualcosa che avevi smesso di fare, o puoi semplicemente scombinare alcuni dei tuoi orari, lasciandoti guidare dal tuo sentire, dal tuo desiderare.

Scatta una foto e condividila su Instagram con l’hashtag #unacosanuova e taggami @gina.abate.coaching: sarò felice di ricondividere le tue piccole e grandi imprese nelle mie stories, così da ispirare altre persone a vivere più pienamente e intensamente le infinite possibilità che ogni giorno si snodano davanti a noi, anche se non abbiamo occhi per vederle.

Io ho iniziato così:

Nell’ultima settimana, mentre ero in vacanza sulla mia isoletta del cuore,  ho già fatto un po’ di cose nuove, come: 

  • Noleggiare un kajak biposto con un’amica e portarci anche Wendy!  
  • Attraversare un boschetto di notte sotto un forte temporale, e prendere la pioggia perché c’era troppo vento per tenere aperto l’ombrello.
  • Andare in spiaggia in orari insoliti: al mattino presto, oppure alle 18.00 per stare fino a tardi.

E una volta tornata a casa mi sono accorta che, solo ponendoci un po’ di attenzione e avendo “messo in moto il volano”, ho iniziato a espandere le mie possibilità, come se il cervello avesse fame di cose nuove e diverse.

Nei prossimi giorni sicuramente vorrò provare il SUP,  vorrò imparare il ballo dell’estate, Jerusalema. e vorrò scompaginare i miei orari in modi nuovi (beh, in questo sono piuttosto brava 😉 ma mi alzerò l’asticella! )

E tu, cosa vuoi iniziare a fare di nuovo o di diverso?

Ricordati che non è un “fare per fare”: ogni cosa nuova apre le porte a nuove possibilità, attiva una nuova Te. E quella nuova te, chissà di cosa è capace.

Aspetto le tue condivisioni, perché #unacosanuova al giorno può aiutarci a essere più felici e più vivi.

Idea di felicità: diritto, scelta o stile di vita?

Idea di felicità: diritto, scelta o stile di vita?

L’idea di felicità che abbiamo si trasforma e si modifica nel corso della nostra vita. Ti racconto la mia esperienza in questo nuovo articolo!

Un’infanzia gioiosa

Da bambini non ci poniamo domande sulla felicità: viviamo intensamente quello che c’è, buono o meno buono, come se fosse l’unica cosa possibile.

Siamo mossi da qualcosa e lo facciamo: esploriamo, andiamo in bicicletta, giochiamo con gli animali, ci muoviamo intensamente, ascoltiamo storie, inventiamo storie…

O almeno questo era vero per i bambini della mia generazione, che andavano a scuola fino alle 12.30 e poi avevano un sacco di tempo libero. Scorrazzavamo liberi, inventavamo giochi, passeggiavamo a casa degli amici da soli, ci annoiavamo, andavamo in bicicletta senza caschetto e senza alcuna paura. Andavamo a letto dopo Carosello, tanto alla sera in tv non c’era niente di adatto a noi.

Eravamo fortunati perché non eravamo l’agenda piena come i bambini di oggi (almeno fino a prima del Covid-19). Si sa, dal vuoto nascono tante cose.

Da bambini la felicità è l’essenza di ciò che siamo, e ogni bambino avrebbe diritto a crescere in un ambiente dove questa felicità venga tutelata e garantita.

Il diritto alla felicità

Molte persone crescono ma continuano a pensare che questo diritto corrisponda al dovere di qualcun altro che, se non soddisfa i nostri bisogni e richieste, diventa “brutto e cattivo”.

Invece questo diritto passa direttamente nelle nostre mani, e abbiamo la responsabilità di occuparcene in prima persona: ho diritto ad essere felice e ho il dovere di occuparmene io stessa/o.

Come è cambiata la mia idea

Se cerco di ricostruire come sia avvenuto il passaggio da una felicità praticamente permanente come quella dei primi anni di vita, a una condizione più intermittente, a una condizione dettata da una o l’altra circostanza, prima di diventare di nuovo una condizione più stabile, mi sembra di rinvenirne le tracce negli anni delle elementari.

Negli anni dell’infanzia mi sentivo amata e apprezzata per quella che ero e semplicemente vivevo esprimendo le mie caratteristiche. Ciò è cambiato con l’inizio della scuola: qui ho i primi ricordi di paragoni e confronti con gli altri bambini e con diverse situazioni.

I paragoni non aiutano

Era il tempo delle prime le interazioni sociali non mediate dalla famiglia e ricordo di aver avuto pensieri come “la nostra casa è meno bella di quella di Paola”, “sono più magra di y” (e generalmente, a detta di tutti, ero sempre troppo magra!). “A salto in alto sono più brava di tutte le femmine della mia classe”; “Alessandra è più brava di me in aritmetica”. “Mio papà fa il lavoro più importante di tutti”; “Mia mamma è più elegante delle altre mamme”; “mia sorella è più brava di me a ginnastica”. Ognuna di queste valutazioni aveva il potere di farmi sentire più o meno bene, più o meno adeguata alle situazioni – e a questo si sommavano le valutazioni che fioccavano dall’esterno.

Soddisfare la condizione diventa vitale

Da lì è nata probabilmente l’idea che se avessi soddisfatto una certa condizione, sarei stata più felice. Alcune di quelle condizioni, non erano affatto modificabili, su altre ci si poteva lavorare, e altre ancora potevano realizzarsi con una certa facilità (come quella di ricevere una seconda Barbie per Natale).

Più o meno in quel periodo molte delle scelte iniziano ad essere condizionate da quello che pensiamo di ottenere “alla fine”, come risultato. Dimenticando, però, che gran parte della felicità deriva dal processo, dall’impegno che mettiamo, dall’utilizzo progressivo delle nostre capacità e del nostro potenziale che si libera.

La sfida con me stessa

Ricordo per esempio il giorno che con la scuola eravamo al campo sportivo per una gara di atletica, e io gareggiavo per i 60 metri piani, dove ero veramente capace.

Avevo scoperto chi fossero le mie avversarie, e pur sapendo che la gara sarebbe stata impegnativa, sapevo anche che avevo buone probabilità di vincere, dato che negli allenamenti le avevo già battute tutte.

Ad un certo punto però mi comunicarono che avrei dovuto gareggiare con le più piccole (ovvero, si erano accorti che IO ero un anno più piccola, avendo saltato la prima elementare, e quindi avrei dovuto gareggiare con quelle della mia età). Sapevo che quel gruppo era ancora più facile da battere, avevo praticamente la vittoria in mano… ma scoppiai in lacrime e non volli più partecipare alla gara. Certo, una scelta un po’ drastica e molto emotiva, ma ciò che volevo, evidentemente, non era vincere, bensì guadagnarmi la vittoria mettendo tutta me stessa. 

Il vero problema con la felicità è quando iniziamo a credere che sia quello stato che possiamo ottenere unicamente quando raggiungiamo gli obbiettivi e appaghiamo – o gli altri appagano –  i nostri desideri (o capricci). Finiamo così imprigionati in una spirale di insoddisfazione in cui la nostra natura felice si allontana sempre più da noi…

Ma c’è un’alternativa.

Felicità come scelta personale

Quando vivi la felicità come scelta personale e responsabile, ecco che ti impegni con te stessa/o a riconoscere una direzione buona per te e ad avere delle pratiche che ti permettano di far riaffiorare quella tua natura, incrementandola e rafforzandola ogni giorno, a prescindere dalle circostanze.

Nessuno di noi una volta che si è fatto la doccia dice “ora sono pulito” e smette di lavarsi. Non c’è chi, dopo aver rassettato la casa pensa “Bene, ora è a posto e non devo più occuparmene”. Neanche uno penserebbe che dopo aver innaffiato abbondantemente una pianta, non serva farlo mai più.

Eppure per quanto riguarda il nostro benessere e la nostra felicità, poche persone comprendono che è una piccola ma costante manutenzione da fare, e sono disposti a farla.

Ecco perché io vedo la Felicità come scelta dapprima, e poi come stile di vita.

Uno stile di vita che preveda uno spazio per l’ascolto di sè, per l’auto -conoscenza, per il vuoto – in cui non fare ma solo essere presenti. Che preveda l’abitudine di respirare,  muovere il proprio corpo, contattare le proprie passioni e nutrire le relazioni.

C’è un proverbio che dice: 

Per essere felice hai bisogno di qualcuno da amare, qualcosa da fare e un luogo dove andare.

Questo, se ci pensi, è sempre possibile.

Perché se anche ci fossero dei momenti in cui ti sembra di non avere nessuno da amare, quella persona puoi scegliere di essere tu.

Qualcosa da fare non è essere affaccendati in mille attività che hanno lo scopo di tenerti impegnata e farti sentire di avere una certa importanza, ma significa piuttosto sentire di stare dedicando il tuo tempo – o almeno una parte di esso – a qualcosa che abbia un senso, a crescere, imparare qualcosa, creare e condividere.

Un luogo dove andare significa una direzione, avere dei desideri verso i quali tendere, perché attraverso la dedizione a quei desideri e progetti (ammesso che siano veramente “tuoi”) si libera e si esprime il tuo potenziale. Nei momenti in cui non sai dove andare, puoi andare dentro di te, dove quello stato che cerchi, c’è già.

Concludendo, sulla felicità

Come diceva Aristotele, una vita felice la si può giudicare solo nel suo insieme, ed è una vita che è stata protesa verso l’espressione del proprio pieno potenziale.

Se sei in un momento in cui ti piacerebbe fare il punto della situazione, se vuoi utilizzare questi mesi per ripartire con chiarezza e slancio a settembre, contattami per valutare insieme il percorso breve di Coaching più adatto a te.  

Il tuo posto felice è nella tua mente e puoi crearlo

Il tuo posto felice è nella tua mente e puoi crearlo

Ti ho parlato dell’importanza di trovare il tuo posto felice nella vita reale, di riconoscere e diventare consapevole dei luoghi che ti fanno sentire connessa con ciò che ti circonda e, specialmente, con te stessa.

Oltre a ciò, esiste anche un modo alternativo per raggiungere il tuo posto felice: creandolo. Esatto, hai letto bene. Ti parlo di come creare il tuo happy place mentale, utilizzando le funzioni superiori della tua mente.

La prima volta che l’ho incontrato avevo poco più di 18 anni.

Stavo attraversando un periodo molto difficile della mia vita, che purtroppo non sarebbe durato poco: la malattia e la morte di mia madre mi avevano lasciata con un vuoto incolmabile e con un macigno di immagini dolorose e di emozioni non espresse da comprendere ed elaborare.

Nel tentativo di ritrovare un po’ di benessere avevo accettato di partecipare ad un corso di dinamica mentale (ora dinamiche della mente)  dove ho iniziato a comprendere, forse per la prima volta in termini anche pratici, come funzioni la nostra mente e come fosse possibile utilizzarla consapevolmente per un maggiore benessere.

L’esercizio con i colori dell’arcobaleno

Uno degli esercizi base che praticavamo era il rilassamento con i colori dell’arcobaleno al quale seguiva l’immaginazione di una scala con 21 gradini da discendere. Alla fine della discesa, e dopo qualche ulteriore passaggio, eravamo guidati a lasciar apparire un bel posto della natura in cui sentirci bene, protetti, al sicuro, liberi di esplorare, muoverci e fare meravigliose scoperte e incontri.

È apparso così: una piccola radura verdissima, con un enorme albero di cui ricordo ancora i dettagli e i disegni della corteccia. La temperatura era perfetta e c’era qualche fiore – pochissimi a dire il vero – che sembravano dipinti con i pennarelli da un bambino più che dei fiori reali. Ma si sa, con l’immaginazione possiamo fare qualsiasi cosa. 

Finalmente l’ho trovato

È così che ho incontrato il mio posto felice della mente, il mio posto sicuro, il luogo dove potevo rifugiarmi anche senza spostarmi da casa. Questo posto era in grado di aiutarmi a guarire le mie ferite e rigenerarmi in quella che non era una fuga dalla realtà, ma una pausa dall’incessante attività dei pensieri automatici che la nostra mente produce.

In quel posto magico potevo immaginare qualsiasi cosa, potevo far apparire sagge guide che mi portavano messaggi e insegnamenti preziosi, potevo ricevere medicamenti portentosi, potevo mandare pensieri di amore e guarigione non solo a me stessa ma a tutte le persone che ne avessero bisogno.

Non è pura e semplice immaginazione

Potrebbe sembrare solo fantasia, potrebbe somigliare una fuga dalla realtà. Ciò che avveniva, invece, era una comunicazione simbolica con il mio inconscio, bypassando il mondo dei pensieri ordinari e forgiando nuove sinapsi e nuove reti neurali, a sostegno di un migliore equilibrio e benessere autentico.

Negli anni quel posto felice ha cambiato aspetto diverse volte, diventando ora una spiaggia deserta del Mar Rosso dove avevo corso da sola e libera in una vacanza da ragazza. Ma anche una piccola baia delle Isole Comore di cui mi ero innamorata in un altro viaggio. Poi l’incavo di un albero gigante che mi accoglieva al suo interno diventando una sorta di casa con più stanze. Ciò che non cambiava mai era la sensazione di pace e sicurezza che quei luoghi mi trasmettevano e i benefici che potevo trarne tutte le volte a livello mentale, emozionale e anche fisico. Questo lo percepivo io, ma è dimostrato ora anche dalla scienza.

La nostra mente è portentosa

Attraverso queste prime esperienze ho iniziato a comprendere che i poteri della nostra mente sono magici e misteriosi. Non tutto è spiegabile in modo logico e razionale. Queste esperienze sintetiche che noi possiamo fare in uno stato di rilassamento e immersi in una realtà virtuale, che non necessita di tecnologia esterna, sono molto più potenti di quanto possano apparire. L’esperienza sintetica veniva utilizzata già negli anni ’70 con atleti professionisti ad alto livello. La pratica permetteva loro, tramite una vivida e particolareggiata immaginazione di allenamento, di attivare le stesse aree del cervello che si attivavano durante gli allenamenti effettivi, con effetti positivi concreti e misurabili sia sul perfezionamento della tecnica, sia sullo sviluppo muscolare. Magari te ne parlerò in un prossimo articolo 🙂 . 

Forse sono state proprio queste prime esperienze ad avviarmi verso il desiderio di indagare e comprendere sempre meglio come funziona la nostra mente e come possiamo intervenire attivamente per creare un maggiore benessere ed una maggiore felicità.

Il tuo posto felice è all’interno della tua mente

Ti invito quindi a creare il tuo posto felice all’interno della tua mente, un luogo dove poterti rilassare profondamente e creare attivamente (e non casualmente, come nei pensieri ordinari). Magari anche tu, con un pizzico di polvere magica, avrai l’opportunità di incontrare grandi maestri e saggi. Magari saranno proprio quei personaggi “immaginati” a darti le risposte che ti servono per superare un problema, a trovare una soluzione creativa o a spiegarti come concretizzare il prossimo passo del tuo progetto. 

Certo, sei sempre tu, sono parti di te. Ma sono le funzioni superiori della tua mente ad emergere quando sei in uno stato di profondo rilassamento e le tue onde cerebrali rallentano, ed è uno stato molto ricco di risorse che puoi sperimentare con grande facilità.

Se vuoi, posso aiutarti a creare il tuo posto felice

Ti piacerebbe ricevere una registrazione audio che ti aiuti a rilassarti e a far apparire il tuo posto felice?

Chi è iscritto alla mia newsletter riceverà questo mese una speciale meditazione guidata per raggiungere e creare il proprio posto felice.

Vuoi riceverla anche tu?
Seguimi su Instagram e contattami in privato: ti manderò il link per scaricare la meditazione.


Un abbraccio,

Gina!

Ps: se sei interessata a leggere anche l’articolo sul tuo luogo felice fisico lo trovi qui.

Non spaventarti, ricompensati: come instaurare un comportamento positivo

Non spaventarti, ricompensati: come instaurare un comportamento positivo

Perché la ricompensa serve più della minaccia quando vogliamo attivare in noi un comportamento virtuoso.

Tutti noi abbiamo qualche comportamento di cui faremmo volentieri a meno, giusto? Un comportamento che a lungo andare potrebbe portarci a risultati spiacevoli.

E sicuramente spesso vorremmo aiutare qualcun altro a cambiare il proprio comportamento in uno più positivo (magari i nostri figli, il nostro compagno, i nostri colleghi, i nostri capi…)

La nostra resistenza al cambiamento però rema spesso in direzione opposta ai nostri desideri, e ce ne accorgiamo tutte le volte che facciamo un nuovo proposito, senza poi riuscire a portarlo avanti.


Come mai continui ad evitare di allenarti, se sai che porterà il tuo fisico a indebolirsi e ad accumulare curve nei posti più indesiderati?

Perché continui a stare in quella relazione, se sai di aver scelto la persona sbagliata?
Per quale motivo eviti di attuare quelle strategie di organizzazione che ti farebbero fare un salto di qualità nel tuo lavoro di freelance?

Sappiamo che le due leve che motivano il nostro comportamento sono la ricerca del piacere e l’allontanamento dal dolore (non solo in senso fisico, ma soprattutto emozionale).

Forse però non usiamo la leva giusta.

Cosa ci motiva veramente al cambiamento?

Una delle strategie che usiamo maggiormente per tentare di farci fare (o indurre qualcuno a fare) qualcosa, è immaginare o prospettare i pericoli e le conseguenze negative di quella condotta.

In pratica usiamo la paura come motivazione, tentiamo di spaventare noi stessi e gli altri per indurre un cambiamento positivo.

Peccato che questo raramente funziona, ce lo dimostra anche la scienza.

Infatti la risposta del nostro cervello alla paura è flee or freeze: fuga o paralisi, molto più raramente fight, ovvero combattimento. 

Quindi minacciare tuo figlio, dicendogli che se non sistema la stanza non potrà giocare al computer, difficilmente si rivela efficace. A volte lo è nell’immediato, ma non lo aiuta ad aver voglia di fare la cosa giusta, non lo aiuta a costruire l’abitudine di rimettere le cose al loro posto.

Così come non funziona mettere quelle immagini terrorizzanti sui pacchetti di sigarette. Anzi. La paura, in questo caso, porta alla fuga, ma non dalle sigarette, bensì dalle sensazioni negative che quell’immagine evoca. Ecco perché conoscerai sicuramente qualcuno che ama rifugiarsi in rassicuranti giustificazioni come “ne muoiono di più in incidenti stradali” o “mia nonna fumava un pacchetto al giorno ed è rimasta sana come un pesce fino a 95 anni”.

Tendiamo a evitare le situazioni che ci spaventano.

Prova a pensarci: controlli più spesso il tuo saldo bancario nei periodi di “grassa” o quando sai di avere eroso il fido? Se sei come la maggior parte delle persone, ti colleghi spesso nei momenti buoni e poco nei momenti critici, salvo poi tornare a controllare freneticamente quando le cose vanno davvero male e a volte è ormai un po’ tardi per intervenire. 

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che per la maggior parte della nostra vita non sembriamo imparare dalle notizie “minacciose” (salvo un periodo che va dai 30 ai 40 anni circa).

Rispetto a cosa ci può spingere a cambiare un comportamento negativo, siamo tutti più sensibili alle informazioni che vorremmo sentire, piuttosto che quelle che ci spaventano.

Ma se le minacce non sono funzionali, quale “leva” si confà di più al nostro cervello?

Mi ha colpito molto leggere di un esperimento che è stato condotto in un ospedale, dove è stata installata una telecamera per monitorare quanti medici e paramedici usassero sanificare le mani prima e dopo aver fatto visita a un paziente (questo era prima del Covid, of course). 

Nonostante tutti sapessero quanto questa operazione potesse essere importante e tutti sapessero che c’era una telecamera a filmarli, soltanto uno su dieci faceva regolarmente questa operazione (GOSH!).

Allora è stato inserito l’utilizzo di una lavagna elettronica, visibile a tutti, che tenesse traccia dei “progressi” di tutto lo staff medico riguardo la sanificazione delle mani. Indovina un po?

Il 90% delle personale medico ha modificato positivamente il suo comportamento!

Come mai? E come possiamo usare questa conoscenza per aiutare noi stesse, e indurci  a modificare positivamente quei nostri comportamenti che sarebbe così importante trasformare?

Ecco le tre leve che hanno funzionato, attivate dall’utilizzo della lavagna elettronica:

  1. INCENTIVAZIONE SOCIALE: Siamo esseri sociali, e a volte anche un filino competitivi 😉 Sapere cosa fanno gli altri e tentare di uguagliarli, o superarli, sembra essere un comportamento naturale per il nostro cervello. Ecco perché connetterci con persone che si cimentano nell’implementare una certa attività virtuosa può aiutarci a farlo anche noi, perché risulta che questo rende il nostro cervello più felice, ed incline quindi all’azione.
  2. RICOMPENSA IMMEDIATA: Premiati! A volte basterà un bel segno di spunta colorato sulla tua to do list, altre volte sarà un piccolo festeggiamento, altre volte sarà fermarti per un attimo e ringraziare te stessa per il progresso fatto, possibilmente tenendone una traccia scritta. Tendiamo a prediligere il piacere immediato rispetto la soddisfazione futura, il certo per l’incerto: insomma, il celebre uovo oggi, perché chissà se potrò avere una gallina domani… 😉 Quindi, la ricompensa immediata per qualcosa che pagherà soltanto in futuro è una buona strategia e sembra essere la via per evitare il naufragio di mille splendidi propositi felici.
  3. MONITORAGGIO DEI PROGRESSI: Sottolinea i progressi possibili, piuttosto che le conseguenze negative. La paura induce inazione più spesso di quanto non induca attivazione, mentre invece sentirsi progredire è una sensazione che viene ricercata, tra le persone di tutte le età. Tieni traccia, scrivi, fai un grafico, usa delle applicazioni, racconta a qualcuno e “registra” tu stessa i tuoi passi avanti nella direzione che hai intrapreso. Ti aiuterà ad aver voglia di fare ulteriori progressi.

E ora passiamo all’azione

Come potresti applicare questa conoscenza alla tua vita, e applicare i 3 passaggi qui descritti per modificare un tuo comportamento?

Io ho deciso che cercherò un’alleata per fare un allenamento di Pilates e di Yoga a casa, in collegamento online, un paio di volte alla settimana in giorni e orari fissi (capita anche a te che siccome-potresti-farlo-sempre-allora-non-lo fai-mai?).

La mia ricompensa sarà sentirmi più forte ed elastica, e affidabile per mantenere l’impegno, e metterò una stelletta colorata sul calendario tutte le volte che terrò fede all’impegno.

Monitorerò i progressi notando la maggior facilità di esecuzione, forza e resistenza

E tu, su quale aspetto della tua vita ti vuoi sperimentare?

Fammelo sapere!

E se decidi che quell’alleata vorresti essere tu, magari combiniamo. 😉

Un abbraccio!

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È più facile essere tristi (arrabbiati, nervosi, preoccupati) che felici? Tutta colpa del tuo cervello

È più facile essere tristi (arrabbiati, nervosi, preoccupati) che felici? Tutta colpa del tuo cervello

Per fortificarti e non farti manipolare dagli stimoli negativi serve allenare la corteccia prefrontale sinistra nel tuo cervello.

Pensa a una tua giornata tipo. Togliendo le ore in cui dormi, se hai la fortuna di dormire bene, quanto tempo trascorri sentendoti veramente veramente bene e con un senso di pienezza?

E quanto invece  le tue emozioni e sensazioni virano più verso la tensione, il fastidio, la preoccupazione, la paura, l’esasperazione, la frustrazione; o ancora ti senti arrabbiata, indignata, sconsolata o con un senso di mancanza?

Se sei come la maggior parte delle persone con cui mi interfaccio per lavoro, ma anche nella vita, risponderai che normalmente per più della metà del tempo (per qualcuno molto di più) vivi le emozioni della seconda categoria, piuttosto che quelle del benessere.

Ti ci ritrovi? Forse tu no, ma sono sicura che in un attimo puoi pensare a un sacco di persone che conosci e che rientrano perfettamente in quella descrizione.

Come mai?

Se ci pensi viviamo in un periodo storico dove le persone dispongono di comodità che una volta sarebbero sembrate un lusso inimmaginabile: tutti hanno cibo in abbondanza, una casa in cui vivere, uno smartphone, il wifi, acqua calda e luce in casa, un mezzo di trasporto e la copertura sanitaria- eppure questo non ci rende più felici di quanto lo fossero generazioni che ci hanno preceduto e che mediamente avevano molto meno.

Come mai?

Tutta colpa del tuo cervello 😉 

Seguimi, perché stai per scoprire una delle ragioni per cui è più facile sentirsi tristi, infastiditi o preoccupati, che felici – e come porvi rimedio.

Il nostro cervello è la creazione più sofisticata dell’universo, e si è evoluto in milioni di anni.

Noi viviamo in un ambiente che negli ultimi 100 anni si è trasformato a una velocità e in modi e mai visti prima, ma il nostro cervello non si modifica così velocemente. Questo fa sì che alcune sue funzioni, così adatte quando i pericoli per la nostra sopravvivenza erano reali e continui, non giocano a nostro favore nell’ambiente attuale.

L’area del nostro cervello più recente, quella che ci distingue dagli animali (o almeno dovrebbe) è la corteccia prefrontale. Lì sono state individuate due diverse aree che si attivano in presenza di attività per così dire “opposte”, e che sostengono rispettivamente quel tipo di attività.

E’ stato infatti scoperto, che quando ci preoccupiamo, sperimentiamo tensione, siamo arrabbiati, o ci arrivano informazioni “negative” come quelle dei media, si attiva la corteccia prefrontale destra.

La sua dirimpettaia, corteccia prefrontale sinistra, detta anche “l’area dell’Illuminazione” in quanto particolarmente attiva e sviluppata nei monaci tibetani, molto dediti alla meditazione, è invece l’area dove troviamo attività quando stiamo davvero bene e la nostra mente è calma.

Secondo te quali delle due parti sarà più attiva nel tuo cervello iper sollecitato?

Esatto: l’area destra è più sollecitata e quindi anche più pronta, reattiva e interventista rispetto alla sua collega sinistra. Potremmo paragonarla al bicipite di un culturista, il bicipite di Arnold Schwartzenegger dei tempi d’oro.

Ma cosa ha reso questo “bicipite” così ipertrofico? Un certo tipo di nutrimento: le notizie dei telegiornali -che non sono “buone notizie”- le scene ansiogene di film e videogames, con violenze fisiche e verbali, sparatorie, inseguimenti, omicidi e rapimenti; ma anche i litigi nei reality o gli alterchi nelle trasmissioni politiche;  l’incertezza del domani, il Covid e tutto quello che gli si è creato attorno. 

Ma, se ci penso, anche il cartone di Biancaneve, del buon vecchio Walt Disney, conteneva un bel po’ di nutrimento per la nostra CPD. E anche i documentari, di cui sono sempre stata una fervida consumatrice, ultimamente puntano ad un sensazionalismo al negativo, dove lo squalo non è solo un pesce predatore, ma è un crudele e sanguinario assassino, il serpente è una terribile e feroce minaccia, il ragno è un implacabile killer dalla crudeltà premeditata.

E di cosa si nutre, invece, la CP sinistra? si nutre di bellezza, emozioni che espandono, gioia, gratitudine, immagini positive, presenza consapevole. Essendo meno “nutrita”, meno sollecitata, è un po’ come il bicipite di uno smilzo che non ha mai sollevato più di una borsina della spesa piena solo a metà.

Quando c’è da affrontare una qualsiasi situazione, quale delle due aree pensi che ti farà sentire maggiormente la sua forza? Sarà il bicipite di Schwazenegger o quello del nostro amico smilzo?

Esatto, ti sei risposta da sola. Il bicipite di Schwarzenegger. 

D’altra parte, il “bicipite sinistro” è talmente poco allenato e smilzo da venire sopraffatto e non riuscire a fare la sua parte. È come se non si aspettasse di essere interpellato (meno lo si usa, e meno si aspetta di esser chiamato in causa)  e le volte che interviene, il suo contributo viene sovrastato prepotentemente dal suo collega super allenato.

Andrà più o meno così: 

Ti si prospetta  la possibilità di un nuovo progetto di lavoro, quand’ecco sopraggiungere pensieri su tutti i rischi possibili e impossibili, su tutte le cose che sono andate storte in passato e su tutte quelle che sicuramente andrebbero storte in futuro; ecco nascere una sensazione di paura e preoccupazione, che ti fa desistere, o ti fa partire prevenuto e pronto alla profezia auto-avverante.

Sei in un momento di relax. La tua mente vaga finché, ad un certo punto, ti porta a focalizzarti sullo sgarbo che ti ha fatto quella collega, su quanto sia ingiusto il tuo capo/socio/vicino di casa, fino a farti concentrare su tutti gli aspetti negativi della tua vita.

Stai vivendo un problema reale (di lavoro, relazionale o di salute) e un po’ alla volta diventa pervasivo, offuscando qualsiasi altro aspetto della tua vita, occultando alla tua consapevolezza ogni aspetto positivo che sia comunque presente nella tua vita, probabilmente in percentuale notevolmente maggiore.

Questi erano alcuni casi di “corteccia prefrontale destra al lavoro”.

Perché è necessario allenare la felicità?

Tutto questo si può sovvertire, in due modi:

1- riducendo gli stimoli alla CP Destra, diventando consapevole di quali siano e non facendo inutili scorpacciate di negatività (parzialmente in tuo potere)
2- allenando la CP Sinistra (totalmente in tuo potere)

Ecco cinque cose che puoi fare da subito per allenare la tua CP Sinistra (e di conseguenza il tuo stato di benessere):

  1. durante la giornata, cogliere gli aspetti positivi di una situazione, di un luogo, di una persona
  2. dare un feedback positivo e sincero a un amico, un collega di lavoro, un collaboratore o una persona amata
  3. fare dei piccoli atti di gentilezza gratuita, come cedere il biglietto del parcheggio a uno sconosciuto con ancora di tempo, lasciare un “caffè sospeso” anonimo, lasciar passare qualcuno ad un incrocio
  4. notare la bellezza ovunque intorno a te
  5. a fine giornata, scrivere 3 cose per cui essere grata (e trovarle anche nelle giornate peggiori) (ti invito a creare una stories di Instagram, taggarmi @gina.abate.coaching e mettere l’hashtag #lagioiadelgiorno . Sarò felice di condividerla nelle mie stories)

E se vuoi allenarti davvero, ho creato un percorso fatto apposta per questo.

Nel mio corso Le pratiche della Felicità andiamo proprio ad allenare e fortificare la corteccia prefrontale sinistra e a spegnere l’eccesso di attività in quella destra. 

Fortificare “l’area dell’illuminazione” ci rende più felici e capaci di apprezzare, più capaci di notare e cogliere opportunità, più inclini ad ascoltarci e fare scelte adatte a noi.

Ti piacerebbe entrare nel percorso e allenarti alla felicità? Puoi! Clicca qui e iscriviti oggi!